MARILYN MONROE, DIVA DALLA “CUPA BRILLANTEZZA”
Ancora oggi, a sessant’anni dalla sua scomparsa, ricordando quella notte fatale fra il 4 e il 5 agosto 1962, ci si chiede come sia morta la leggendaria attrice e cantante californiana Marylin Monroe, nel dubbio costante se sia stata più misteriosa la sua morte o la sua vera personalità. Suicidio od omicidio? La sua torbida fine diede inizio a un ciclo di ipotesi complottiste riguardo alle morti di alcuni VIP che, da quel momento, pervasero per quasi un ventennio il mondo dello spettacolo.
Dalla scomparsa della Monroe, infatti, cominciarono decenni di speculazioni ed infinite e soporifere elucubrazioni su vari divi della musica e del cinema, da Luigi Tenco a Jimi Hendrix, da Jim Morrison, a Bruce Lee, da Elvis Presley a Kurt Cobain, tutti morti nel mistero e tormentati da personalità estremamente talentuose ma disperate, autodistruttive e instabili. Marylin fu la capofila di questa mitologia della “morte inspiegabile”. Ma chi era davvero Marylin e perché è rimasta così impressa nell’immaginario collettivo tanto da ispirare geniali artisti come Andy Warhol e il dissacrante scrittore Norman Mailer e come mai soprattutto ancora oggi si continua a parlarne?
Completamente diversa dall’immagine di “biondona svampita e superficiale” che, certi ruoli, le avevano cucito addosso e che la fece molto soffrire, Norma Jean Mortenson, questo il suo vero nome, era un’interprete innovativa, espressiva e carismatica. Marylin oltrepassava qualsiasi stereotipo, specialmente quello di sex symbol dalla bellezza disarmante per il quale passò alla storia, specialmente fra il pubblico maschile, fra gli anni ’50 e ’60.
La Monroe era molto piu’ di una donna che si distingueva solamente per il suo aspetto fisico; il suo fascino e la sua magnetica e tormentata personalità lasciano ancora oggi ipnotizzati, sia quando recitava che quando cantava canzoni struggenti come Bye Bye baby. Come ha ricordato in un interessante articolo, uscito sul sito abc.net, l’attrice era molto diversa da come sembrava. Il presidente del Marylin Fanclub, Greg Schreiner, ricorda che “era intellettuale, avida lettrice di libri impegnati, come testi filosofici, molto gentile, comprensiva e generosa”.
Talento e tormento furono le costanti della sua breve e intensa esistenza, conclusasi a soli 36 anni. Emblema di successo e di solitudine, di brillantezza e di cupezza, venne ritrovata nella sua stanza stesa esanime sul letto impugnando un telefono in cerca di aiuto, conforto, dialogo, probabilmente stroncata, secondo la leggenda più diffusa, da una overdose di pillole e depressione.
Nata da una famiglia lacerata dall’abbandono paterno e dalla follia della madre, da continui spostamenti fra orfanotrofi e nuovi nuclei famigliari, come gli Atkinson e i Goddard, Marylin si gettò nel mondo della moda e dello spettacolo in cerca di riscatto, riconoscimento e stimoli.
Provando continuamente a superare i propri limiti, dalla timidezza, alla balbuzie a varie insicurezze e complessi, Marylin continuò a scavare dentro di sé, ad inseguire ruoli importanti che dimostrassero, a pubblico e critica dell’epoca, le sue vere doti attoriali. Divisa fra desiderio di emergere e ricerca di stabilità famigliare e affettiva, si sposò ben tre volte; la prima a soli 16 anni con un certo Jim Dogherty, la seconda con il campione del baseball italoamericano Joe Di Maggio, per soli 9 mesi, e la terza, che fu la più importante, con l’austero e geniale drammaturgo ebreo di origini russe Arthur Miller.
Furono legati dal 1956 al 1961, due caratteri e due stili di vita opposti, lo schivo Miller e l’esibizionista Marylin; per amore di lui lei si convertì all’ebraismo e provo’ ad avere.un figlio ma,tragicamente, perse il bambino.
Dolore e successo si alternarono continuamente nella travagliata esistenza di questa immortale attrice che riuscì a lavorare con alcuni dei più grandi nomi del cinema internazionale. Riusci’ a passare, prodigiosamente, da ruoli “frivoli” come Gli uomini preferiscono le bionde, del versatile Howard Hawks, Come sposare un milionario di Jean Negulesco ed Il Principe e la ballerina, delicata commedia diretta dall’istrionico attore britannico Lawrence Olivier, a film impegnati e impegnativi come Eva Contro Eva di Joseph Mankiewiz, assieme a icone dello star system come Bette Davis.
Proseguendo sulla scia del cinema di qualità, da lei tanto agognato, da segnalare, sempre nel genere commedia ma ben più sofisticata e di alto livello, la burrascosa collaborazione con il regista ebreo galiziano Billy Wilder, snervato dalla sua personalità e dai continui ritardi sul set, in ben due film, entrambi grandi successi come il malizioso e divertente Quando la moglie va in vacanza ed il suo film più importante A qualcuno piace caldo, uno dei preferiti della superstar Freddy Mercury.
Fra i registi che più ne stimolarono l’interiorità fu un grande autore come John Huston che la scelse per ben due film, nel 1950 con Giungla d’asfalto e, nell’ultima parte della sua carriera e della sua vita, con un capolavoro esistenziale come Gli Spostati del 1961. Realizzato fra vari tormenti, dai proverbiali ritardi dell’attrice al fatto che Marylin, dipendente da alcol e psicofarmaci, aveva cominciato a dimenticare le battute del copione che dovevano essere ripetute varie volte, il film fu un fiasco commerciale ma un trionfo della critica.
Diretto con mano sicura da Huston, fu uno dei suoi ruoli più riusciti, sostenuto dalla mirabile sceneggiatura del grande Arthur Miller e dalla sua interpretazione formidabile assieme a quella di Montgomery Clift e di Clark Gable, con cui sviluppò un rapporto molto forte ma che sarebbe morto, a 59 anni, prima della fine delle riprese. Così arrivò l’epilogo, quel 1962, in cui Marylin recitò le sue ultime parti, cercando riscatto nel cambio di look, intrecciò una breve relazione con il fascinoso cantante italo francese Yves Montand e recitò il suo film-testamento dal titolo inquietante Qualcosa dovrà accadere, diretto dal regista ebreo ungherese George Cukor. E alla fine poco dopo, qualcosa di improvviso e tragico accadde.
La sua morte, avvolta nei misteri della sua fragilità mentale e della politica, celebri i suoi legami con i due fratelli John e Robert Kennedy e quel suo sguardo, dolce e bisognoso di attenzione, ci hanno accompagnato fedelmente per sessant’anni fra le mitologie del dorato e crudele mondo dello spettacolo e tormenti della sua anima.
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