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La cultura dello stupro

gennaio 6, 2016 • Articoli, Sui Generis, z in evidenza

stuproquadrogrande

di Loredana Biffo

Sono 90 le denunce per molestie sessuali, palpeggiamenti, borseggi e uno stupro avvenuti nella multietnica Colonia durante la festa per capodanno nella piazza tra il maestoso duomo gotico e la stazione centrale che si è trasformata in un incubo per le malcapitate donne presenti. Aggredite da 1000 uomini organizzati in branco, ritorna prepotentemente alla ribalta il problema della questione femminile rispetto alla sua emancipazione – ben lungi dall’essere raggiunta – e il problema della violenza maschile che continua ad essere fattore di subordinazione della donna, 
Casi analoghi, sono stati segnalati ad Amburgo e Stoccarda. Anche lì la polizia indaga per reati sessuali e furti nei confronti di giovani donne.

Questi fatti mettono in luce un aspetto importante del rapporto tra i sessi, e tra i generi – perchè la violenza è sempre verso donne e omosessuali – ed è quello che investe le società occidentali da un lato, che non hanno mai pienamente raggiunto uno sviluppo nella cultura di una vera parità basata sul rispetto, e dall’altro la sovrapposizione delle visioni di culture provenienti da altri paesi meno secolarizzati che fanno rientrare in maniera rigida la dimensione del “femminile” dentro uno schema, al di fuori del quale perde soggettività e diventa una figura anonima che è possibile trattare come una prostituta. Insomma, il solito binomio vergine/puttana che ha sempre pervaso la civiltà occidentale, vale ovviamente anche per il resto del mondo.

Il costrutto sociale dell’inferiorità femminile, è un problema atavico dal quale nessuna società moderna si è mai veramente emancipata; questo perchè non è possibile farlo se non si parte dallo “smontare” lo stereotipo in primis nell’ambito culturale.  La certezza della pena – il più draconiana possibile –  è complementare, ma il cambiamento può avvenire solo riflettendo proprio sulla pervasività degli stereotipi, per passare successivamente ad una nuova costruzione del sociale.

 

“La donna sembra differire dall’uomo nella disposizione mentale, principalmente per la maggiore tenerezza d’indole e minore egoismo; e questo avviene anche nei
selvaggi, come si vede da un notissimo brano dei viaggi di Mungo Park, e dai rapporti di molti altri viaggiatori. La donna, pei suoi istinti materni, spiega in grado eminente queste qualità verso i suoi figli, perciò è verosimile che le estenda sovente ai suoi simili. L’uomo è rivale di altri uomini; è lieto della lotta; e questa conduce all’ambizione che si muta troppo agevolmente in egoismo. Questa ultime qualità sembrano essere il suo naturale ed infelice retaggio. Si ammette generalmente che nella donna le forze d’intuizione, di rapida comprensione, e forse d’imitazione, sono più fortemente spiccate che non nell’uomo; ma alcune almeno di queste facoltà sono caratteristicamente delle razze più basse, e perciò di uno stato inferiore e remoto di incivilimento.
La principale distinzione nelle forze intellettuali fa i due sessi è dimostrata in ciò che l’uomo giunge ad una più alta eminenza, qualunque cosa egli imprenda, cui non può giungere la donna – sia che richieda profondo pensiero, ragione, od immaginazione, o semplicemente l’uso dei sensi e delle mani.”    
Charles Darwin (1809-1882) volle assumere il ruolo di storico sociale nella breve sezione sulle “differenze nei poteri mentali dei due sessi”.

L’inferiorità della donna come stereotipo culturale è ciò che ha portato alla definizione del concetto di cultura della violenza, che è così passata di generazione in generazione, e si trova oggi a fare i conti oltre che con le culture autoctone, anche con quelle alloctone. Questo può rivelarsi un fattore di ulteriore arretratezza se non si interviene in modo capillare.

“Camminavamo nella folla quando ho sentito una mano sul sedere, poi sul seno, alla fine mi palpavano dappertutto. Ero disperata, credo che mi abbiano toccata un centinaio di volte in soli 200 metri». Katja L., 28 anni, è una delle donne aggredite alla stazione di Colonia la notte di Capodanno. «Era un incubo. Urlavamo, sgomitavamo ma loro non la smettevano — ha riferito al quotidiano Express —. Per fortuna avevo i pantaloni: se fossi stata in gonna probabilmente me l’avrebbe strappata”.

Questo quanto riferito da una testimonianza, ed è indicativo di quanto il problema sia ben consolidato . L’episodio accaduto a Colonia pone questo e altri interrogativi, l’idea che sottostà è radicalmente maschilista, per cui compiere atti di sopraffazione (non necessariamente violenti) sulle donne è lecito, è del tutto pretestuoso il messaggio che i media danno rispetto al fatto che le violenze siano perpetrate da arabi o nord africani, non dimentichiamo che il più alto numero delle violenze avviene nelle “nostre civili società” all’interno di mura domestiche, omicidi compresi.

Questo ovviamente non deve far abbassare la guardia sul tema del rispetto dei diritti umani, e in particolare la questione femminile che in primis nel mondo arabo (ma non solo) ha punte di drammatica violazione sistematica e violenze inaudite. Questo ci deve riguardare anche quando succede fuori dai confini europei, altrimenti si perde di vista il fatto che con le migrazioni è inevitabile che i problemi si sovrappongano.

Quello che appare evidente è ancora una volta la volontà da parte degli “imprenditori della paura” di alimentare disagi per poterli strumentalizzare. Strano che ci si accorga solo ora che le violenze di genere sono un problema sociale serio. Come la pessima politica del resto, che non ha mai affrontato il problema dello stolking, l’allontanamento coatto degli stolker, le case protette per donne vittime di violenza in famiglia, la parità di trattamento lavorativo e salariale, il mobbing post maternità e tutto quello che ancora non è stato fatto per modificare una situazione che in fondo a troppi va bene così com’è.
Poiché l’antropologia con il termine “cultura” si riferisce alle “Mappe mentali” che i membri di una determinata società seguono per agire e parlare, che diventano regole condivise, è facile dedurne che tali regole sono costitutive di un certo tipo di codice comportamentale. Ne consegue che le azioni sono da considerare come “fenomeni sociali”, nel senso che i gruppi sociali e le relazioni di ognuno di essi con ogni altro sono aspetti della cultura. Queste sono, o dovrebbero essere, le priorità della politica.

 

 

 

 

 

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