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Iran, Il moderato Rowhani e l’abbraccio mortale con l’occidente

settembre 30, 2013 • Articoli, Mondo, z in evidenza

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di Loredana Biffo

Mentre il mondo si delizia per la “politica moderata” del nuovo Presidente iraniano, l’Ayatollah Rowhani,  un prigioniero viene impiccato proprio in contemporanea al colloquio del Presidente con l’Onu.

Nessuno Tocchi Caino ha dichiarato che:
24 settembre 2013 un prigioniero è stato impiccato nel carcere di Gohardasht, nella città iraniana di Karaj, nello stesso giorno in cui il presidente iraniano Hassan Rouhani ha pronunciato il suo discorso all’Assemblea Generale delleNazioni Unite.
Il prigioniero, identificato come Lotfallah Faramarzi di 48 anni, era stato in precedenza trasferito in cella di isolamento in attesa dell’esecuzione.
Così come Faramarzi, che aveva trascorso 4 anni in carcere, anche altri 8 detenuti sono stati messi in isolamento.
In base alle notizie riportate dal gruppo Iran Human Rights (IHR), sono almeno 55 (incluse quattro donne e un minore) le persone finora impiccate in Iran nel mese di settembre.

Secondo Amnesty International Sono almeno 580 le persone impiccate in Iran nel 2012.

Nel frattempo lo stato di salute dei dissidenti iraniani che stanno facendo lo sciopero della fame a Camp Liberty, Iraq, sta peggiorando drasticamente.

La loro protesta per ottenere il rilascio dei sette ostaggi di Camp Liberty, avvenuto dopo il massacro di 52 di loro, entra nella quarta settimana.

I dissidenti del campo rifiutano il cibo da quando gli ostaggi sono stati arrestati nel corso del massacro di Ashraf, che il 1° settembre ha provocato la morte di 52 membri dell’Organizzazione dei Mojahedin del popolo iraniano (PMOI/MEK).

I residenti che attuano lo sciopero della fame chiedono anche lo spiegamento dei Caschi blu dell’ONU a protezione di Camp Liberty da nuovi attacchi e la restituzione di 17.500 muri aT, giubotti antiproiettile ed elmetti.

Chiedono inoltre l’istituzione di un comitato internazionale d’inchiesta per investigare sul massacro di Camp Ashraf e rinviare a giudizio i responsabili.

A loro si sono uniti dissidenti iraniani che hanno intrapreso a loro volta lo sciopero della fame, a Londra, Berlino, Ottawa, Merbourne e Ginevra, per ottenere il rilascio degli ostaggi di Camp Ashraf, che attualmente sono detenuti in un carcere alle spalle dell’edificio dove si trova il primo ministro, nell’area della Green zone a Baghdad.

La politica di base del regime clericale, continua con la consueta ferocia e repressione di sempre, anche dopo l’elezione del “moderato” Rowhani, che non dimentichiamolo, è stato segretario del Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale del regime per 16 anni, e il rappresentante di Khamenei all’interno di quest’organo negli ultimi otto anni fino ad oggi.

Khamenei è il responsabile delle politiche di repressione sulla popolazione, delle forze di Sicurezza dello Stato (FSS), Ministero dellintelligence (MOIS), e del ramo Giudiziario. E’ tutto sotto il suo controllo, e Rowhani è semplicemente un suo esecutore. Le relazioni con gli USA dipendono esclusivamente dalla volontà del Leader Supremo.

Lo stesso Rowhani nel giugno 2013 aveva dichiarato apertamente di aver ingannato l’Occiente per avviare il programma atomico e che i progressi maggiori in questo ambito, sono avvenuti quando lui era il negoziatore del regime per il nucleare.

Quello che non è chiaro all’occidente, è che Rowhani, oltre ad essere un Ayatollah perfettamente inserito nelle dinamiche del regime, anche volendo, non potrebbe cambiare realmente la situazione riguardante la dittatura clericale nel paese, perchè il solo modo per farlo, sarebbe quello di limitare l’autorità del Leader Supremo e modificare l’attuale ciclo del potere. Ma perchè questo potesse avvenire, il Presidente dovrebbe poter alterare la struttura del regime, scavalcare la Costituzione islamica che non consente al Presidente – in questo caso Rowhani – una tale autorità. Perchè la riduzione dell’autorità del Leader Supremo, porterebbe al crollo dell’intero regime basato sul Velyat-e-faqih – ovvero – la totale identificazione tra la politica e il clero.

Per tale motivo, il regime non ha diminuito le violazioni dei diritti umani in Iran, le impiccagioni continuano ad essere numerose anche con il nuovo Presidente. I diritti delle donne sistematicamente violati. Ricordiamo che l’Iran è un paese dove si condannano a morte anche i minorenni.

E’ naturale quindi, chiedersi come è possibile considerare Rowhani un moderato con il quale intraprendere una politica di dialogo, se non si chiede che prima vengano rispettati i diritti umani e fermata la durissima repressione a cui i dissidenti sono sottoposti.

Come si può parlare di moderazione riferendosi ad un paese dove la pena di morte la fa da padrona anche per reati minori, o nientemeno che per adulterio e omosessualità.

Allora cerchiamo di decidere se i diritti umani, e i diritti delle donne, sono un interesse dell’occidente, e della sinistra, solo a fasi alterne. Perchè qui stiamo parlando di un regime che rifiuta totalmente questi principi attraverso un comportamento dominante e sanguinario, finalizzato a soffocare la dissidenza, e ad alimentare la disuguaglianza e l’ingiustizia sui cui fonda la sua ragion d’essere. E perchè è proprio sulla misoginia più esasperata che si regge la Repubblica islamica dell’Iran, una discriminazione sessuale voluta da Khomeini, e perpetrata dall’attuale regime clericale, basata su considerazione del tipo: “l’uguaglianza non è primaria rispetto alla giustizia. Giustizia non vuol dire che le leggi debbano essere le stesse per gli uomini e per le donne. Le differenze come la statura, la vitalità, la voce, lo sviluppo, la qualità muscolare e la forza fisica, mostrano che gli uomini sono più forti e più capaci in tutti i campi; il cervello degli uomini è più grande….”.

Tutte le misure restrittive sono nate per strappare alle donne i loro diritti sociali, e sono divenute leggi con Khomeini, e rinforzate nella Repubblica islamica nata con lui, e tutt’ora in vigore.

Ma probabilmente all’occidente e agli Usa non conviene poi così tanto che si arrivi alla fine dello Stato religioso governato dagli Ayatollah. E’ sufficiente una certa “moderazione” per dare in pasto alla pubblica opinione la barzelletta dell’Ayatollah buono con il quale stringersi le mani grondanti di sangue.

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