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Il rapporto tra petrolio e instabilità politica

febbraio 20, 2015 • Articoli, Economia, z in evidenza

 

oro-petrolio

Redazione

Oggi il prezzo del petrolio al barile (indice Brent) si aggira sui 60 dollari circa, e potrebbe ancora scendere. Le cause del crollo del prezzo sono varie (leggi qui), eppure soltanto un anno fa nessuno prevedeva questo andamento. 

Come si vede nel grafico a lato, quasi tutti i paesi che sono grandi esportatori di petrolio avevano previsto di poter pareggiare il bilancio dello stato basandosi su prezzi molto superiori – in particolare l’Iran e il Venezuela, ma anche l’Iraq e la Russia. Ora saranno costretti a cambiare la politica fiscale, tagliando la spesa e alzando le tasse, o intaccando le riserve.

Alcuni paesi come il Venezuela hanno già quasi esaurito le riserve di valuta, a causa di politiche dissennate, e ora rischiano la bancarotta. I tagli ai sussidi e alla spesa faranno aumentare ulteriormente l’instabilità: le manifestazioni di protesta sono sempre più frequenti.

Altri paesi, come la Russia, possono sopravvivere per alcuni anni usando le riserve, ma non potranno fare a meno di ridurre la spesa pubblica nel lungo periodo. Se a questo aggiungiamo i problemi legati alla crisi ucraina e all’impoverimento dovuto alle sanzioni, anche Mosca quest’anno dovrà fare i conti con la dura realtà…

Il calo del prezzo del petrolio, che ha toccato quota 50 dollari al barile (indice Brent), ha grandi ripercussioni sull’economia mondiale, colpisce in particolare i paesi per i quali le esportazioni di petrolio e gas costituiscono un pilastro portante dell’economia. 

La diminuzione dei prezzi è dovuta a un aumento dell’offerta – in particolare negli USA – e a un calo della domanda dovuto al rallentamento dell’economia mondiale, soprattutto in Europa, Giappone e Cina.

L’economia mondiale nel suo complesso dovrebbe beneficiarne, alcuni paesi invece perdono molto.

Chi guadagna

·      Chiaramente i principali beneficiari sono i paesi importatori di petrolio, che non possiedono giacimenti.

o   L’Unione Europea: il calo del prezzo è una benedizione in questa fase; pare che una diminuzione del 10% del prezzo dell’energia porti la crescita di uno 0,1% del PIL.

o   La Cina: è il secondo maggior importatore di petrolio al mondo e ogni calo di prezzo di 1$ il barile per un intero anno significa un risparmio di $2,1 miliardi per i Cinesi.

o   L’India: importa il 75% del petrolio consumato internamente. Il calo dei prezzi potrebbe ridurre il deficit del paese e far scendere il costo dei sussidi ai consumi interni di energia. 

Chi perde

·      La Russia: l’energia (petrolio e gas, i cui prezzi sono legati) conta per 70% delle esportazioni totali del paese, contribuisce al 20-25% del PIL e al 30% del bilancio statale. Secondo alcune stime, ogni diminuzione annuale di $1 al barile comporta una perdita di circa $2 miliardi per la Russia. La Banca Mondiale stima che il PIL russo scenderà dello 0,7% nel 2015.

Inoltre la grave svalutazione del rublo, causata dalle sanzioni, ha spinto la banca centrale ad alzare i tassi al 17%, il che renderà più costoso l’accesso al credito e provocherà un ulteriore rallentamento dell’economia.

·      Il Venezuela: il petrolio rappresenta il 95% delle esportazioni e il 12% del PIL nazionale. Per poter mantenere gli attuali sussidi ai prezzi degli alimentari e dei beni di prima necessità sul mercato interno il Venezuela avrebbe bisogno di un prezzo internazionale del petrolio di circa $120 il barile! A fronte di un calo di prezzo di $1 dollaro al barile per un anno, l’export venezuelano perde $450-500 milioni.

L’economia del paese è in crisi profonda a causa delle politiche disastrose del governo: per coprire il deficit di bilancio dello stato nel 2013, pari al 17% del PIL , il governo Maduro ha stampato montagne di bolivares, portando l’inflazione al 60%. Ora Maduro è costretto a tagliare i sussidi, con rischio di rivolte e instabilità politica e sociale. 

·      La Nigeria: il petrolio costituisce il 90% delle esportazioni e l’80% delle entrate statali.

·      L’Iran: il petrolio costituisce l’80% delle esportazioni, il 60% delle entrate statali e il 25% del PIL nazionale. Teheran è in difficoltà: per finanziare i generosi sussidi ai beni di consumo sul mercato interno – che costano circa $100 miliardi l’anno e garantiscono la pace sociale e il sostegno al regime – il prezzo del petrolio dovrebbe essere di circa $130 dollari al barile.

A metà strada?

·      L’Arabia Saudita: è il maggior esportatore di petrolio al mondo e il membro più influente dell’OPEC. Nonostante il calo dei prezzi, ha deciso di mantenere alta la produzione, sia per ragioni politiche che economiche: da un lato per causare un danno al rivale regionale, l’Iran, dall’altra per mettere fuori mercato i produttori americani e toglier loro la voglia di investire ulteriormente e conquistare altre fette di mercato.Il calo del prezzo del petrolio causerà minori entrate per circa 90 miliardi di dollari nel 2015, ma nel breve termine non dovrebbe causare instabilità dato che Riyadh può attingere a riserve monetarie pari a circa 700 miliardi di dollari.

·      Gli Stati Uniti: la produzione USA è ai livelli più alti degli ultimi trent’anni, grazie all’estrazione del petrolio da scisti. Secondo alcuni studi i profitti dei produttori americani si azzerano se il prezzo scende al di sotto di $60 dollari al barile – anche se il dato varia di stato in stato, a seconda dei costi di produzione (vedi grafico a lato che include anche produttori canadesi).

È probabile che l’attuale prezzo del petrolio scoraggi ora nuovi investimenti, ma i produttori già attivi continueranno a produrre e vendere, se non altro per coprire il costo di ammortamento degli impianti .

 

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