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Giovanni Sartori, uno stile lineare e deciso

aprile 4, 2017 • Agorà, Articoli, z in evidenza

di Loredana Biffo –

E’ morto Giovanni Sartori, fine politologo ed intellettuale, ”autore di libri sulla democrazia tradotti nel mondo, ma anche un polemista caustico Dalle colonne del Corriere della Sera lanciò i termini Mattarellum e Porcellum”, come scrive il sito del Corriere della sera, quotidiano per cui era editorialista. Era nato a Firenze e il 13 maggio del 1924, ed avrebbe tra poco compiuto 93 anni.

Dal 1976 aveva cominciato a insegnare negli Stati Uniti, prima a Stanford e poi alla Columbia University di New York, della quale era professore emerito. Conosciuto e apprezzato a livello internazionale, nel 2005 era stato insignito del premio spagnolo Principe delle Asturie per le Scienze sociali. In particolare sono considerati di straordinaria importanza i suoi lavori sui regimi democratici, a partire dal classico Democrazia e definizioni (il Mulino, 1957), e sui sistemi di partito, come il fondamentale Parties and Party Systems (Cambridge University Press, 1976). Aveva poi applicato i suoi criteri di analisi alla situazione del nostro Paese in una serie di saggi, raccolti nel volume Teoria dei partiti e caso italiano (SugarCo, 1982).

Per chi ha avuto la fortuna di aver assistito alle sue lezioni (come la scrivente) rileggendo ora un suo libro autografato, certamente non sarà un ricordo sbiadito. Il professore era un intellettuale assai spinoso ma intrigante, il suo sferzante piglio “toscanaccio” non lasciava indifferenti, indipendentemente dal fatto di essere d’accordo o meno con le sue tesi o con le sue posizioni politiche. Un uomo di destra con una capacità di analisi e comunicazione fuori dal comune e dagli schemi di appartenenza e ideologie. Era stato critico del comunismo ma altrettanto critico con Berlusconi, nonchè spietato nelle sue considerazioni sulla sinistra in merito alla cecità e la sottovalutazione sull’immigrazione “di massa”, riteneva che quella dell’accoglienza fosse pura retorica dovuta ad un’incapacità di gestione del fenomeno. Vedeva il multiculturalismo come una “balcanizzazione” delle società occidentali e l’Islam a “vocazione teocratica un pericolo per la democrazia. “Il multiculturalismo non è pluralismo” asseriva, e lo definiva come la negazione e il rovesciamento del pluralismo che ha le sue origini nella tolleranza basata su tre punti cardinali:

1. Rifiuto di ogni dogma e di ogni verità unica. Io devo sempre argomentare, dare ragioni per      sostenere quel che sostengo.

2. Rispetto del cosiddetto harm principle. Harm vuol dire “farmi male”, “farmi danno”. Il principio  è allora che la tolleranza non comporta e non deve accettare che un altro mi danneggi. E viceversa  si intende.

3. Il criterio della reciprocità. Se io concedo a te, tu devi concedere a me: do ut des. Se non c’è  reciprocità , allora il rapporto non è di tolleranza.

Da questi princìpi discende che così come la tolleranza è il rifiuto di ogni dogma, il pluralismo è, correlativamente, rifiuto di ogni potere monocratico e uniformante. “La buona città” del pluralismo punta su una diversità che produce integrazione e non disintegrazione. Il multiculturalismo batte la via opposta. Invece di promuovere una “diversità integrata”, promuove l’identità “separata” di ogni gruppo e spesso la crea, la fomenta. Il risultato è una società a compartimenti stagni e anche ostili, i cui gruppi sono molto identificati in se stessi e quindi non hanno né desiderio né capacità di integrazione, quindi il multiculturalismo non supera il pluralismo, lo distrugge. (La democrazia in trenta lezioni – ed. Mondadori). 

Nel saggio Homo videns (Laterza, 1997) aveva lanciato l’allarme per l’avvento di un nuovo tipo umano, incapace di astrazione concettuale perché abituato a nutrire la propria mente soltanto di immagini. Era forse il più grave dei pericoli che scorgeva all’orizzonte, elencati con una vena profondamente pessimista nel libro La corsa verso il nulla (Mondadori, 2015), un testo sconvolgente sul quale la sua visione draconiana può suscitare dissenso o perplessità, una visione pessimista, o forse solo molto realista e non certo priva di fondamento. L’ardua sentenza dei posteri potrebbe rivelarsi molto amara se si scoprisse che aveva avuto ragione come una Cassandra inascoltata.

altre fonti: ansa

 

 

 

 

 

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