Caro Renzi, perchè ancora “destra e sinistra” nel nostro “piccolo mondo antico”
di Loredana Biffo e Marco Brunazzi
L’affermazione di Matteo Renzi, sul fatto che non intende collocare il Pd a sinistra, è indubbiamente un aspetto peculiare della modernità vacua – pre e post berlusconiana. Impressionante sentir citare Norberto Bobbio e dover inorridire in presenza di una tale denaturazione del suo pensiero, neanche non fossimo stati sufficentemente pervasi in questi ultimi 20 anni dallo svuotamento del pensiero democratico – liberale.
Il clevage destra/sinistra viene messo in discussione dagli anni novanta, portatori di una crisi epocale e strutturale. La “coppia in crisi”, destra e sinistra, viene classificata come una mera “sopravvivenza lessicale. Del resto tale distinzione, è stata determinata e accentuata nel XIX secolo, periodo in cui il terreno della produzione di fabbrica, aveva identificato la dialettica, molto aspra, tra coloro che erano i sostenitori di un prudente rallentamento di tutte le dinamiche inclusive tipiche del capitalismo, e chi invece ne denunciava un’avanzata accelerazione: in riferimento ai concetti di cittadinanza, uguaglianza, accesso all’istruzione, alla sanità e diritti dei lavoratori.
Se dagli anni novanta ad oggi, si è cercato in tutti i modi di sostenere l’inadeguatezza del concetto “destra sinistra”, accusato di ideologia inutile e vetusta, è necessario ricordare che il fascismo di tale definizione fu il grande banditore. Non a caso incontrò “l’evoluta intellettualità” europea che da questa demolizione ne fu affascinata e illusa.
In realtà, il fascismo, non aveva fatto altro che dar vita ad “un’altra destra”. Più radicale di quella conservatrice classica che si conosceva. Aveva indubbiamente realizzato il suo programma ideologico di andare “oltre” la destra e la sinistra, ideologia che poi – come sappiamo – sfociò nell’esperienza nuova del totalitarismo.
Le cronache culturali e politiche degli ultimi venti anni, sono piene di convergenze al “centro”, di tentativi di aggiramento/superamento della destra e della sinistra, e non di meno della socialdemocrazia e dell’ecologismo, nell’intento di approdo a “terze vie”. Questo con il contributo dell’accettazione del capitalismo flessibile da parte della sinistra.
Citare Norberto Bobbio da parte di Renzi, è sicuramente un’autoconcessione di “licenza culturale”. Segue poi un intervento/insediamento nella più importante sede istituzionale, connotato da un mix di improvvisazione, povertà politica e lessicale impressionanti. Tuttavia congruenti e continuatori del ventennio berlusconiano.
Un uomo che riveste una carica istituzionale di tale importanza, si presenta senza un discorso, parla a braccio, con le mani in tasca, rinfaccia ai vecchi senatori l’aspetto burocratico e legnoso. E certamente si può affermare che questa sia diventata la normalità in questo Paese, abituato del resto a turpiloqui nelle sedi istituzionali, sfilate di veline in parlamento e quant’altro.
Al di là della banale colloquialità con cui Renzi ha affrontato il rapporto con l’istituzione e con il paese, una domanda sorge spontanea: qual è la novità? Quale idea di società? La solita liberista: conosco gli individui, non conosco la società. Sarebbe il solito discutibile modo di reiterare gli aspetti individualistici e pulsionali a cui ci ha abituato il berlusconismo.
Il risultato disastroso delle macerie lasciate dalla politica “della pancia”, è sotto gli occhi di tutti. I discorsi populisti si presentano quasi sempre in forma di critica e volontà di “azione”, come una potenza della volontà, in virtù dell’ “ecce homo”, che si sa, fa sempre presa sul popolo, soprattutto quando questo è stremato da una crisi economica che non accenna a diminuire. Si presentano come innovatori, ma in realtà sono conservatori. Quello che si intravede è il solito vecchio modello.
E’ altresì significativo che l’unico che che si rispecchia e riconosce in questo “stile smanicato”, è Berlusconi. In coerenza con la storia italiana del famigerato ventennio, che ha plasmato il “senso comune”, e non – si badi bene – “opinione pubblica”, che è già qualcosa di più complesso rispetto al senso comune.
Il piattume e la inesistente efficacia argomentativa di chi non entra nel merito delle cose, si è del resto rispecchiata nella scelta dei ministri, privi di requisiti e di un profilo più marcato e competente. Quasi come se fosse sempre “lui”, il leader, che si sostituisce a loro, esattamente come Berlusconi.
Colpisce vedere all’istruzione, università e ricerca Stefania Giannini che proviene dall’area montiana (e sappiamo con quali precedenti disastrosi sull’istruzione da parte del governo Monti), la quale per dare inizio al “cambiamento”, annuncia di voler tagliare gli scatti di anzianità agli insegnanti, perfettamente in linea con Monti ovviamente. Galletti all’ambiente, noto nuclearista che si è battuto per la privatizzazione dell’acqua e beni comuni. In barba ai referendum naturalmente, giusto per coerenza.
Punto spinoso, è non di meno, quello della giustizia, l’esclusione di Gratteri e la sua competenza. Renzi si è fatto imboccare la pappa da Napolitano e Berlusconi che per evidenti motivi non possono sopportare un esperto in materia.
Il ministero degli esteri scippato alla Bonino, che pur rea di alcuni gravi errori (vedi la questione iraniana), è comunque una donna di comprovata esperienza nell’ambito degli esteri. Quasi come se la questione della politica estera fosse marginale, mentre è fondamentale e strategica in tutte le dimensioni del politico.
Sconvolgente poi, la Marianna Madia alla semplificazione, e Lorenzetti alla salute, dichiaratamente antiabortiste e avverse a temi di unioni omosessuali. Si immagini l’arretratezza che già devasta il paese (perennemente sotto scacco del Vaticano) in materie di bioetica e diritti, ricordiamo l’obbrobrio della legge 40 in materia di fecondazione assistita, che in dieci anni ha prodotto solo disastri.
Ed infine il tema per eccellenza, il lavoro, con un ministero affidato a Guidi, ala protriva di confiundustria e vicino a Bombassei, con corredo di conflitto di interessi. Poletti che si proviene dalle cooperative, che però hanno ormai da tempo un assetto giuridico apparentemente legato al princpio di cooperazione, ma in realtà si muove candidamente in un’ottica capitalistica (si veda come sono gestite) venendo meno alla sua primaria natura e funzione.
Questo è chiaramente un governo che segna uno spostamento a destra. Giusto per rimarcare che la coppia destra/sinistra, è vecchia ma non defunta, almeno concettualmente. Detto ciò, il personaggio è tale, per cui non possiamo aspettarci nemmeno delle coerenze interne, visto che procede per improvvisazione. L’effetto combinato di attivismo e inconsistenza, si presenta molto pericoloso e inadeguato a risolvere i gravissimi problemi del paese.
Del resto, è evidente che la mutazione genetica indotta dal berlusconismo, a sua volta rispecchia una tendenza generale di tutte le società occidentali (vedi Hollande) in cui l’indistinguibilità del privato e del pubblico, che erano distinzione della cultura borghese liberal democratica, è risucchiata in una dimensione di avanspettacolo. Tutto è assoggettato alle stesse logiche che sono intercambiabili. Che poi, negli altri paesi possa essere meno triviale e sguaiata, è solo perchè questi hanno altri antidoti culturali.
Diceva il vecchio Marx: “Nel momento in cui cambia la struttura materiale della società, le sovrastrutture si rivelano come involucri che non corrispondono più alla realtà”.
Lui lo applicava al capitalismo medioevale, oggi lo si può posporre al capitalismo flessibile, che non soltanto unifica i luoghi di produzione, ma trasforma le vite da individuali a collettive. Il tutto attraverso il più potente effetto collaterale della globalizzazione: la “pervasività”. Se mezzo secolo fa si aveva una realtà in cui la separatezza tra pubblico e privato marcava un limite, ora il totalitarismo capitalista omologa tutto in una monolitica sfera pubblica.
Così come i fascismi interiorizzavano un modello che derivava dal potere, oggi questo lo fa il potere economico, ed è significativo che il tentativo di resistere si esprima nelle forze primitive dei vari populismi, che danno (strumentalmente) l’illusione di ritrovare un’identità privata che è stata spazzata via. Si veda i discorsi di Marie Le Pen sul “buon senso”.
L’ingenuità consiste nel credere che ci si possa salvare dai processi di destrutturazione sociale del capitalismo, regredendo al “piccolo mondo antico”. Non a caso i contadini si battevano per la restaurazione e non per la rivoluzione.
Caro Renzi, oggi è necessaria più che mai la vetusta coppia “destra e sinistra”. Forse sarebbe utile da parte sua una rilettura seria e attenta del testo di Norberto Bobbio. Faccia i compiti, così sarà meno impreparato e farà una più bella figura.
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