La sinistra non è un’utopia, è una prospettiva
Da tempo l’asserzione “non è di destra, nè di sinistra”, dilaga nel linguaggio politico, ormai degradato a linguaggio comune. Ma l’idea di Società non può prescindere dal “topos” del discorso filosofico e politico. Il fatto sociale secondo Durkheim è un dato sociologico: ciò che ci sta intorno. Si costituisce quindi come “regola”, “costume” e non meno come rappresentazione collettiva, ossia una “corrente d”opinione”.
“Criticità” e “organicità” sono le definizioni chiave per provare a definire lo stato di abulia che caratterizza la sinistra negli ultimi venti anni, che non a caso coincidono con il berlusconismo, certamente parte in causa nelle dinamiche socio politiche (inteso come fenomeno pervasivo che caratterizza la sfera politica pre e post Berlusconi) cui stiamo assistendo.
Secondo l’originario “afflato” libertario, soricistico e teorico di Karl Marx, Max Weber e Simmel (attenzione rivolta ai significati dell’agire) il punto non era semplicemente quello di condurre al potere la classe operaia. Ciò che lo spinse e gli diede la forza per realizzare la sua grande opera scientifica, erano piuttosto la collera e l’indignazione per un ordine sociale e politico nel quale la dicotomia tra “sopra” e “sotto” risultava in un certo modo spinta all’estremo e la privazione dei diritti e il degrado di chi stava sotto, sembrava assumere forme tendelzialmente estreme.
Purtroppo come tutti sanno, nel corso della vicenda storica della sua organizzazione in partito, e soprattutto in conseguenza della sua statalizzazione (dopo la Rivoluzione d’Ottobre), quel punto di orientamento morale è stato dimenticato e, irrigiditosi in pura e semplice dichiarazione verbale l’adesione a livello tattico, è stato addirittura distrutto dai rappresentanti della Realpolitik di sinistra. Essere di sinistra vuol dire comportarsi e orientarsi sulla base di un’etica dei principi che fanno riferimento non ad una dimensione squisitamente topografica orizzontale destra-sinistra, ma anche a quella verticale sopra-sotto (definizione di cui maldestramente e furbescamente Renzi ha tentato di appropriarsi).
L’unica reale funzione dell’esistenza della sinistra, è fare luce criticamente su tutte le strutture gerarchiche allo scopo di modificarle. Quella di sinistra, deve necessariamente essere una visione critica che pone in dubbio tutti i tapporti esistenti. L’oggetto della critica non devono essere quelli di produzione, ma di dominio, che si riproducono secondo la logica propria della dimensione politica. E i rapporti politici di dominio coesistono con i più diversi modi di produzione.
E’ del tutto incontestabile che anche all’interno del mondo della produzione, in senso lato nei luoghi di lavoro, si sviluppano e vengono riprodotti rapporti di dominio di diversa forma e intensità; che a loro volta, promuovono l’accettazione di gerarchie socio – politiche. L’oggetto principale della critica di sinistra è nondimeno il potere politico istituzionalizzato nello Stato, e il potere che esseri umani esercitano su altri esseri umani, spesso anche con la violenza. Si pensi alla violenza di Stato. La sinistra non è un’utopia, bensì una prospettiva. C’è confusione tra i due ternimini, ed è presente in molti settori della sinistra, anche a livello mondiale. E’ una delle conseguenze dovute al crollo del “Socialismo reale”. Nella visione di un superamento dei rapporti di dominio, la sinistra dovrebbe avere oggi sufficienti conoscenze storico – sistematiche da essere consapevole che come disse Gandhi, “la via è il fine”.
La decostruzione dei rapporti di dominio, può avere successo solo se realizzata in successione, e nei termini di un processo che a sua volta, non può essere portato avanti ricorrendo ai metodi del dominio. A tal propostito, le vicende legate alla questione Fiat, Elettrolux e altri, la dicono lunga sul potere del dominio/ricatto teso a riportare indietro la storia dei diritti. Se l’illuminismo è stato opera di chiarificazione intellettuale, e anche auto-illuminismo, non di certo istruzione didattica o mera trasmissione del sapere, allora dobbiamo intendere la politica come riflessione sul da farsi, e non come puro indottrinamento.
Essere di sinistra consiste nel confrontare la realtà con le sue possibilità migliori e perfettibili. Nonchè il fatto di realizzare la migliore delle possibilità, non potrà mai essere un motivo succiciente per potersi dichiarare soddisfatti. Quanto piuttosto essere oggetto di una critica rinnovata e più radicale. Poichè i grandi successi conseguiti lungo la via infiita della chiarificazione illuministica, contengono in sè, in misura ancora maggiore, i fallimenti e il mancato raggiungimento dell’obiettivo ottimale, le aspettative non realizzate. Al principio della speranza, deve corrispondere il principio di insoddisfazione.
La sensibilità della sinistra per “tutte le disuguaglianze socialmente imposte”, impedisce che si possa asserire, in relazione ad un determinato stato di cose, “è fatta”; ma far si che si cerchi di cambiare tutto ciò che è veramente ingiusto. Questa è la tensione perenne e la connotazione etica che dovrebbe differenziare la sinistra dalla destra. E questo non è utopia, bensì prospettiva, anche se si deve constatare che le distanze politiche tra sinistra e destra si vanno assottigliando ,fino quasi a perdere di senso. Mentre le distanze sociali tra “primi” e “ultimi” sul piano planetario, vanno crescendo o comunque rivelandosi in una dimensione fino a ieri ritenuta intollerabile. Questo la dice lunga sul “male oscuro” che oggi mina nel profondo la razionalità politica, in generale, e la sfera stessa del politico così come la modernità l’ha concepito.
Quel che manca invece, sono le soluzioni e i soggetti politici disposti a farsene carico. Cosicchè è difficile sottrarsi alla sensazione che questo indifferenziato convergere di programmi e mantra di un repertorio ristretto di atteggiamenti condivisi – non derivi in realtà – dall’approdo a uno stile di risposta razionale alle sfide del tempo. Ma ad una non dichiarata – nè dichiarabile – impotenza della volontà. Da una obiettiva assenza di risposte possibili all’interno dell’orizzonte politico contemporaneo alle questioni vitali del nostro vivere comune. Il che equivale – bisogna ammetterlo – al fallimento della politica in quello che costituisce in senso proprio il suo compito qualificante.
La sinistra, dovrebbe elaborare proposte credibili ed essere portatrice di concrete utopie. La crisi finanziaria richede regole, perchè la sua origine è nella deregulation più completa in nome del libero sviluppo degli spiriti animali del capitalismo. Il lavoro è il naturale riferimento che ogni forza che di voglia richiamare agli ideali di sinistra deve avere. Ed è necessario un mercato efficiente in cui le parti sono tutelate, dove sono ridotte al minimo le asimmetrie informative, dove i contratti sono trasparenti, dove non c’è qualcuno che imbroglia. Sarebbe sufficiente mettere un po’ di ordine nella confusione concettuale e linguistca che regna sovrana nella “chiacchera politica”, e collocando ogni ideologia al suo giusto posto, ci si accorgerà che si potrebbe continuare a parlare tranquillamente di “destra” e “sinistra”.
Ed è urgente la ridefinizione di un pensiero che sia contro l’aggressione dei fondamenti della nostra civiltà, figlia dell’Umanesimo e dell’ Illuminismo. Dobbiamo riaffermare con forza gli aspetti connotativi più preziosi ed irrinunciabili per definirsi di sinisra: i diritti universali, l’eguaglianza, la legalità, la laictà e la libera determiazione dell’opinione e della dignità umana.