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Il piano inclinato di Macron

dicembre 3, 2018 • Articoli, Cultura e Società, z in evidenza

di Loredana Biffo –

La protesta dei “gilets jaunes” in Francia ha avuto inizio come un movimento spontaneo, trasversale e apartitico, né ultradroite né ultragauche. Ultrapeuple, che rappresenta e veicola un disagio legato ad una situazione sociale e politica che ha radici nelle dinamiche dei precedenti governi, ma che in questo contesto macronista vedono concretizzarsi quelli che erano gli evidentissimi rischi di cui si parlava prima della sua elezione.

Se A Berlino, i tedeschi sono scesi in piazza per manifestare la loro solidarietà ai gilets jaunes francesi, come in  Belgio, Olanda e ora Germania, significa che Il movimento  sta diventando un’alleanza dei popoli europei contro l’austerità imposta da Bruxelles, ma non è secondario il problema di un’immigrazione senza controllo e un multiculturalismo che ha fallito totalmente.

Certamente l’aspetto economico non è l’unico fattore alla radice di una così estesa protesta; Macron, il presidente che menava il vanto in campagna elettorale ( http://caratteriliberi.eu/2017/05/08/politica/elezioni-francesi-riso-amaro )   di non essere “nè di destra né di sinistra” e che ha cavalcato la vulgata parigina dei “Bobo”, i bourgeois-bohème parigini anti lepeniani sbandieratori del pericolo fascista, sta dimostrando tutta la sua incapacità nel gestire un malessere che viene da lontano e che lui, il reuccio sempre più spoglio sta rapidamente esasperando e del quale i francesi vogliono la testa. “Vogliamo tutto! “Vogliamo tutto”, gridavano gli operai della Fiat a Torino nel 1969, scatenando una delle più violente  rivolte dei lavoratori del secolo.

Ma questa rivolta sembra essere di natura diversa. Più profonda, più radicata. La Francia ha visto diciotto insurrezioni popolari di importanza registrate dal 1624, tra cui il 1789, il 1830, il 1848, il 1871, il 1934, il 1953, il 1968, il 1986, il 1995, il 2003, il 2005: regolarmente pescatori, agricoltori, camionisti o cappelli rossi contro l’ecotassa precedeva i giubbotti gialli.

I canali attraverso i quali si forma la protesta si collocano in un quadro concettuale che prevede il malessere, convinzioni generalizzate anche se sottaciute; questo certamente riguarda l’aspetto dell’islamizzazione progressiva della nazione e le conseguenti problematiche relative al terrorismo, problema al quale non sono mai state date risposte concrete, bensì è stato trattato con pannicelli caldi, palloncini e gessetti colorati, a partire dalla strage del Bataclan che è stato un vero e proprio atto di guerra nei confronti del paese, la reazione delle istituzioni si è sempre rivelata puerile e inadeguata.

Tali meccanismi non sono legati solo all’ineguaglianza, e al malcontento, bensì dipendono da canali della protesta che in un paese come la Francia vengono stroncati dal reato di islamofobia, ne sanno qualcosa gli intellettuali che hanno osato parlare e scrivere della questione islamica, come Eric Zemmur e Georges Bensoussan che sono finiti sotto processo.

Naturalmente è abbastanza facile intuire che questo movimento di protesta è portatore di un disagio diffuso nella società francese che vive un problema di insicurezza molto grave, così come è evidente che attori diversi hanno infiltrato il movimento provocando danneggiamenti vari, ma la cosa più grave, di cui il governo si guarda bene dal parlarne, è che in questo contesto si inseriscano soggetti legati al terrorismo islamico che avrebbero gioco facile in un contesto simile.

Il rischio che in Francia si affermino i movimenti islamisti è tutt’altro che remoto considerato che vi sono 6 milioni di musulmani, la violenza politica in tali contesti  è una sorta di affezione dell’organismo sociale, una deriva che diverge e vede gli individui mirare ad un cambiamento sociale, è molto probabile che gli islamisti non si faranno sfuggire una simile occasione. Appare ora in tutta la sua lucidità, la profezia del dimissionario ministro dell’interno la lucidità disperata dell’ex ministro degli esteri, il ministro degli Interni Gerard Collomb, il quale ha dichiarato che entro cinque anni la Francia sarebbe caduta nella guerra civile.

E’ altresì ridicolo che la Francia abbia chiuso le frontiere dopo che i buoi sono scappati, la responsabilità degli accordi fatti negli anni 60/70 con i paesi arabi per incoraggiare e diffondere l’islam in Europa ora sta dando i suoi frutti e non basterà a Macron respingere in Italia i migranti indesiderati.

Le banliueu di Parigi, nonchè l’erosione di alcuni arondisment da parte di immigrati, sono un fattore esplosivo che Macron non considera, il suo essere favorevole all’islam lo colloca in una posizione di vulnerabilità, cosa farà quando bande islamiche organizzate metteranno sotto scacco Parigi? Ne abbiamo avuto un’anticipazione dopo la vincita del mondiale di calcio quanto sia esplosiva la situazione ( http://caratteriliberi.eu/2018/07/17/agora/francia-la-brace-sotto-la-cenere/  )  il piano inclinato su cui sta scivolando il mediocre burocrate francese è molto scivoloso; pericoloso è il suo nichilismo quando pretende di aumentare il prezzo del carburante per favorire la vendita di auto elettriche, pericoloso il suo disprezzo per il popolo, pericolosa è la politica filo islamica che porta avanti; i francesi hanno alle spalle una tradizione di rivolte da non sottovalutare, e l’esasperazione popolare è un fattore non secondario, per non parlare dell’opportunismo che caratterizzerebbe eventuali infiltrazioni di islamisti pronti ad approfittare della situazione per prendere il potere, in quel malaugurato caso non gli basteranno l’Onu, la UE, il WTO e tutti i sacramenti a cui ha potuto far rifermento fino ad oggi.

Come dice Eric Zemmur: L’ideologia della mondializzazione, antirazzista e multiculturalista, sarà nel Ventunesimo secolo ciò che il nazionalismo fu nell’Ottocento, un progressismo messianico foriero di guerre; la guerra tra nazioni sarà sostituita dalla guerra all’interno delle nazioni. Sarà l’alleanza tra il “dolce commercio” e la guerra civile.

 

 

 

 

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