Erdogan e la “mezza vittoria”
di Loredana Biffo –
Nel secolo scorso Arnold Toynbee disse che: “Le civiltà muoiono per suicidio, non per omicidio”.
Il passaggio è da una dittatura di fatto ad una dittatura di diritto ma il sultano non avrà gioco facile dato il risultato alquanto scarso e ambiguo, considerato che ha vinto grazie ai voti delle zone rurali che sono più difficili da controllare nella loro veridicità e coloro che provengono dalle zone rurali, hanno una visione dell’ islam più arcaico e violento, inoltre sono meno istruiti se non analfabeti, i turchi che vivono in città, più istruiti e politicizzati, in maggioranza hanno votato no. Per non parlare dei voti dall’estero che arrivano per posta e quindi soggetti a qualsiasi interferenza. La conseguenza più probabile è che Erdogan attuerà un’oppressione ancor più sanguinaria di quanto non abbia fatto fino ad oggi, proprio per via della debolezza di questa mezza vittoria che ha il sapore di una sconfitta morale e politica.
Gestire il potere in Turchia è tutt’altro che facile. Il paese ha due anime e due territori diversi: la zona attorno a Istanbul (ex Costantinopoli) è l’erede di una grande storia culturale e politica e ha tradizioni cosmopolite, ampi commerci internazionali, invece la regione anatolica è povera, conservatrice, tradizionalista. Dal crollo dell’Impero Ottomano fino a metà degli anni ’90 il potere politico fu gestito dall’esercito.
Anche l’attuale costituzione, che risale al 1982, fu approvata dopo un colpo di stato militare, sotto l’egida di militari. La nuova costituzione avviò riforme che diedero più potere, più possibilità di sviluppo, più risorse economiche alla parte anatolica della popolazione.
Si sviluppò così una nuova classe di cittadini turchi, favorevoli al liberismo economico, ma conservatori nei ruoli famigliari e sociali, religiosi e culturalmente tradizionalisti. Questa nuova classe è diventata numerosa, economicamente dinamica e creativa, politicamente importante. Così il peso economico della Turchia nell’economia globale è cresciuto molto: i Turchi hanno il PIL più alto di tutto il Medio Oriente, stanno superando il PIL dell’Arabia Saudita
. Si tratta inoltre di un PIL che poggia su una solida base di attività variegate, mentre quello dell’Arabia Saudita è un fragile castello costruito sul solo petrolio; il resto per ora è letteralmente sabbia, nonostante i recenti tentativi di sviluppare nuovi settori.
L’economia turca è quasi il doppio di quella iraniana, l’esercito e gli armamenti turchi sono ancora potenti, anche se necessitano di ammodernamento e riforme. La Turchia è oggi l’unico paese che può far da barriera sia all’espansionismo sciita (iraniano) sia alle guerre civili e religiose che travagliano il Medio Oriente − quel tipo di barriera che consiste in una resistenza e in una sorveglianza quotidiana, costante, capillare lungo i confini e sul proprio territorio, non la resistenza che consiste in mirabolanti azioni militari di breve durata, che non danno il controllo duraturo del territorio e lasciano sostanzialmente immutata la situazione.
Milioni di rifugiati siriani sono oggi in territorio turco, altri milioni sono trattenuti alla frontiera, controllati e alimentati tramite l’organizzazione della sicurezza e dei soccorsi internazionali gestita dai Turchi.
Nel frattempo due tradizionali rivali strategici della Turchia, la Russia e l’Iran, interferiscono militarmente nella regione, in sostegno di fazioni che la Turchia considera ostili. Anche con queste potenze esterne la Turchia deve fare i conti in campo diplomatico e politico, tenendosi pronta a un possibile confronto militare. I cittadini Turchi sanno di dover essere forti, sanno che non possono permettersi cedimenti e tentennamenti nei confronti di tanti oppositori e tanti pericoli alle frontiere, fin dentro casa. Da considerare inoltre che la vittoria di Erdogan, risicata com’è rischia di essere una vittoria di Pirro e certamente passibile di molte contestazioni, oltre che di una dinamica problematica con l’America che non apprezzerà gli sviluppi facilmente immaginabili di un governo islamista e dittatoriale che Erdogan certamente cercherà di instaurare, ma il contrasto arriverà anche dalla popolazione curda che oltre alle donne, sarà il bersaglio del dittatore ancor più di quanto non lo sia stata fino ad oggi.
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