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Curdi siriani e Turchia

dicembre 20, 2017 • Articoli, Medio Oriente, z in evidenza

Redazione –

Il 4 dicembre l’esercito russo ha fornito supporto aereo alle milizie siriane che combattono lo Stato Islamico in Siria, incluse le Unità di Protezione Popolare curde (YPG).

Fino ad ora non c’è stata reazione da parte del governo turco. Ankara considera il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), che opera in Turchia e compie frequenti attentati contro l’esercito, la prima minaccia alla sicurezza del paese, e vede l’YPG come un’estensione del PKK. Ankara si oppone a entrambi.

È chiaro che la Turchia disapprova il supporto russo all’YPG. Rimane in silenzio perché in questo momento non potrebbe affrontare un contrasto con la Russia, ma opera attivamente contro il YPG alla sua frontiera. Afrin, provincia siriana sul confine turco, è controllata dall’YPG. La Turchia espande da mesi le sue operazioni militari su Afrin per limitare il controllo curdo lungo il suo confine.

A metà settembre Turchia, Iran e Russia si sono accordate per creare una zona di distensione nella provincia siriana di Idlib, dividendosi le aree di sorveglianza. Russia e Stati Uniti discutono da mesi un accordo simile per altre zone abitate da Curdi, ma la Turchia non vede di buon occhio tale accordo.

La Russia e la Turchia hanno interessi contrastanti nel Mar Nero, nel Caucaso e in Siria. Il Bosforo è un imbuto fra il Mar Nero e il Mediterraneo, che sia la Russia sia la Turchia vogliono controllare. I due paesi si contendono anche l’egemonia sulle popolazioni del Caucaso, zona cuscinetto tra Russia e Turchia.

Mosca cerca di limitare il potere turco in Siria e vuole impedire che Iran e Turchia diventino attori importanti nella regione: le due potenze regionali potrebbero minacciare gli interessi russi nel Caucaso, nel Mar Nero e nel Mar Caspio. Questa competizione di fondo rende improbabile un’alleanza strategica di lungo periodo fra la Russia e la Turchia.

Il silenzio turco nei confronti dell’aiuto russo ai Curdi non è segno di accettazione. Il silenzio è parte temporanea della strategia turca. Ankara dovrà perseguire i suoi interessi, primo fra tutti l’indebolimento e il contenimento dei Curdi siriani, e non può permettersi di rimanere ferma a lungo.

I Turchi avevano già inviato militari in Siria a sostegno dell’operazione ‘scudo dell’Eufrate’ contro l’ISIS, ma ne avevano approfittato per condurre attacchi soprattutto contro i combattenti curdi del Rojava, impegnati a combattere l’ISIS.

La Turchia ha sostenuto per anni alcune forze ribelli a Idlib. Nel corso del 2016 le ha abbandonate e ora pare aver raggiunto un accordo con i Russi, che invece sostengono Assad.

Nei mesi scorsi si sono tenuti molti incontri ad Astana (in Kazakhistan) fra rappresentanti di Iran, Russia e Turchia, oltre che di alcune milizie ribelli. Il risultato è stata la decisione di aprire ‘aree di raffreddamento’ (de-escalation zones) in Siria, da cui permettere la ritirata dei combattenti verso altre regioni, o il loro ritorno a casa e l’abbandono delle armi. La zona di Idlib è una di queste aree, e la Turchia pare aver ottenuto il compito di riportarvi l’ordine, anche a nome dei Russi e di Assad.

Il completo voltafaccia della Turchia nell’arco degli ultimi 18 mesi è frutto della consapevolezza che i ribelli ormai hanno perso, che Assad non cadrà finché non lo lasceranno cadere i Russi. Inoltre le forze ribelli che ancora non hanno abbandonato la battaglia sono divenute più radicalizzate e tendono ad accorparsi con il gruppo più forte, che è Hayat Tahrir al-Sham, cioè al-Qaeda in Siria, anche perché negli ultimi mesi gli USA hanno cessato di fornire armi ai ribelli, mentre al Qaeda è ben armata. Sostenere al Qaeda alle proprie frontiere non è cosa che i Turchi intendano fare.

Benché volesse la caduta di Assad, la Turchia considera obiettivo prioritario evitare che i Curdi stabiliscano uno stato indipendente a armato sul confine siriano, nel Rojava. I Curdi del Rojava e le loro milizie armate (YPG) sono associati al PKK turco, il partito estremista, già radicalmente comunista, che da decenni compie attentati in Turchia in nome sia del comunismo sia dell’irredentismo curdo. Il Rojava e le sue milizie sono ora sotto la protezione dei Russi, ma Erdogan spera che, diventando amico dei Russi, questi convincano lo YPG a non sostenere i confratelli in Turchia.

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