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Il rapporto tra passato e presente, chi banalizza chi?

gennaio 21, 2022 • Articoli, Cultura e Società, z in evidenza

Dipinto di Yad Vaschem

di Davide Cavaliere –

In diverse occasioni, i manifestanti contrari alla vaccinazione coatta e alla mostruosa certificazione vaccinale verde hanno usato la stella di David come emblema discriminatorio da parte dei nazisti nei confronti degli ebrei, per istituire un parallelo tra sé stessi e loro. 

Questo impiego della stella gialla sul cappotto ha scatenato i «custodi della memoria» nostrani, che si sono affrettati a lanciare accuse di «banalizzazione della Shoah». Di solito, lo scrivente non fa mai uso di parallelismi con l’Olocausto per raccontare il presente e reputa stucchevole il tentativo di tutte le minoranze di accreditarsi come «nuovi Ebrei», ma nota con dispiacere che alcune strumentalizzazioni della Shoah suscitano sdegno e altro no. 

Infatti, nessun partito politico e nessuna organizzazione ebraica ha espresso preoccupazione e indignazione quando, a Lucca, sono apparsi alcuni manifesti coi quali si chiedeva la camera a gas per i non vaccinati, oppure quando alcuni medici invocarono la necessità di «campi di sterminio» per la medesima categoria. 

Sono migliaia gli utenti dei social media che propongono soluzioni naziste al «problema» dei non vaccinati: qualcuno suggerisce lo Zyklon B, mentre altri, più «gentili», il ghetto o la fucilazione. Tali commenti, se segnalati ai controllori di Facebook, risultano sempre rispettosi dei fantomatici «standard della community» e, potremmo aggiungere, di quelli dei paladini della memoria. 

Sviluppare parallelismi tra le attuali norme discriminatorie mettendole in relazione con quanto avvenuto nella Germania nazista, tentando sempre di evitare affermazioni e condotte iperboliche, non è né scorretto né offensivo per almeno due ragioni. 

In primo luogo, il pensiero ha per sua struttura anche l’analogia, ossia la capacità di dedurre mentalmente un certo grado di somiglianza tra fenomeni od oggetti differenti. Non si tratta di sostenere che oggi si sia instaurato un nuovo regime nazista, nessuno dei soggetti promotori delle attuali discriminazioni aderisce alle teorie hitleriane, ma semmai che certe tentazioni, certe pulsioni e semantiche che hanno caratterizzato il totalitarismo siano, ancora una volta, moneta corrente, seppur in modo ricombinato. Una cosa simile è stata fatta persino da una sopravvissuta alla Shoah, l’ebrea americana Vera Sharav, da anni impegnata nella difesa dei diritti umani dei malati, che ha individuato dei parallelismi tra le tattiche naziste e la gestione della «pandemia» da Covid-19. 

In secondo luogo, dal momento che la memoria della Shoah è entrata nel dibattito pubblico, diventando un elemento portante dell’educazione civica d’intere generazioni, riferirsi a essa è inevitabile. Nella cultura europea, il popolo d’Israele incarna il perseguitato per eccellenza.

Tutte le violazioni delle libertà rimandano a quella ingiustizia abnorme che fu l’Olocausto. Dunque, davanti ad alcune manifestazioni kitsch dei «no green pass», si può continuare a guardare il dito, ossia quattro manifestanti vestiti da deportati, oppure si può guardare la luna: ovvero scandalosa discriminazione messa in atto con la certificazione vaccinale e avvallata da una scienza sedotta dal potere politico – proprio come quella che promosse la persecuzione antiebraica. 

Si tratta di banalizzazione la Shoah? Assolutamente no. I veri «banalizzatori» dell’Olocausto sono coloro che hanno museificato e mummificato l’evento più tragico del secolo scorso. 

Primo Levi ricordava che «Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi, è nell’aria. La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia: sarebbe sciocco negarlo». Collocare la Shoah al di fuori e al di sopra della storia, farne un’astrazione priva di relazioni con la contemporaneità, vuol dire non aver compreso il significato universale di quella immane tragedia. Con questo non s’intende affermare che tutti i parallelismi con la Shoah siano corretti, ma essi non possono essere rifiutati a priori. 

Inoltre, bisogna ricordare che l’Olocausto non è stato solo il sistema concentrazionario ma anche, per usare le parole di Vera Sharav, la distruzione della «coscienza sociale in nome della salute pubblica. Le politiche sanitarie coercitive hanno violato i diritti civili e umani individuali. La propaganda nazista usava la paura delle epidemie infettive per demonizzare gli ebrei come portatori di malattie che rappresentavano una minaccia alla salute pubblica. 

Sono la paura e la propaganda le armi psicologiche che i nazisti hanno usato per imporre un regime genocida». Diventa difficile non accostare il sistema nazista alle attuali pratiche igieniste di distanziamento sociale, uso di vaccini sperimentali e demonizzazione dei non vaccinati. Il collegamento esiste. 

L’elevazione della Shoah a una sfera intoccabile e imparagonabile è devastante. Se diventa una faccenda dei soli ebrei e non dell’umanità in generale e ogni tentativo di parlarne in relazione a qualcos’altro suscita reazioni irate (per quanto selettive), alla lunga, diventa insopportabile. 

Allo scrittore André Schwarz-Bart chiesero perché si era rivolto, dopo il libro L’ultimo dei giusti, che racconta il genocidio degli ebrei, verso le sofferenze degli schiavi neri, lui rispose così: «Un grande rabbino a cui veniva chiesto: “La cicogna in ebraico è stata chiamata hassida (affettuosa) perché amava i suoi, e tuttavia è collocata nella categoria degli uccelli impuri. Perché?”, rispose: “Perché dispensa il proprio amore solo ai suoi”». 

La maggiore offesa che si può arrecare alla memoria della Shoah è il rifiuto di cercarne i prodromi nel presente.

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