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Volkswagen, le conseguenze indirette dello scandalo

settembre 29, 2015 • Articoli, Economia, z in evidenza

 

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Redazione

Le conseguenze indirette del caso Volkswagen (che ha ammesso di avere venduto 11 milioni di auto con motore diesel possibilmente inquinante, perché i test delle emissioni erano truccati), possono essere molto ampie. La Germania è il motore d’Europa, la sua economia è basata sulle esportazioni, proprio come quella della Cina: oltre il 45% del PIL tedesco è destinato all’export.

Mentre la Cina esporta prodotti a contenuto tecnologico maturo, la Germania esporta prodotti a contenuto tecnologico avanzato − ma ora è costretta ad ammettere che a volte la sua vantata sofisticazione tecnologica può esser fasulla. Gli autoveicoli rappresentano il 17% dell’export tedesco: non si tratta di quisquilie. Ora occorre capire se l’abitudine di truccare i test e le dichiarazioni di qualità è estesa anche ad altre aziende, tedesche e non tedesche, sia nello stesso settore che in altri.

Lo scandalo travaglierà ulteriormente le borse globali e danneggerà, poco o tanto, l’economia non solo della Germania, ma anche di altri paesi inseriti nelle filiere di produzione delle aziende tedesche, soprattutto nell’Europa orientale.

Si tratta di un duro colpo per il modello di sviluppo tedesco, che la Germania impone anche agli altri paesi dell’Eurozona. L’insistenza tedesca sul fiscal compact è legata all’idea che l’intera Europa debba avere un modello di economia basata sul primato dell’industria tecnologicamente avanzata e sull’esportazione di tecnologia in tutto il mondo − quindi sulla stabilità monetaria e finanziaria, sulla stabilità dei cambi, sull’eliminazione dei dazi tariffari.

È un modello di sviluppo che non si addice ai paesi del Sud Europa privi di materie prime e lontani dalle grandi rotte marittime, che in questo periodo avrebbero invece bisogno di grandi investimenti per rinnovare e potenziare le loro infrastrutture, per sviluppare più servizi alla persona (dalla sanità al turismo), per mettere in sicurezza il territorio e prendersi cura del patrimonio artistico.

La camicia di forza dell’euro non permette agli stati del Sud Europa di finanziare questi costi stampando moneta, i trattati europei limitano la loro possibilità di fare debiti (ne hanno già troppi!), dunque gli stati del Sud Europa non hanno la possibilità di implementare una qualsiasi politica economica, che non sia quella che vediamo: qualche taglio qua, qualche minima concessione là… piccolezze che servono a rendere più efficiente la macchina che eroga servizi pubblici e – sperabilmente − a limitare la corruzione. Ma non ci sono capitali per poter implementare una qualsiasi politica di sviluppo da parte dello stato.

Le statistiche europee rilevano che nei primi sei mesi del 2015 l’export dell’eurozona nel suo complesso è passato da 21 a 31 miliardi di euro rispetto a quello del 2014: pare che il modello di austerità imposto ai paesi dell’eurozona inizi a funzionare davvero! Anche le aziende italiane hanno aumentato molto l’export nell’ultimo anno. Ma ora l’affaire Volkswagen potrebbe azzerare l’incremento. Bisognerà ridiscutere sia il modello di sviluppo, sia la politica monetaria e fiscale dell’Eurozona.

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