L’attesa e la subalternità della politica
di Loredana Biffo –
E’ arrivato il giorno tanto atteso della sentenza della Corte Costituzionale che ci consegnerà un sistema elettorale plasmato da una visione giuridica anzichè da una politica. Una tendenza che da almeno due decenni ha preso sempre più piede e che si profila come un modus operandi specifico di un paese dove la politica ha perso da tempo ogni capacità, nel senso più profondo che si possa dare al termine.
In merito alla legge elettorale è significativa la subalternità della politica alla Corte, che volente o nolente si trova ad affrontare nuovamente il fallimento di leggi elettorali liberticide dopo aver precedentemente abrogato il mefitico Porcellum fonte di disastri che sono altresì evidenti.
Poichè nessuno in ambio politico è stato in grado di fare una proposta su una nuova legge elettorale che fosse perlomeno condivisibile se non perfetta, dopo l’Italicum finalizzato ad un Parlamento egemonizzato da una sola Camera, ci si trova ora difronte al pericolo che le decisioni dei giudici vengano adattate opportunisticamente a meri interessi di corto respiro, con questo è da intendere ovviamente tutto ciò che è inerente a interessi di parte, o “delle parti”.
Naturalmente anche gli espedienti per prendere tempo ed evitare il voto a breve termine potrebbero essere in agguato, le asimmetrie date da una eventuale soluzione frettolosa e destinate a creare ulteriori lacerazioni sono tutt’altro che fuori tema visti i rapporti di forza che si sono venuti a creare con la vicenda referendaria; ancora una volta risulta quantomeno impossibile non dare la responsabilità a Renzi di aver voluto il referendum provocando una frattura nel Paese e nel panorama politico che non ci consegnerà nulla di buono, anche all’interno dello stesso Partito Democratico.
Ricordiamo che la questione più scottante è relativa al premio di maggioranza destinato alla lista che ottiene il 40 per cento dei voti – 55 dei seggi – questo si profila come incostituzionale perchè sproporzionato e perchè consentirebbe ad un partito che posizionandosi per secondo anche con il 39,5 per cento di voti, avrebbe una drastica riduzione del proprio peso; ne verrebbe colpito in particolar modo il principio di rappresentanza che sarebbe sacrificato a favore della governabilità.
Quando la Corte bocciò il Porcellum sostenne chiaramente l’aspetto dell’equilibrio, anche se nessuna norma vieta il premio di maggioranza, va considerato che nel Porcellum non era prevista una soglia minima al fine dell’ottenimento di tale premio, ora questa oltre ad esserci è anche alta, più che un rispetto della politica nei confronti della precedente sentenza della Corte, sembra uno di quei famosi ripiegamenti e adattamenti delle sentenze a fini opportunistici, di fatto non si vuole ammettere che il premio di maggioranza pur non sconfinando in aspetti di incostituzionalità è indubbiamente antidemocratico e per nulla rispettoso della rappresentanza.
A promuovere i ricorsi un pool di avvocati: tra loro Felice Besostri, che fu già al centro dell’azione contro il Porcellum, poi dichiarato incostituzionale. Tredici i giudici presenti nell’aula della Consulta: relatore è Nicolò Zanon, che ha illustrato la causa. Poi hanno parlato gli avvocati anti-Italicum e a seguire l’avvocato generale dello Stato, Massimo Massella Ducci Teri, che ha il compito di difendere l’Italicum per conto della Presidenza del Consiglio. La decisione sarà presa dopo la camera di consiglio a porte chiuse dei giudici.
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