La boxe dei migranti e la violenza politica
di Loredana Biffo –
La giunta Pd con la collaborazione della Caritas sono i “geniali” artefici dell’iniziativa “Un pugno al razzismo”, che prevede un corso di boxe per i migranti uomini ospiti della struttura di accoglienza diocesana “Open Space del Campo . La piccola Matita”. Il tutto diretto dal pugile professionista Armando Bellotti. La boxe intesa come mezzo di socializzazione e inserimento dei migranti.
Ormai si può ragionevolmente sostenere che a sinistra la distorsione della realtà vada oltre l’immaginazione; mentre è in corso una consapevolezza diffusa su quella che è l’emergenza della tutela dei cittadini, in particolar modo delle donne che sono sempre le prime prede della violenza maschile, ma che ai sinistrorsi aggrada declinare nella versione italiana, non a caso il mantra delle femministe di governo e non, verte sempre e solo sulle violenze dei maschi nostrani, che se pure hanno una loro ben precisa connotazione e peso, non si capisce per quale motivo quelle degli immigrati sarebbero più tollerabili perchè provenienti da culture altre.
Quello che sta avvenendo è un processo di legittimazione della violenza da parte degli immigrati che secondo la visione distorta del nostro ceto politico sarebbero vittime di un razzismo ingiustificato da parte di italiani beceri e intolleranti. In realtà ci troviamo difronte innanzitutto ad una inaudita violenza istituzionale, che cinicamente impone un’osmosi etnica sottraendo per di più risorse materiali – si veda la questione del bonus bebè alle donne immigrate – agli autoctoni per trasferirle in modo indiscriminato a chi si ritrova improvvisamente sul territorio italiano.
Hobbes avrebbe detto che la violenza è un risorsa importante a disposizione degli esseri umani nello stato di natura, uno stato dove ci si imbatte nelle tre principali cause di violenza: competizione, diffidenza e appropriazione di risorse scarse, che motivano rispettivamente la ricerca di guadagno e sicurezza. Quello che sta avvenendo è una legittimazione della violenza da parte di un’immigrazione incontrollata derogata a vittima a prescindere; che automaticamente imprigiona nel ruolo di carnefice (razzista/fascista) chiunque dissenta oppure osi ribellarsi a tale modello, generando così una frustrazione che si autoalimenta. Poichè secondo Rosseau le infamie ascritte alle nostre azioni potrebbero essere eliminate se vivessimo conformemente alla stato di natura – qui vien da chiedersi se per i nostri governanti illuminati dovremmo forse andare tutti a scuola di boxe – il vizio non appartiene agli umani, ma agli umani mal governati.
Sempre nel contratto sociale di Rosseau la nozione vaga di governo, veniva lentamente sostituita da quella di istituzioni, ovvero un insieme di agenzie e di ideologie che le sottendono, in grado di incattivire gli esseri umani. Un popolo è sempre quello che i suoi governanti lo rendono, avremo quindi in ciascun contesto, dei combattenti, dei cittadini, dei malfattori e così via; a seconda delle istituzioni che detengono il potere politico in un determinato contesto. E’ evidente che i governi che dispongono di forza autorizzata cercano di sfuggire all’autorità legislativa (che prevede la sicurezza del cittadino) e sostituire la volontà del popolo con la propria e per i propri fini.
Ricordiamo che in merito al concetto di “forza”, Cesare Beccaria formulò il suo programma teorico di riduzione della violenza autorizzata anche se le sue argomentazioni derivavano dal timore verso la possibile ascesa della violenza non autorizzata. E’ esattamente la china scivolosa che si sta intraprendendo con una cecità colpevole da parte delle istituzioni che tutelano sempre meno il cittadino e il senso di insicurezza generato dalla violenza dilagante che sta derivando da questo fenomeno migratorio a effetto valanga.
Il filosofo francese Alain Finkekraut non molto tempo fa a proposito del caso francese, ha detto che la responsabilità del Governo è quella di aver avviato la società francese su due biforcazioni, la sottomissione o la guerra civile. Decisioni come quella di integrare i migranti attraverso un’attività sportiva come la boxe lasciano esterefatto chiunque abbia un po’ di buon senso, senza scomodare i grandi viene da chiedersi perchè proprio la boxe, tanto più raccapricciante se si pensa al fenomeno degli stupri come quello di Rimini condotto da un branco inferocito ai danni di una coppia e di una trans.
Chiediamo a tal proposito cosa ne pensa Manola Sambo, presidente di “Progetto Araba Fenice” e referente del gruppo “Dalla Parte delle Donne” (che a settembre scorso ha denunciato il mediatore culturale che difendeva gli stupratori di Rimini), secondo cui “le cronache raccontano di donne di tutte le età aggredite, pestate e abusate da extracomunitari” ed “è assurdo che a chi arriva nel nostro Paese vengano forniti ulteriori strumenti di aggressione e sottomissione”. “Queste iniziative targate sinistra – conclude – mi spaventano e mi portano a pensare che, forse, l’unico modo che rimane a noi donne per difenderci è prendere il porto d’armi”.
I questo contesto istituzionale e politico connotato da una forte sofferenza della società, la riduzione di tale stato di sofferenza è assolutamente indispensabile per prevenire il pericolo di esplosioni di violenza antiistituzionale che non tarderà a verificarsi di fronte a tanta scelleratezza della politica che dovrà assumersene tutta la responsabilità.
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