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Me Too, attacco a Delon, quando la relatività diventa assolutismo

maggio 15, 2019 • Agorà, Articoli, z in evidenza

di Loredana Biffo –

Lui, Alain Delon, il mostro sacro del cinema –  di tutto il cinema – non solo quello  francese. E’ stato definito l’uomo più bello del mondo. I suoi occhi hanno letteralmente fulminato e ammaliato alcune tra le donne più affascinanti del mondo dello spettacolo.

Negli anni sfolgoranti della sua lunga carriera molte di noi hanno apprezzato la sua bellezza, la sua virilità (termine desueto), le sue indubbie doti di grande attore; molto probabilmente anche qualche femminista retrò avrà intimamente indugiato a guardare una sua foto, intimamente desiderato lui, che era il più seducente macho dell’epoca, lo è stato e lo è ancora nonostante i suoi 83 la classe rimane unica. Ma oggi no, oggi le femministe d’avanguardia non sono d’accordo, dicono che è maschilista, omofobo e di destra. Non date la Palma d’oro alla carriera a quel “razzista”, “sessista” e “omofobo” di Alain Delon, sberciano codeste intenditrici, hanno raccolto più di 18.000 firme. “Una polizia politica”: così Thierry Frémaux , delegato generale del Festival di Cannes, ha descritto la petizione che si oppone alla palma d’onore assegnata ad Alain Delon .

“Questo attore razzista, omofobo e misogino sarà onorato a Cannes”, si intitola la petizione pubblicata sulla piattaforma Care2. “Più di ottanta film, innumerevoli capolavori e ruoli superlativi che sottolineano la grandezza artistica e l’aura internazionale di un uomo che folgorò il cinema in ‘Delitto in pieno sole’ (1960).

Hannah Arendt descrive l’ideologia come “logica di un’idea”, logica inevitabile nella quale tutti i fatti devono, per convenienza o in modo forzato, rientrare.

Alcune studiose francesi, compresa la celebre antropologa Françoise Héritier, sono arrivate a sostenere la tesi secondo la quale se le donne sono di corporatura più minuta rispetto agli uomini, questo sarebbe perché gli uomini fin dall’alba dei tempi si sono riservati i tagli migliori di carne, privando così le loro compagne delle proteine necessarie alla crescita.

Allo stesso modo le femministe del Me Too declinano la virilità di Alain Delon in “machismo”, derubricando il maschio a qualcosa di negativo e brutale se non è efebico, insomma il modernismo femminista anela alla destrutturazione maschile. Naturalmente il macho brutto e cattivo è rigorosamente di destra, e l’omosessualità, il gender e quant altro, altrettanto rigorosamente di sinistra.

Per il femminismo, il rapporto tra uomo e donna è esclusivamente una relazione di forza e di potere, dove l’uomo rappresenta il predatore e la donna la sua preda. In questa narrazione – che mette in luce solo un aspetto di tale rapporto – viene però rimossa la questione della seduzione, che ovviamente può essere sia femminile che maschile, ma soprattutto non si vuole dire che spesso la seduzione è essa stessa un rapporto di potere. E questo è ciò che è sempre stato occultato nel trattamento mediatico dell’affaire Weinstein: perché non sono mai state evocate le donne che hanno saputo approfittare del sistema Weinstein?

Il messaggio non lascia spazio alla lettura della realtà se questa non viene piegata all’ideologia: l’uomo è un predatore e una minaccia perpetua per la donna. Questo movimento si iscrive nell’era della vittimizzazione che sta conquistando l’intero occidente. E’ giunto il momento – per chi come la scrivente ha aderito in gioventù al movimento di liberazione femminile – di essere severe e lucide  nei confronti di questo movimento contemporaneo, il #MeToo, perché è sintomatico dei due pesi e due misure praticati dalle femministe.

La battaglia femminista oggi ha ancora senso nei territori  dove regna la legge islamica, dove le donne sono oscurate dallo spazio pubblico o lo attraversano nascoste sotto abiti che le coprono dalla testa ai piedi, dove sì, sono sotto la tutela dell’uomo.

Certamente alcune donne sono vittime di alcuni uomini, come del resto alcuni uomini possono essere vittime di alcune donne, anche se a questi viene concesso zero spazio mediatico.  Ma “quando si generalizza la sofferenza, abbiamo il comunismo”, diceva il romanziere Philip Roth.

Sarebbe ora che le ancelle del Me Too si dedicassero agli sforzi che molte donne nel mondo islamico portano avanti a rischio della pelle, come nel caso delle donne iraniane che vengono incarcerate e torturate perchè osano contestare l’obbligatorietà del velo, invece di rendersi quantomeno ridicole contestando la palma d’oro al sex symbol per eccellenza, Alain Delon.

Il femminismo contemporaneo è proprio una scuola di ottundimento del pensiero, è giunta l’ora di gridarlo a queste svampite ancorate a stereotipi culturali poichè timorose di affrontare la torsione oscurantista che l’ideologia islamica sta imponendo bellamente alla società occidentale. Costoro saranno le prime complici delle mutazioni sociali che ci faranno tornare indietro di secoli, loro e il relativismo culturale assurto ad assolutismo dovranno rendere conto alle future generazioni della dissonanza cognitiva che ci sta portando alla deriva.

Come dice Bérénice Levet, filosofa e saggista francese: “Nei secoli cosiddetti “morali”, la censura si abbatteva sulle opere letterarie o figurative nel nome della morale e della religione. Oggi invece l’ordine morale veste i panni progressisti del neofemminismo e dell’antirazzismo”.

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