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La Resistenza delle donne

aprile 24, 2014 • Articoli, Cultura e Società, z in evidenza

APERTURA-25-Aprile-Donne-Partigiane

di Riccardo Assom*

Raramente quando si parla della Grande guerra si ricorda il contributo fondamentale che le donne hanno dato alla liberazione dal nazifascismo. Donne che sono state chiamate innanzitutto alla durezza del lavoro nei campi a sostituire gli uomini chiamati al fronte.

Nel conflitto 1940-1945, le donne oltre al lavoro nelle campagne, hanno lavorato nelle fabbriche, svolgendo mansioni richieste dalla produzione bellica. Sono diventate “meccanici”, “fresatori”, “tornitori”, ecc, mentre le città venivano bombardate e la guerra si svolgeva in tutta la sua ferocia.

Le donne non hanno esitato ad impugnare un’arma e battersi insieme ai partigiani. Sono state oltre 50.000 quelle impegnate in attività legate alla resistenza, nei diversi ruoli di comando e anche di staffette. Si pensi che solo nelle vallate piemontesi, quelle ufficialmente riconosciute erano 7773, di cui 1400 hanno avuto il brevetto di “partigiane combattenti”, 91 sono cadute in combattimento, o sono state fucilate e impiccate. 921 le patriote e 976 le benemerite.

Per non parlare di quelle che hanno lottato nella ricerca spasmodica dei generi alimentari per la sopravvivenza della famiglia, da difendere contro gli sciacalli numerosissimi sui luoghi della tragedia, la cura dei feriti a causa delle bombe, la pertecipazione attiva all’insurrezione nazionale.

Occorre nel giorno della memoria, ricordare il coraggio, la forza, la saggezza dimostrati dalle donne in quei drammatici anni in cui si combatteva per la libertà. Ricordare quelle donne che volevano sconfiggere il nazifascismo, e che hanno scelto di dare un contributo, avendo ben chiaro – da che parte stava la ragione.

Le prime partigiane a fianco degli uomini, furono le giovani maggiormente politicizzate e più preparate culturalmente, spesso compromesse al punto da dover lasciare in tutta fretta la città e rifugiarsi presso le formazioni partigiane che operavano in montagna. Molte di loro non riuscirono a sfuggire alla polizia fascista e furono catturate, imprigionate e torturate ferocemente, vennero uccise o deportate nei lager nazisti.

Molti partigiani hanno narrato di donne sconosciute, giovani e meno giovani, molte mai viste prima che in molte circostanze hanno salvato loro la vita, sapendo che potevano veder andare a fuoco la casa per una rappresaglia di fascisti e dei nazisti.

Il fascismo ha insistito molto sull’inutilità e subalternità delle donne, ma le partigiane hanno senza saperlo gettato le basi per la futura autoaffermazione, ad iniziare dal riconosciuto diritto di voto, fino ad ottenere per legge il riconoscimento della pari opportunità.

Il duce aveva affermato che nello stato fascista “la donna non deve contare” e i suoi gerarchi gli avevano fatto eco sottolineando “l’indiscutibile minor intelligenza della donna”.

 “Troppo il fascismo ha insistito sull’inutilità delle nostre fatiche giornaliere fuori casa perchè non valga la pena di dimostrare che nella società moderna la donna oltre a essere madre è lavoratrice del braccio e del pensiero”. Questo era il concetto che le donne esprimevano in un articolo del giornale “La dirfesa della lavoratrice” del 15 novembre 1944, dal titolo “Perchè la donna lavora”.

Alcune donne hanno poi proseguito con l’impegno politico nato con la Resistenza, ricordiamo Teresa Noce, se le donne oggi quando fanno un figlio si vedono riconosciuto il diritto alla maternità, se sono tutelate da una legge, lo devono a questa donna che diede un contributo determinante alla condizione del lavoro femminile.

Grazie a lei, il 2 giugno 1948, fu presentato il primo progetto di legge al parlamento della Repubblica italiana sulla tutela della maternità. Detta anche Estella (nome di battaglia), la Noce nasce nella Torino proletaria di inizio 900, poverissima inizia a lavorare a soli sei anni. Intelligente e intraprendente, inizia la scuola con tre mesi di ritardo a causa della scabbia, ma recupera in fretta quello che le sue compagne hanno appreso, compitando ogni pezzo di carta stampata che le capita sottomano.

Divenne ben presto “Rivoluzionaria professionale”, determinata nelle sue battaglie ed elemento di spicco nel Pci. Ricordiamo che, benchè la nascita del fascismo sia fatta risalire al 1921-22, in realtà questo si manifestò in Italia già alla fine del 1918, quando vi furono i primi assalti alla camera del lavoro; le squadracce in camicia nera bastonavano gli operai per bloccare i consigli di fabbrica.

Estella, giovanissima iniziò un’attività frenetica iscrivendosi alla “gioventù comunista”. Entrò in clandestinità e nell’immigrazione antifascista della guerra in Spagna. Donna di grande temperamento, sostenitrice dell’emancipazione femminile, dell’antifascismo e della lotta operaia, ma considerata “brutta”; questo è il segnale di quanto l’estetica di una donna fosse considerata un fattore cruciale.

Convinse le donne a diventare protagoniste delle loro vite, e combattere la concezione patriarcale del ruolo della donna. In una riunione in cui erano presenti soli uomini, contestò il fatto che le loro compagne non fossero lì a prendere decisioni con loro, disse che da casalinghe, dovevano diventare rivoluzionarie. Teresa Noce guidò la rivolta delle operaie tessili del biellese, che nel 1931 combatterono contro i licenziamenti, la repressione e la riduzione dei salari. Nel marzo 1935 fondò la rivista “Noi Donne”, un mensile di quattro pagine stampato ogni mese con un colore diverso perchè non vi erano i soldi per farlo a colori, lo scopo era fare informazione politica per le donne. Fu poi deportata in campo di concentramento, dove l’ 8 marzo del 1945, organizzò una conferenza per ricordare le donne di tutto il mondo che nei secoli avevano lottato per la libertà e per i loro ideali. Lo fece con la collaborazione di comuniste, socialiste, cattoliche, ebree, contadine e capitaliste (nel campo vi era la signora Michelin); con grande successo e all’insaputa delle Kapò. Parlò delle schiave, operaie, contadine, intellettuali, scienziate, analfabete e artiste; finchè non cadde stremata sul giaciglio che l’ospitava. Fu contrastata la sua elezione sindacale, in quanto il lavoro sindacale tessile non era mai stato diretto da una donna, le dissero che non conosceva il settore. Lei rispose che come donna poteva comprendere meglio di un uomo i problemi delle lavoratrici, e venne eletta. A guerra conclusa, e dopo venti anni di fascismo, fu una lotta durissima far stipulare contratti di lavoro collettivi nazionali. Non era mai avvenuto. Si chiedevano: avvicinamento dei salari tra uomini e donne, diritto di passaggio di categoria, regolamentazione ore straordinarie e festive, diritto alle ferie, istituzione della mensa, e nuove norme per la protezione della maternità; per le tessili, riposo prima e dopo il parto pagato al 75% e sale di allattamento, asili nido nelle fabbriche. Quando il “Primo Congresso Nazionale” dopo la liberazione ebbe luogo nell’aprile 1947, fu un successo: il fatto che il rapporto sul “Contratto Collettivo Nazionale” di lavoro fosse tenuto da una donna, incoraggiava molte delegate a prendere la parola. Il risultato fu entusiasmante, su 400.000 voti validi Estella ottenne la votazione più alta, ben 297.000 voti di lavoratori non solo comunisti, ma anche socialisti, cattolici e senza partito. Il 2 giugno 1948 alla presentazione del primo progetto di legge sulla maternità, con i democristiani alla camera l’azione risultò difficilissima, vi furono vari tentativi di sabotaggio, rimandando la riunione della commissione, o se questa si riuniva, il progetto non veniva posto all’ordine del giorno, o si faceva in modo che mancasse il numero legale, e la situazione si trascinò per oltre due anni. Infine si riuscì comunque con la lotta di tutte le donne, a far approvare i cinque mesi di riposo pagati all’80% estendendo la tutela a tutte le lavoratrici. La lotta sfibrante Estella (e i litigi con Di Vittorio), la condusse senza paura di trovarsi in minoranza e dimostrò che pur non accettando di dedicarsi al “lavoro femminile”, si batteva per i diritti delle donne. Alle elezioni per “L’ Assemblea Costituente”, le prime elezioni democratiche dopo la liberazione, votarono anche le donne; furono candidate in quasi tutte le circoscrizioni. Estella venne eletta in due circoscrizioni: Modena-Reggio, Parma-Piacenza, votarono per lei anche le suore. Fu la sola donna dirigente nell’assemblea costituente ad occuparsi di problemi economici e sociali.

Le partigiane, molte delle quali qualificate ingiustamente a fine guerra con l’appellativo di “staffetta”, hanno pagato il prezzo dell’impostazione fortemente maschilista della stessa lotta armata, e non solo del fascismo. La distinzione in qualifiche, formalizzata nei giorni immediatamente successivi alla Liberazione con Decreto Luogotenenziale 22 agosto 1945 N: 518, non ha reso giustizia all’impegno “combattentistico” femminile di quei lunghi e difficili anni. E’ quindi fondamentale oggi ricordare il coraggio e il sacrificio di donne che hanno dato il loro contributo alla libertà e al cambiamento sociale.

*Riccardo Assom, nasce a Villastellone in provincia di Torino nellag9osto del 1944.

Da anni è libero ricercatore scrupoloso dei fenomeni connessi alla seconda guerra mondiale. Studia specificatamente le vicende che hanno caratterizzato la resistenza partigiana nel Piemonte occidentale. Nel 1999 l’Editrice L’Arciere ha pubblicato il suo libro “Giovani tra le montagne” del quale il successivo “Donne nella bufera”, è la naturale continuazione.

Dati storici tratti da: Rivoluzionaria professionale, di Teresa Noce,Aurora edizioni. Donne nella bufera di Riccardo Assom Arciere edizioni. La resitenza di Giuseppe Bonfanti editzioni La Scuola.

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