“Case Chiuse”, il mestiere più antico del mondo e l’involuzione culturale
di Loredana Biffo –
I governi cambiano, ma il tentativo di istituzionalizzare la prostituzione rimane una costante nel tempo; le lenti attraverso le quali si interpreta la questione della prostituzione sono sempre le stesse, l’idea della “regolamentazione della mercificazione del corpo” affonda le radici in un passato remoto, i processi culturali che connotano questa condizione si sono modificati di poco e in ogni ambito politico non viene mai meno il tentativo di smantellare la legge voluta da Lina Merlin nel 1958, contestata anche allora e bollata come “bigotta”. In parlamento l’opposizione di monarchici e missini aveva fatto slittare l’approvazione per dieci anni, dal 1948 al 1958.
Oggi attraverso considerazioni di carattere legale e morale, si tenta di smantellare la legge, sostenendo che lo sfruttamento delle donne non è diminuito – come se questo dipendesse dalla legge Merlin – anziché da un fattore culturale. Ed proprio da tale fattore culturale che è necessario partire, per comprendere le ragioni e la nascita del fenomeno della prostituzione, considerato il “mestiere più antico del mondo”, ma che in realtà più che un mestiere, si tratta di una “condizione” a cui la donna è stata assoggettata nel corso dei secoli.
Poiché è sullo sfruttamento sessuale che si sono poste le fondamenta della civiltà basata sull’ avvilimento delle mansioni femminili e sull’efficienza del lavoro maschile, si rende necessario esaminare le conseguenze di questo controllo esercitato dagli uomini sulle donne, ricollegando il fenomeno all’ambito che l’ha stabilizzato. La causa primaria di questi rapporti gerarchici è ravvisabile nella “divisione della vita sociale”. A partire dai greci, considerati il popolo più civile dell’antichità, grazie a loro, la prostituzione diviene uno strumento di dominio dell’uomo sulla donna.
Nel territorio laconico vi erano due luoghi chiamati Lìmnai (paludi), il nome stesso di Lìmnai definisce l’Artemide che era venerata in questo luogo come la dea dell’acqua. Questo aspetto acquatico è un tratto semantico caratteristico tanto della figura di Artemide quanto di quella delle figure a lei associate: le Ninfe. In questo santuario Pausania, nella sua descrizione delle cause della prima guerra messenica, lo cita come luogo in cui avvenne l’atto di violenza compiuto dai Messeni sulle fanciulle spartane che vi festeggiavano Artemide. Secondo la versione spartana, le fanciulle dopo essere state violentate dai Messeni, per la vergogna si diedero la morte.
Non è necessario insistere sulle connotazioni di adolescenza femminile che è evocata dalla scena della violenza fatta alle vergini laconiche nel santuario di Artemide Lìmnitatis, studiando sui testi altre scene simili si può riscontrare che l’adolescenza è caratterizzata, agli occhi dei Greci, proprio per il fatto che in tale periodo la fanciulla è sessualmente matura, ma non ancora sposata, suscita il desiderio degli uomini, rifiutandosi però di cedere ai loro approcci, li induce all’azione violenta. Ecco la costruzione del concetto che la violenza sessuale maschile è giustificata dalla provocazione femminile, concetto che si ritrova a percorrere i secoli e a pervadere le società tutte, con una interiorizzazione da parte della donna come una “colpa” che la induce a provare vergogna pur essendo in realtà essa stessa una vittima.
La funzione del culto di Artemide Lìmnitatis, come una preparazione delle adolescenti al ruolo di donne adulte è una immagine che corrisponde perfettamente a quella della violenza di cui sono vittime le fanciulle greche in tale età, violenza di cui loro sono consapevoli, che segna il passaggio all’età adulta, e che spesso riescono ad evitare solo attraverso il suicidio.
Pausania racconta che Aristomene, che fu il campione della rivolta messenica contro gli invasori spartani, dopo un attacco notturno condotto contro Sparta e reso vano dalla miracolosa apparizione di Elena e dei Dioscuri, si appostò con i suoi soldati presso il santuario di Artemide a Karyai, sorprendendo le giovani Spartane che vi danzavano in onore della dea, rapì quelle i cui padri occupavano a Sparta le posizioni più elevate. Con il rapimento delle vergini, si voleva colpire l’aristocrazia spartana, il ratto e lo stupro, inseriti in una visione parastorica, il cui fine è la difesa ideologica di un’azione politica. Certamente, nella narrazione che riguarda Limanai il suicidio delle ragazze è provocato dallo stupro, mentre a Karyai sembra essere causato dalla paura dello stupro, questa ipotesi non è senza significato analogico, poiché anche Aspalis, per esempio si suicida per paura; la violenza subita dalla vergine o la paura che ella prova, si oppongono nello stesso modo alla sessualità consapevole della donna adulta.
I due culti paralleli di Artemide e Lìmnitatis e di Artemide Karyatis segnano con ogniprobabilità l’ingresso delle adolescenti nel periodo della pubertà. Si può dire che dati i confini del territorio laconico, questi erano luoghi di segregazione necessari a riti di iniziazione tribale. Alcuni miti connessi a questi sono conferma di tale ipotesi, nella misura in cui esprimono il rifiuto della sessualità adulta e il passaggio a un momento di annientamento e di morte, che segnano la separazione delle puberi, dall’ordine dell’infanzia e il loro ingresso nel caos di un periodo in cui sono negati loro sia l’ordine antico sia l’ordine nuovo, quello della città adulta che le attende.
Con il rivolgimento politico della nascente polis nel VI sec. a.C, all’aumentare della complessità dei rapporti sociali, si assisteva al declino del potere aristocratico, attraverso la trasformazione delle comunità agricole in organizzazioni più sofisticate; vi fu una consapevolezza nuova da parte dei ceti agiati, che il benessere e la sopravvivenza dipendevano dalla nascita di leggi pubbliche, che rendessero effettiva la organizzazione della giustizia.
Solone istituì l’ Ecclesia, l’assemblea di popolo, composta da quattro classi con compiti e diritti diversi, ma anche se modificò completamente i rapporti sociali, non incluse ovviamente gli interessi femminili, bensì solo quelli dei cittadini maschi al di sopra dei venticinque anni. Pur essendo considerato un legislatore democratico, Solone fu bersaglio di diverse polemiche, a seconda degli interessi della classe in gioco, però su quella che era riconosciuta come una necessità collettiva dei maschi, a questo scopo vi fu l’unanimità: “l’istituzionalizzazione della prostituzione”. Fu lui ad inventare le “case chiuse”, utilizzandone i guadagni per finanziare le pubbliche imprese. Inoltre questa impostazione interclassista, in materia sessuale, servì ad evitare una sanguinosa rivoluzione. La complicità fra le classi era radicata nella convinzione di possedere entrambe dei diritti sul corpo femminile, egli fu il primo grande legislatore della storia della prostituzione, basandosi sul presupposto della “diversità” tra uomini e donne, che sanciva l’inferiorità femminile, grazie alla quale queste ultime venivano escluse da ruoli di responsabilità. Questo modello culturale fu reiterato nel corso dei secoli, arrivando anche ad escludere prima, e ad osteggiare poi in modo significativo le donne dall’ambito degli studi scientifici, considerati “più adatti” agli uomini per via della prevalente “razionalità” in antitesi con “l’emotività” femminile.
Ateneo nel II-III sec. a.C commemorava l’invenzione delle case chiuse:
“ Tu trovasti, o Solone, una legge adatta per tutti gli uomini: ed essi dicono che fosti il primo ad adottare questo provvedimento, un provvedimento democratico, Zeus mi è testimone, e salutare (si conviene ch’io lo dica, o Solone); vedendo la nostra città piena di giovani, vedendo anche che essi erano in preda agli impulsi della natura, e cercavano uno sfogo seguendo una strada che non avrebbero dovuto percorrere ( e che li avrebbe condotti all’omosessualità), ponesti nei diversi quartieri donne disponibili per tutti. Esse attendono svestite, per non deludere dopo i clienti, che possono così contemplarle a piacimento. Forse non ci si sente pienamente in forma o forse c’è qualche cosa che rattrista.Ebbene le loro porte sono aperte: prezzo un obolo, non resta che entrare. Non si si troverà né ritrosia, né stupidità, né ribellione da parte delle ragazze: si potrà andare direttamente allo scopo, in qualsiasi maniera vi si desideri arrivare……….E uscendo si potrà mandarle al diavolo: esse non contano nulla.”
In questo modo si istituzionalizzò il potere dell’uomo sulla donna, in un duplice modello di moralità sessuale riscontrabile in tutti i ceti, che erano divisi da conflitti sociali, ma concordi nel sentirsi tutti singolarmente “padroni” della donna sia in casa che fuori. Poiché il matrimonio era inteso come un mezzo per garantire la continuità della stirpe, e non come mezzo per soddisfare le passioni, era consentito all’uomo ammogliato la facoltà di avere “distrazioni” attraverso l’uso della prostituzione legalizzata, anche perchè era estremamente rischioso avere rapporti con donne sposate, in quanto vi era da parte di Solone l’autorizzazione per il capofamiglia, di uccidere l’amante della moglie; questa veniva poi ripudiata senza possibilità di tolleranza da parte del marito, visto che in tal caso anche lui sarebbe stato colpito da infamia e riprovazione sociale continuando a vivere con una donna infedele. Tutto ciò era strettamente connesso all’autorità sconfinata, a cui la legge non poneva alcun freno e che i maschi della famiglia esercitavano contro chi avesse osato violare la castità del ginececo, giacchè l’offesa, anche se è superfluo aggiungerlo, era considerata contro il marito e non contro la donna, la quale rimaneva al livello che le era proprio: quello di essere una “proprietà”.
La sopraffazione maschile si stabilizzava ai due poli estremi della “sacralità della vergine” e la “disponibilità della prostituta”, entrambe considerate come oggetti manipolabili, scambiabili e completamente privi di autonomia. Queste erano le forme di sessualità eterodirette, che corrispondevano a due istituzioni fondamentali e complementari nell’ordine sociale: “la famiglia e il bordello”. Un fatto indubbiamente degno di nota, è che consapevolmente o no, la famiglia greca è stata artefice di continua violenza sulla donna, attraverso costrizioni e privazioni in ogni campo, l’alienazione femminile era totale, rassegnata al pagamento di un tributo: la perpetuazione della specie e l’annullamento di una sessualità attiva.
L’inerzia del comportamento sessuale femminile non era (come avrebbe detto Aristotele secoli più tardi) una predestinazione biologica, ma il prodotto dei rapporti di forza tra i sessi, che nella sfera privata come in quella sociale trovava esercizio, si pensi all’uso di incoraggiare e confortare, da parte materna, le spose in vista della prima notte, in cui l’uomo sprangava la porta della camera da letto per perpetuare e commemorare gli usi violenti del passato e nell’intento di affermare la supremazia, l’arrendevolezza da parte femminile era una caratteristica comune sia alla moglie che alla prostituta.
Era l’epoca in cui si stabilizzava l’esuberanza maschile e si decretava che nessuno poteva essere fatto schiavo per debiti, invece alle donne rimaneva solo la sopportazione, mentre gli uomini dimostravano di non rinunciare nemmeno in camera da letto alla loro superba arroganza di cittadini. Le donne invece, venivano confinate al loro ruolo domestico, e gli uomini erano impegnati nella gestione della collettività, secondo funzioni che variavano in relazione al grado sociale. E’ chiaro che in una società fortemente stratificata come quella ateniese, gli effetti della divisione del lavoro, portarono a forme di occupazione coatte e subordinate attribuibili a determinati gruppi sociali, nonché all’imposizione di un compito, il più disprezzato, in virtù del sesso di appartenenza.
I greci giustificavano la diversità dei ruoli riconducendola ad un fondamento biologico; inoltre ritenevano opportuno vietare alle donne di dedicarsi alle attività maschili. Per esempio Aristotele esprimeva la questione scrivendo nel 34a.C., che era impossibile sostenere che le donne dovessero avere le stesse occupazioni dell’uomo, quando a questi s’interdiceva il lavoro domestico, affermando così la divisione dei compiti in un principio universale aprioristico, che non veniva poi sconfessato nella realtà in quanto si manifestava come realtà.
E’ facile comprendere quanto fosse degradante la condizione della donna dal disprezzo nutrito dagli uomini per qualunque tipo di attività si svolgesse dentro o fuori dal ghetto familiare; questo è un aspetto che si rafforza e consolida nella monogamia, il luogo di applicazione del controllo sessuale ed economico che gli uomini esercitavano sulle donne. Del resto la schiavitù nella società ateniese del IV sec. a.C., aveva origine nel modello di organizzazione del lavoro , che alimentò il divario esistente a livello sessuale avvallato dalla necessità sociale della divisione dei compiti a partire dal sistema parentale.
E’ ragionevole pensare che tale divisione proposta come socialmente necessaria si sia reiterata nel corso dei secoli, e che sia una delle cause della inadeguata emancipazione femminile, si pensi alla condizione della donna nel mondo islamico e al fatto che questa venga addirittura proposta come accettabile anche dal mondo occidentale – che pure ha avuto i movimenti femministi – in virtù di una “cultura altra” che deve essere rispettata, riportando quindi indietro le dinamiche sociali dalle quali si è cercato di evolversi.
Il mondo arcaico è stato la culla della divisione dei compiti, e la separazione si era già strutturata nella subalterna disponibilità delle funzioni produttive e riproduttive delle donne; la polis non fece altro che avvallare le stratificazioni sociali e sessuali, le conoscenze specialistiche e i surplus, si sviluppò quindi come una società più evoluta e complessa, che riproponeva sugli ormai consolidati piani strutturali e storici, la donna come oikurema, cioè “cosa destinata al lavoro domestico”, l’alternativa erano i bordelli. A secoli di distanza, non vi è dubbio che il problema dell’emancipazione femminile è ben lungi dall’essere risolto se vi è ancora chi sostiene la necessità della riapertura di quelli che sono stati luoghi di sottomissione e schiavitù voluti dagli uomini dominatori, e le dominate hanno fatto propria l’ideologia dominante.
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