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Dalla capitolazione del fascismo alla liberazione

aprile 24, 2016 • Articoli, L'eco della memoria, z in evidenza

 

25-aprile

di Loredana Biffo

L’anticamera della liberazione, fu il 1943, anno in cui fin dai primi mesi la situazione politica e militare italiana presentava i segni evidenti della disfatta.

Con un esercito che era in ritirata su tutti i fronti; l’opinione pubblica dimostrava una forte avversione alla guerra per stanchezza e molti sacrifici materiali da questa imposti.
Il malcontento era acuito dalla penuria di generi alimentari che dava seguito a grandi scioperi nelle città del nord e nei distretti industriali. I gerarchi del fascismo si rendevano conto di essere in una situazione molto critica.

Fu la data del 25 luglio 1943 a segnare nella vita degli italiani, la fine del fascismo, sanzionato dall’opinione pubblica in maniera inequivocabile.

A questo punto al governo non rimaneva che trattare la resa; si dimostrò invece titubante perdendo del tempo prezioso che favorì i tedeschi e li agevolò nell’attuazione del loro piano.
Intanto le indecisioni italiane indussero gli alleati a feroci bombardamenti a tappeto nelle città, al fine spingere l’Italia a ribellarsi, a chiedere l’armistizio e la fine della guerra. Le conseguenze furono molto gravi, migliaia di distruzioni, in particolare sui Castelli Romani a Frascati dove aveva sede il comando tedesco.

In questo contesto in cui il fascismo era in disfacimento, nacquero le “Brigate Nere”, in un momento in cui il partito non aveva più alcuna funzione e aveva fallito, i fascisti vedevano come unica soluzione quella militare per arginare il “ribellismo” nelle varie città. Durante questa lotta, le brigate nere eguagliarono, se non addirittura superarono, le SS tedesche per atrocità e mancanza di umanità.

Il 23 settembre 1943, Benito Mussolini appena liberato dalla sua prigionia sul Gran Sasso, durante l’invasione degli inglesi e degli americani scelse un piccolo paese sulle rive del Garda in provincia di Brescia: Salò, per fondare la sede di alcuni uffici e ministeri del suo nuovo governo.

Nasceva la Repubblica Sociale Italiana (RSI), da cui il celebre film di Pier Paolo Pasolini: “Salò o le 120 giornate di Sodoma”.

La Repubblica di Salò fu l’ultima, la più tragica e grottesca incarnazione del regime fascista; un disperato tentativo di tornare alle origini del fascismo. Fu designato come il luogo di realizzazione di una nuova terza via tra socialismo e capitalismo.

Di fatto fu uno “Stato fantoccio” della Germania nazista e incapace di esercitare una vera politica ed ancor meno un controllo sul territorio, le sue bande armate erano dei pazzi criminali in lotta contro i partigiani quando non addirittura in lotta al loro interno.

La Germania nazista dal canto suo, che aveva spinto Mussolini a fondare questo luogo di decadenti orrori, non considerava più l’Italia un alleato affidabile.
Ai tedeschi interessava unicamente che la Repubblica di Salò pagasse le spese per mantenere le forze di occupazione della Germania e contribuire al reclutamento di manodopera per il lavoro forzato. Insomma, la Repubblica di Salò non fu altro che un governo utile ai tedeschi, e responsabile di gravi crimini di guerra.

Alcune delle sue formazioni come la “banda Koch”, si comportavano a tutti gli effetti da bande criminali che più che alla guerra pensavano a perpetrare estorsioni e ricatti.
Quando l’esercito tedesco abbandonò l’Italia nell’aprile del 1945 la Repubblica di Salò cadde, dopo 19 mesi e fu disciolta il 29 aprile 1945, quando il suo capo Benito Mussolini era stato ucciso il giorno prima.

All’inizio del 1945 era forte ormai la consapevolezza che sarebbe stato l’ultimo anno di guerra: la sempre più crescente sfiducia che serpeggiava tra le truppe fasciste e tedesche, il continuo avanzare dei fronti verso il cuore della Germania, le sempre più numerose diserzioni dall’esercito e dalle brigate nere della Repubblica di Salò, le notizie sempre più rassicuranti diffuse da “Radio Londra”.

Alla vigilia dell’insurrezione, alle formazioni partigiane dell’Emilia era richiesta dagli Alleati una maggiore collaborazione per impedire al nemico i movimenti di ritirata.
Scartata ogni possibilità di resistenza ad oltranza nel “ridotto” della Valtellina per poi riparare in Svizzera. Era l’ultima pazzia di menti esaltate.
La situazione sempre più difficile della pianura padana, il passaggio di una guerra guerreggiata avrebbe provocato la distruzione degli impianti industriali, fonti di energia, provocando ulteriori disastri in città già molto provate da tanti bombardamenti e la distruzione di una  possibilità di una ripresa economica del paese.

L’insurrezione si sviluppò nelle città e si estese nelle campagne , fu resa possibile dall’aiuto delle avanguardie russe e dagli anglo-americani. Anche in questa situazione in cui i tedeschi conservavano un’unità di comando, i fascisti dimostrarono tentennamenti mancanza di disciplina, disorganizzazione, e preoccupazione di trovarsi una sicura via di scampo.
A fine aprile i tedeschi chiedevano di deporre le armi in Italia e firmavano la resa presso i quartier generale di Alexander.

Il 26 aprile a Milano il CLNAI assumeva tutti i poteri in “nome de Popolo e dei Volontari della libertà” quale delegato del solo Governo legale italiano; esercitò questi poteri sino al 7 maggio quando si sarebbe insediato formalmente il Governo Militare Alleato (AMG).

Quindi i vari CLN regionali, provinciali e comunali si sarebbero trasformati in organi consultivi del Governo Militare stesso, le formazioni militari partigiane furono sciolte o inserite nella struttura statale come forze ausiliarie di polizia.

La carriera politica di Mussolini e di molti suoi gerarchi si concludeva tragicamente nei giorni dell’insurrezione di un popolo distrutto dalla efferatezza e durata della guerra.

La sentenza contro Mussolini si basava sull’articolo 5 del decreto del CLNAI per l’amministrazione della giustizia che comminava la pena di morte ai  “membri del governo fascista e ai suoi gerarchi colpevoli di aver contribuito alla soppressione delle garanzie costituzionali” .

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