Elezioni Iran, da Rouhani a Raisi nel segno della continuità
di Loredana Biffo –
Gli scenari geopolitici degli ultimi mesi, hanno oggettivamente dato un’immagine del diffondersi della guerra e del terrorismo nel Medio Oriente che rappresenta una minaccia per la pace e la stabilità mondiale. Le elezioni presidenziali iraniane del 18 maggio (considerate dalla maggioranza del popolo una farsa) hanno dato come vincitore Ebrahim Raisi, e come da consuetudine, le principali fonti di informazione italiane lo dipingono come il “presidente eletto dagli iraniani” con la maggioranza dei consensi (va da sé che le dichiarazioni del ministero degli interni iraniano sono inattendibili), mentre nella realtà il popolo iraniano considera le elezioni una farsa di regime funzionale a mantenere una parvenza di solidità e credibilità con l’estero, in particolare quei paesi – come l’Italia – che con l’Iran ha sostanziosi giri d’affari.
Da tempo gli iraniani boicottano le elezioni e definiscono Ebrahimm Raisi il “Boia del 1988”, data in cui in accordo con Abdoleza Masri, già vice presidente del parlamento e membri ambedue della famigerata “Commissione della morte” (di cui faceva parte anche Rouhani il presidente uscente che sotto la sua presenza ha fatto giustiziare il più alto numero di dissidenti rispetto al governo di Admadinejad), fecero massacrare 30.000 prigionieri politici. Numerosi sono stati gli appelli da parte della presidente eletta del CNRI (movimento politico di opposizione al regime degli ayatollah) Maryam Rajavi di disertare le elezioni, questo ha naturalmente messo in agitazione Ali Khamenei il quale ha tuonato che non votare equivale a commettere un crimine religioso. La risposta è prontamente arrivata dalle madri dei dissidenti uccisi nel novembre 2019 durante le rivolte, e che hanno continuato ad invocare il boicottamento delle elezioni e lavorare per il rovesciamento del regime, per il quale la situazione si fa sempre più difficile per via della crisi economica disastrosa che esso stesso ha determinato a causa della corsa al nucleare che assorbe tutta la ricchezza nazionale insieme al finanziamento dei più importanti gruppi terroristici in Medio Oriente quali Hamas ed Hezbollah oltre che quelli destinati al terrorismo internazionale.
Se khamenei cedesse alle richieste popolari sull’economia, e sui diritti umani, la conseguenza sarebbe fatale per il regime, perché dovrebbe ammettere con la comunità internazionale le responsabilità sul finanziamento al terrorismo e sul perseguimento del nucleare ai fini della costruzione delle armi. Ma non solo, questo darebbe il via ad una vera svolta nel mettere in atto le riforme che sarebbero fatali al regime per la sua stessa esistenza. Questo è il motivo per cui è improprio, se non truffaldino, parlare di un’area riformista all’interno del governo clericale iraniano, nel quale non può essere presente alcunché di moderato e riformista, perché questo comporterebbe la sua implosione; quello iraniano così come tutti i regimi, si mantiene al potere unicamente attraverso la repressione e la violazione dei diritti umani.
Del resto la scelta di Khamenei di adottare durante la campagna elettorale una posizione sempre più aggressiva squalificando tutti i candidati non perfettamente aderenti al suo volere, per determinare l’elezione del fedelissimo Raisi, ha suscitato ancora di più il risentimento popolare, le ribellioni e le proteste sono state limitate nell’ultimo anno dalla situazione legata al covid, a causa della mancanza di cure e medicine la popolazione ha subito molte perdite, ma il magma ribolle, e molto probabilmente non mancheranno nuove proteste e di conseguenza nuove torsioni autoritarie del regime nei confronti dei dissidenti.
L’ascesa di Raisi potrebbe essere fatale al regime, soprattutto per il fatto che questi è stato una figura chiave del massacro degli oltre 30.000 prigionieri politici del 1988 a seguito di un decreto religioso emesso da Khomeini per colpire i membri dell’OMP/MEK (la dissidenza interna all’Iran) che si rifiutavano di denunciare i loro collaboratori di lotta contro il regime, da allora Raisi è stato appunto definito il “Boia del 1988”; questa importante data rappresenta una ferita mai rimarginata del popolo iraniano che da allora ha portato avanti numerose rivolte pagandone sempre grandi tributi di sangue.
Questa dovrebbe essere una lezione e un monito per la comunità internazionale che continua a fare affari con un regime e con un paese che non può essere definito normale, dove la parola riformismo è un termine vuoto coniato dagli occidentali per coprire il fatto che con questo si continuano a portare avanti molti interessi commerciali, si pensi che le numerose gru a cui vengono impiccate centinaia di persone ogni anno, sono di produzione italiana.
E’ recente un rinnovato appello da parte della Resistenza e di Amnesty International per avere informazioni sul prigioniero politico Arzhang Davoodi detenuto nella prigione di Zabul, che sollecitano le Nazioni Unite ad andare a visitarlo per accertare le sue condizioni, Davood 68 anni, laureato in Ingegneria meccanica e gestione industriale all’Università del Texas, è detenuto nelle condizioni più spaventose da 18 anni senza i diritti minimi. È stato frequentemente trasferito da una prigione all’altra, da Evin a Gohardasht, Ahvaz, Bandar Abbas, Zabul, e sottoposto sicuramente a torture e vessazioni come nella peggiore tradizione delle carceri iraniane.
Davoodi fu incarcerato nel 2003 con l’accusa di “aver offeso Khamenei”. Il regime continua a torturarlo a causa della sua resistenza e perseveranza. Inizialmente era stato condannato a 15 anni di carcere e a cinque anni di negazione dei diritti e deportazione nel sud dell’Iran. In seguito è stato condannato ad altri cinque anni di carcere con l’accusa di sostenere l’Organizzazione dei Mojahedin del Popolo dell’Iran (OMPI/MEK). Nel 2018, dopo essere stato convocato da Mohammad Khosravi, il capo della prigione di Zahedan, Davoodi ammanettato fu spinto giù per le scale dal secondo piano dal vicedirettore del carcere Gholamreza Qadir. Come risultato di questo atroce crimine, ha avuto una spalla ed entrambe le gambe fratturate e le vertebre lombari gravemente ferite, al punto che non può più camminare e deve usare un deambulatore, ha fatto lo sciopero della fame molte volte. Del resto questo è solo uno dei tanti casi che vanno al “merito” del regime.
E c’è da essere certi che Khamenei ha avuto un ruolo determinante nel far salire al comando il suo pupillo Raisi certamente per stringere ancor più la morsa sul popolo ribelle, che si troverà ad aver a che fare con un regime sempre più feroce perché sempre più contestato.
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