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Testo dell’avvocato Felice Besostri alla Corte Costituzionale

gennaio 25, 2017 • Articoli, Cultura e Società, z in evidenza

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo in esclusiva per Caratteri Liberi dal Gruppo di Volpedo, il testo dell’allocuzione dell’avvocato Felice Besostri alla Corte Costituzionale.

 

di Felice Besostri –

Signor Presidente Signore e Signori Giudici Costituzionali.
Questa difesa innanzitutto vuole ringraziare la Corte per la sensibilità dimostrata di consentire la discussione di cinque ordinanze di rimessione alla Corte emesse in tempi diversi dai Tribunali di Messina, Torino, Perugia, Trieste e Genova in un’unica pubblica udienza, grazie all’opportuno rinvio dell’udienza del 4 ottobre, nella quale sarebbero state discusse soltanto le ordinanze n. 69 e 163 del 2016.

Non solo: la celebrazione medio tempore del referendum costituzionale ex art. 138 Cost. consente, grazie al voto negativo di una chiara e netta volontà conservativa dell’impianto rappresentativo costituzionale da parte della maggioranza del corpo elettorale, di poter decidere in assenza del timore sulle conseguenze di un annullamento di parti importanti della legge elettorale dell’unica Camera elettiva.

Mi sia consentito di svolgere alcune considerazioni introduttive di carattere generale, perché la riproposizione alla distanza di pochi anni – tre per l’esattezza dalla data di pubblicazione della sentenza n.1/2014, giustamente definita “storica” – è la dimostrazione, contrariamente alla vulgata della prevalenza di interessi materiali, della forza delle idee, purtroppo di quelle errate, come quella che “alla sera delle elezioni si deve sapere chi ci governerà”.
Come se a questo obiettivo di governabilità dalla rappresentanza degli elettori alla divisione dei poteri e alterare l’equilibrio tra gli organi costituzionali a favore del Governo e del suo capo. Gli effetti più perversi sono stati allontanati dall’esito referendario dello scorso 4 dicembre che chiaramente ha dimostrato di non volerli, ma resta il vulnus della Costituzione sotto diversi profili, denunciato negli atti introduttivi dei giudizi a quibus. Non tutti i profili di incostituzionalità sono stati oggetto di rimessione, ma quelli ritenuti nelle 5 ordinanze se accolti sono sufficienti a ricondurre la legge entro i parametri di costituzionalità.

La discussione congiunta delle ordinanze e la loro successione ha anche l’effetto di consentirmi di trattare congiuntamente l’ordinanza n. 265 del 2016 del Tribunale di Trieste, quella n. 268 dello stesso anno del Tribunale di Genova in unione con gli avvocati on. prof.
Lorenzo Acquarone e Vincenzo Paolillo. Nei due procedimenti sia nelle Memorie di Costituzione, che in quelle per la pubblica udienza si è scritto molto e pertanto la difesa svolta oralmente avrà un carattere di precisazione dei punti più rilevanti e controversi ad avviso di questa difesa tra i quali la richiesta di autorimessione(pag.8 Mem. Cost. Trieste e par.3.a a pag. 29-30 Mem. Cost. Genova), cui l’avvocatura dello Stato ha rinunciato a replicare, della questione relativa alla violazione dell’art. 72 c.4 Cost. compiuta dalla Camera dei Deputati per aver approvato gli artt. 1, 2 e 4 della legge 52/2015 con il voto di fiducia richiesto dal Governo e accordato dalla Presidenza dell’assemblea legislativa. Violazioni regolamentari equivalenti sono state compiute al Senato, ma nell’economia della trattazione orale per esse si fa rinvio agli scritti difensivi e alla produzione documentale in atti.

L’allargamento del thema decidendum grazie all’autorimessione si impone per l’eccezionalità della fattispecie: l’interpretazione data all’art. 116 del Regolamento Camera dalla Presidenza dell’assemblea legislativa, secondo cui non sarebbe la materia elettorale tra quelle espressamente vietate dal detto articolo un pericoloso precedente e tra l’altro il primo a Costituzione vigente dopo la sentenza di questa Corte n.391/1995 e in contraddizione con l’autorevole precedente costituito dal cosiddetto “Lodo Iotti” del 1980 e a prescindere dal voto di fiducia con il quale era stata approvata al Senato la legge 31 marzo 1953, n. 148, volgarmente, e alla luce delle leggi n. 270/2005 e n. 52/2015 ingiustamente, conosciuta come “Legge Truffa”, perché conosciuto come ”non precedente Paratore”, dal nome del presidente del Senato, che volle che così risultasse espressamente a verbale.
Se la fiducia può essere posta su tutte le norme di leggi non escluse dall’art. 116 Reg. Camera, allora potrebbe essere chiesta anche su norme di legge in materia costituzionale, cui quelle in materia elettorale sono equiparate, sotto questo profilo procedurale, dall’art. 72 c. 4 Cost. Dalle decisioni di questa Corte sulle illegittimità costituzionali, sollevate dalle ordinanze ex art. 23 legge n. 87/1953, in esito alla discussione in questa pubblica udienza, se come si augura questa difesa, si deciderà nel merito ne uscirà, grazie ad annullamenti parziali, una legge elettorale per la Camera dei deputati immediatamente applicabile.

Tuttavia resterebbe sempre lasciato al Parlamento il compito – come richiesto dalla logica di evitare esiti contraddittori, dal buon senso nonché dallo stesso Presidente della Repubblica – di armonizzare la legge della Camera con quella del Senato. Due questioni residuerebbero, oltre che quelle relative alla base regionale (art. 57 Cost.)e alla differente composizione del corpo elettorale, e sarebbe compito del Parlamento risolverle, ovvero l’armonizzazione della presentazione delle candidature (solo liste Camera e liste/ coalizioni di liste al Senato) e delle soglie di accesso ( unica alla Camera del 3% e differenziate al Senato con la previsione del 8% lista singola, 20% coalizione di liste e 3% lista coalizzata).

Deve pure dirsi che le soglie potrebbero essere rese compatibili/omogene anche da queste Corte accogliendo in tutto o in parte l’ordinanza sul punto delle soglie del Senato del Tribunale di Messina. Le differenti valutazioni tra i gruppi parlamentari sulla data delle elezioni potrebbero indurre il Governo, per superare l’impasse, a fare ricorso nuovamente alla questione di fiducia, contraddicendo l’iniziale proclamata neutralità sulla legge elettorale, già venuta meno secondo questa difesa dalla decisione di intervenire nei procedimenti n. 265 e n. 268 del 2015 insistendo sull’inammissibilità delle ordinanze, perché relative ad una legge mai applicata.
Una tesi comprensibile negli atti di intervento nei procedimenti numero 69, 163 e 192 del 2016 da parte di un governo che sulla legge elettorale aveva posto la fiducia, ma incomprensibile per un governo neutrale e che aveva annunciato di rimettersi alla dinamica parlamentare, a sua volta in attesa delle decisioni di questa Corte, visto lo stato dei lavori parlamentari.

Sulle questioni dell’ammissibilità sotto i vari profili eccepiti interverranno altri componenti del collegio, ma mi sia consentito di anticipare che i riferimenti alle sentenze n. 193 e 110 del 2015 sono fuori luogo. In quanto alla prima perché trattandosi di impugnazione di uno specifico atto di proclamazione degli eletti non si può eccepire l’illegittimità costituzionale di una norma che non ha trovato concreta applicazione, trattandosi qui, come ebbe a dire nella sentenza 1/2014,  della “tutela del diritto inviolabile di voto, pregiudicato da una normativa elettorale non conforme ai principi costituzionali, indipendentemente da atti applicativi della stessa”.

In quanto alla seconda perché rinviando la proposizione di eccezioni di costituzionalità della legge elettorale all’impugnazione innanzi alla giustizia amministrativa della proclamazione dei risultati è implicito che non possa che riguardare elezioni, che si siano già svolte. Tuttavia proprio la sentenza n. 110/2015 conferma la specialità delle leggi elettorali per il parlamento nazionale, che non essendo soggette ad impugnazione giudiziale dei risultati, a ciò ostando l’art. 66 Cost., non potrebbero arrivare al controllo di costituzionalità per altra via diversa da un’azione di accertamento del diritto di votare in conformità alla Costituzione, diritto la cui violazione è stata accertata con la sentenza n. 8878/2014 della Prima Sezione Civile della Cassazione previa rimessione alla Consulta delle questioni di legittimità costituzionale in via incidentale della legge n. 270/2005 con l’ordinanza n. 12060 del 17 maggio 2013.
Ordinanza ritenuta ammissibile e fondata dalla vostra sentenza n. 1/2014. L’applicazione di quella legge in tre tornate elettorali 2006, 2008 e 2013 in nessun momento è stata posta tra i requisiti e/o presupposti per l’accoglimento delle eccezioni di incostituzionalità, anzi è stato statuito l’esatto contrario, come si diceva, cioè l’ammissibilità “indipendentemente da atti applicativi della stessa[legge elettorale]”.

Se l’applicazione della legge diventasse un presupposto per la l’ammissibilità delle relative questioni di costituzionalità delle sue norme o dell’intera legge significherebbe avallare in via di principio e preventiva la legittimità costituzionale di un Parlamento che potrebbe rivelarsi poi – come già accaduto – eletto con una legge elettorale incostituzionale e non come fatto necessitato dal tardivo controllo di costituzionalità dipendente talora dall’inerzia dei giudici investiti con gli atti introduttivi del giudizio. Se le leggi elettorali sono “costituzionalmente necessarie” esse debbono essere necessariamente costituzionali per non violare il diritto dei cittadini ad esercitare il voto in conformità ai principi ex art. 48 c. 2 Cost..

Proprio per rispetto della sentenza n. 1/2014 questa difesa, quali che siano le sue personali convinzioni, non intende mettere in discussione il convincimento che la governabilità sia un “obiettivo costituzionalmente legittimo” e che possa essere perseguito in astratto con soglie di accesso per evitare un’eccessiva frammentazione della rappresentanza o con premi alla maggioranza, ma contesta in modo specifico e concreto le modalità con cui l’obiettivo è stato perseguito dalla legge n. 52/2015.
Questa legge prevede sia una soglia di accesso solo nazionale con eccezioni limitate ad alcune minoranze linguistiche, di cui la tedesca e l’italiana trentina con un regime speciale uninominale, ma escludendo le minoranze linguistiche più numerose la sarda e la friulana , sia un premio ad una minoranza consistente al primo turno ovvero alla vincitrice di un ballottaggio al secondo turno, cui si accede senza soglia minima delle singole liste ovvero nel loro complesso ed indipendentemente da ogni quorum di partecipazione, ben presente invece in altri Paesi europei come la Francia

Il premio di maggioranza, inoltre, non è rapportato al consenso elettorale, anzi è inversamente proporzionale al consenso elettorale specialmente nel caso che al ballottaggio prevalga la lista con il minor consenso delle due al primo turno. Per la prima volta nella storia repubblicana, territori diversi dalla Val d’Aosta, hanno un regime elettorale differenziato con 8 collegi uninominali e 3 seggi di recupero proporzionale nella Regione Autonoma del Trentino Alto Adige/Südtirol e collegi plurinominali variabili da 3 a 9 seggi nel restante territorio nazionale.

Non soltanto le banche ma anche le leggi elettorali dovrebbero essere sottoposte ad uno stress test attesa l’imprevedibilità del comportamento elettorale. Un merito dell’ordinanza del Tribunale di Genova è quello di aver attirato l’attenzione sull’irragionevolezza dell’esclusione del ballottaggio nel caso del superamento della soglia del 40% dei voti validi da parte di due liste e di contro la previsione di un ballottaggio anche nel caso che una lista conquisti sul campo la maggioranza assoluta dei seggi, , perché non ha raggiunto la soglia del 40% dei voti validi, cioè conteggiando anche i voti delle liste sotto soglia. La soglia di accesso nazionale combinata con un premio di maggioranza nazionale esclude il voto personale e diretto nei collegi di candidatur, ed il peso uguale del voto espresso, cioè la violazione dell’art. 48 c. 2 e 56 c.1 Cost.

In questa situazione se agli 8 anni di vigenza di una legge incostituzionale come la legge n. 270/2005 dovesse aggiungersi anche una sola legislatura retta dalla legge n. 52/2015, la cui complessiva legittimità costituzionale potrebbe essere messa in discussione dalla maggioranza dei tribunali aditi, che non si è ancora pronunciata, il malessere in questo regno di Danimarca dell’Europa Meridionale chiamato Italia potrebbe provocare una crisi irreversibile del nostro sistema politico-istituzionali.
Per questo occorre una decisione che produca un sistema elettorale applicabile e coerente tra le due Camere, come quello risultante dalla sentenza n. 1/2014 e la via maestra potrebbe essere quella dell’autorimessione, anche se richiederebbe di assicurare il diritto di difesa e il contraddittorio con la pubblicazione dell’ordinanza, garantendo i termini per la costituzione delle parti interessate e la fissazione della pubblica udienza per la sua trattazione unitamente alle ordinanze già chiamate per questa udienza, avvalendosi se del caso della facoltà di dimidiare i termini ex art. 9 legge cost. n. 1/1953.
In ogni caso ci si affida alla Corte Costituzionale affinché affermi principi e direttive, cui il Parlamento si deve attenere in ordine alle norme elettorali che dovesse o volesse adottare, in considerazione del fatto che gli avvertimenti formulati con le sentenze n. 15 e n.16 del 2008 e ribaditi con la sentenza n. 13/2012 sono rimasti inascoltati nella XVI^ legislatura e che nella XVII^ la sentenza n. 1/2014 non sia stata tenuta in conto nell’approvazione della legge n. 52/2015, anzi addirittura non applicata nelle surroghe successive alla sua pubblicazione in G.U..
Non si è reso conto il Parlamento che dopo la sentenza n. 1/2014 avrebbe dovuto agire come un sorvegliato speciale, cioè mutuando un’espressione carlschmittiana Fare la legge elettorale “sous l’oeil des russes”.

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