MENU

Pantomima spudorata

aprile 27, 2018 • Articoli, Cultura e Società, z in evidenza

di Niram Ferretti –

Da tempo Moni Ovadia si è costruito addosso con furbizia l’immagine dell’ebreo cosmopolita e “colto”, anche se dovrebbe saperlo un uomo colto che captatio benevolentiae si scrive senza zeta pur pronunciando la parola come se ci fosse. Tuttavia nel suo ultimo bercio sul Manifesto l’espressione appare stampata con la z di Zorro. I tipografi non se ne sono accorti. Anche a loro occorre dare lezioni di latino.

Impresario di se stesso, l’attore, si presenta sul palco della vita, estensione diretta di quello del teatro, come l’esempio più fulgido dell’ebreo della diaspora, multiculturale e multietnico, una sorta di sintesi vivente di ciò che essa condensa in sé, perché in lui convive ogni anima ebraica, ogni tradizione.

Moni Ovadia non è solo questo, sarebbe troppo poco, egli è anche e soprattutto il paradigma di ciò che la kultur televisiva e da salotto vuole che i gentili credono sia o debba essere un ebreo. Poiché i salotti televisivi che lo ospitano e i palcoscenici teatrali su i quali si esibisce sono i luoghi deputati della rappresentazione, e lui, essendo un attore incarna un’idea, anzi l’idea platonica dell’ebreo in quanto tale, e il primo a crederci è lui, se no come farebbe ad autoconvincersi e a convincere gli altri?

Di questo cabotin c’è poi un altro aspetto che va evidenziato, si tratta di un ideologo di estrema sinistra, e in quanto tale, come tutti gli ideologi è parlato, null’altro è se non il portavoce di un dispositivo linguistico incistato nella mente. Una volta attivato, il dispositivo ha una vita propria. Gli Ovadia di questo mondo, come i Willi Muzenberg, sono solo strumentali alla sua sopravvivenza.

In un suo pezzo di qualche tempo fa, Deborah Fait scrisse di lui “Ehhh sì, avevo fatto i conti senza l’oste, eccolo là, al varco, il solito menestrello dei palestinisti, eccolo il Moni Ovadia così pieno di fiele che mi meraviglio non ci si soffochi. E’ arrivato puntuale lavandosi la bocca con parole spregevoli e indegne di qualsiasi essere umano “Oggi l’olocausto è nella fossa comune in fondo al Mediterraneo….l’ebreo è divenuto il totem ma l’ebreo di oggi è il rom, è il musulmano, il palestinese…”.

Come si fa a essere così in sintonia con lo Zeitgeist? Semplice, bisogna non avere idee proprie ma avere trasformato la propria mente nel guardaroba in cui si accetta solo ciò che è più di moda. Ovadia è talmente demagogico che al suo confronto l’eloquio di un Vauro qualunque diventa aulico, assume i contorni di quello funambolico di Nietzsche. Ascoltiamolo di nuovo. “L’ebreo di oggi è il rom, è il musulmano, il palestinese”. Toccare così basso il basso non è da tutti, ci vuole un talento radicato o forse più di un talento, una tara radicata. Sono vertici che appartengono all’Essere, e contro l’ontologia è difficile combattere.

Certo gli è sfuggito lo yazida, il royinga, il curdo, il siriano, e il cristiano. Ma sarà per una prossima puntata, durante un altro spettacolo con musica klezmer e kippah a spicchi colorati come un carretto siciliano. Intanto dalla tribuna rossa fuoco del kompagni del Manifesto, per il 25 aprile ci regala altre parole. Lui, il pantomimo più sfrontato se la prende con “La pantomima delle comunità ebraiche (di Roma e non solo) che non partecipano alla Manifestazione unitaria del 25 aprile, giorno della liberazione dal nazifascismo, si ripete mestamente. Uguale il gesto sdegnato, uguale la delirante motivazione”.

E quale sarebbe la “delirante motivazione”? “Che «nella manifestazione sfilano le bandiere di coloro che settanta anni fa furono alleati dei carnefici nazisti». Quali? Quelle dei risorgenti partiti neonazisti est europei polacchi, ungheresi, ucraini?”

E qui occorre soffermarsi. Ovadia vede il neonazismo alle porte in Est Europa. In Polonia poi, vanno fortissimo i neonazisti, non parliamo dell’Ungheria. Peccato si sia dimenticato dell’Austria e della Germania. Infondo sono paesi che alla causa hanno pur dato qualcosa. Sarà per un’altra volta. Féerie pour une autre fois, tanto per citare Céline, che se ne intendeva. Ma torniamo al sacro testo.

“No, quelle dei palestinesi, che secondo la pagliaccesca propaganda di Benjamin Netanyahu avrebbero convinto il «mansueto» Führer Adolf Hitler, contro la sua volontà e disponibilità verso gli ebrei, a sterminarne invece sei milioni”.

Ovadia storico è meno abile dell’attore che si esibisce sulla scena. La storia non è la sua materia. Sì capisce che la colpa sia del Cavaliere Nero Netanyahu. No, non fu il Mufti di Gerusalemme a convincere Adolf Hitler della Soluzione Finale nel 1941 quando lo incontrò a Berlino. Netanyahu fu troppo zelante nell’attribuire al leader religioso musulmano questa responsabilità.

Il Mufti si offri solo come manodopera per la Soluzione Finale in Palestina. Qualora Rommel avesse vinto in Nord Africa, il Mufti era pronto ad occuparsi degli ebrei palestinesi. Sì, si chiamavano così. Forse il pantomimo non lo sa, lui è troppo affezionato al pueblo “autoctono” che sorse nel 1967 creato a Mosca in combutta con l’OLP e in funzione anti-israeliana.

E poi? E poi si scatena la frenesia della demagogia.
“Anche 500.000 Rom e Sinti, tre milioni di slavi, decine di migliaia di disabili (inferiori rispetto alla «razza pura»), di antifascisti, migliaia di omosessuali, testimoni di Geova e di socialmente emarginati, senza dimenticare milioni e milioni di civili sovietici. Ma costoro poco interessano ai dirigenti delle comunità ebraiche. Che accetterebbero volentieri i vessilli di ogni altro popolo oppresso che volesse sfilare nelle manifestazioni del 25 aprile per rivendicare i propri diritti. Ma i palestinesi no! E perché no? Per pedissequo ossequio allo scellerato progetto segregazionista e razzista del premier israeliano Netanyahu”.

Netanyahu il segregazionista e il razzista, lettore di Houston Stewart Chamberlain e di de Gobineau, estimatore di Cecil Rhodes. La segregazione palestinese. Quella delle Area A e B della Giudea e Samaria, dove, dal 1993 le due porzioni del minuscolo territorio sono sotto sovraintendenza e amministrazione palestinese. Ex feudo del boss Arafat e poi del suo successore Abu Mazen. Oppure l’altra segregazione, quella di Gaza, dove dal 2007, Hamas, applicando il rigorismo salafita del compianto sceicco Ahmed Yassin, tiene in ostaggio la popolazione. Ma Ovadia, non può raccontare la realtà. E’ impedito dalla forma mentis, rigida, sclerotizzata.

“Un governo antifascista non opprimerebbe mai un altro popolo, non lo deprederebbe delle sue legittime risorse, non ruberebbe il futuro ai suoi figli, non colonizzerebbe le terre assegnategli dalla legalità internazionale come sistematicamente e perversamente fa il governo Netanyahu sorretto dal presidente americano Trump che si appresta all’affronto a est di spostare l’ambasciata Usa a Gerusalemme (occupata a Est)”.

E’ troppo. Ancora il basso che tocca il fondo. Siamo all’orgasmo dell’apparatčik, ci troviamo al cospetto della voluttà della menzogna. “Governo antifascista”. Ovadia ha un debole per i governi “antifascisti”, da quelli sovietici, cubani e venezuelani a quelli di Hamas e dell’Autorità Palestinese. Quanto al resto, non sa nulla di diritto internazionale, di trattati, non sa che nessuno ha mai assegnato al pueblo della sua immaginazione alcuna terra, che Giudea e Samaria o Cisgiordania sono, dal 1923, in virtù del Mandato Britannico per la Palestina mai abrogato, nella disponibilità ebraica, poiché esso stabiliva che gli ebrei potessero dimorare ovunque ad occidente del Giordano.

Finge di non sapere che i territori in Cisgiordania sono contesti, e che non hanno alcun legittimo detentore sovrano. Non sa che la Risoluzione 242 del 22 novembre 1967 stabilisce che Israele debba lasciare i territori conquistati dopo la Guerra dei Sei Giorni, ma non tutti i territori. Finge di non sapere che Israele ha restituito il Sinai all’Egitto nel 1979 e Gaza ai palestinesi nel 2005. Non ci dice che Gerusalemme Est, per 19 anni fu sotto dominio giordano completamente illegale e che il Muro Occidentale, il luogo più santo per gli ebrei, venne loro inibito così come furono distrutte le sinagoghe e le scuole ebraiche e che solo oggi essa è accessibile a ebrei, musulmani e cristiani.

Parla di depredazione di “legittime risorse”, quando in Cisgiordania, all’interno delle aree A e B, Abu Mazen fa il bello e il cattivo tempo, lì e a Gaza, dove è il rais palestinese di Fatah che rifiutandosi di pagare l’elettricità a Hamas ha causato il suo razionamento. Ma nell’epos coloniale stile Via Col Vento, che tanto piace ai palestinisti come Ovadia i “negri” palestinesi sono stabilmente gli umiliati e offesi.

La realtà, i fatti, si disintegrano sul tavolo del palcoscenico perenne dove viene recitata sempre la stessa pièce teatrale di questo paladino a intermittenza dei Diritti Umani, di questo impersonatore di un ebraismo da operetta: quella in cui i terroristi di Hamas che discendono dai Fratelli Musulmani che fecero tradurre in Medioriente il Mein Kamp e I Protocolli, e che ornano la bandiera palestinese con la svastica come è successo in questi giorni a Gaza, discendenti degli stessi che negli anni ’30 e ’40 erano dalla parte di Adolf Hitler, sono i buoni mentre Israele è la Morte Nera.

Ma, secondo il paladino, fa male la Comunità Ebraica a prendere le distanze da chi porta in piazza il giorno della liberazione dal nazifascismo le bandiere palestinesi, le sue ragioni sono “deliranti”…Fa male…mentre il nazismo sta risorgendo in Polonia e in Ungheria…
Per fede o per interesse o per tutte e due accorpate, l’intelligenza non ha più dimora quando è svenduta così spudoratamente all’ideologia.

Print Friendly, PDF & Email

Comments are closed.

« »