La “questione maschile”
di Loredana Biffo –
Non chiamiamolo femminicidio, chiamiamolo “delitto d’onore“, che è stato abrogato dal codice penale – così come l’abbandono del tetto coniugale – ma non dalla testa degli uomini; abbiamo quindi una “questione maschile” non risolta e non riconosciuta.
“Comizi d’amore” di Pier Paolo Pasolini. A dei ragazzi calabresi chiedeva se non era meglio divorziare, piuttosto che ammazzare la moglie. Diceva uno: “Ma se divorzio e mia moglie va con un altro, io sono cornuto per sempre. Meglio ammazzarla”.
Meglio picchiare e ammazzare, piuttosto che perdere l’onore.
Il flusso degli eventi ci travolge, gli ammazzamenti di donne sono all’ordine del giorno, tant’è che è difficile tenerne il conto. L’ultimo – esemplare – è quello del conosciutissimo dermatologo, padre e marito borghese e modello del paternalismo benevolo che affligge la società contemporanea.
Massacra a bastonate (pare dopo averla violentata) la moglie (madre dei suoi figli) che voleva la separazione, poi cerca di fuggire alla polizia portando via i figli. Per fortuna la fuga non gli è riuscita.
Una storia come tante, troppe. Uomini che vengono definiti incapaci di accettare l’abbandono e che in qualche modo il reiterante paternalismo benevolo giustifica. C’è il suicidio di una ragazza filmata dal fidanzato durante un rapporto e successivamente il filmato è stato messo in rete creando il pandemonio che sappiamo. Ci sono uomini adulti, ma anche ragazzini che violentano bambine e adolescenti, l’elenco potrebbe continuare, ma per questo è sufficiente leggere le cronache dei giornali.
E’ infatti indiscutibile l’asimmetria di potere che impera tra gli uomini, questa ripropone incessantemente l’ideologia del maschio dominante fatta propria anche dalle donne; si tratta di uno status di risorse e costrutti sociali che viene sorretto da atteggiamenti e comportamenti che definiamo sessismo, maschilismo, macismo, femminicidio ecc. ma sarebbe meglio definirli semplicemente uomini assassini e dichiarare apertamente che esiste una “questione maschile” sulla quale puntare i riflettori.
Basta con la giaculatoria della pietas per le donne, per poi passare alla prossima trucidata, perseguitata, sfregiata con l’acido e via dicendo.
Diciamo chiaramente che esiste un problema socialmente rilevante quando questi delitti annunciati derivano innanzitutto dalla mancanza di empatia e rispetto per l’altro, cosa dobbiamo dire delle ragazzine che filmano lo stupro di una compagna, non è forse questo un problema che riguarda un modello fatto proprio anche dalle donne?
La questione nella sua arretratezza culturale, ma dilagante e persistente nella modernità, assume un’urgenza particolare perché è un enorme limite allo sviluppo sociale, civile e culturale.
Così come l’accondiscendenza verso modelli come quello islamico (e non solo) in cui la sottomissione della donna è il perno del credo religioso, altrettanto questo è speculare nel modello sociale che l’occidente reitera.
E’ urgente parlare delle diseguaglianze tra uomini e donne, invece di assecondare pericolose inversioni verso un passato che non vorremmo più rivivere.
Una volta, quando una donna veniva uccisa da un marito, un fidanzato o un amante, si diceva “capita”, il che sottintende che alle donne può succedere, non è che non dispiaccia, ma può capitare, perché le donne sono fragili prede, perché “l’uomo è fatto così” e allora sono le donne che devono “stare attente” a non provocarlo, ad assecondarlo.
Questo modello in fondo è ancora culturalmente accettato. Amartya Sen anni fa diceva che erano cento milioni le donne mancanti in alcune zone dell’Asia. Le stime sugli omicidi, stolker e aggressioni ci danno dati aberranti anche in Italia. Proprio per questo in Italia ha senso parlare di una “questione maschile”, considerata la coincidenza tra l’arretratezza del maschile e la stagnazione del paese.
E’ evidente che questo modello sta stretto anche a molti uomini, la differenza con il passato (abbastanza recente) è che quando una donna veniva ammazzata o violentata e si baypassava il concetto del “può succedere”, è che oggi se ne parla e ci si scandalizza per il medico “per bene” che trucida la moglie, ma la frizione slitta quando invece è un uomo di altra nazionalità o ceto sociale basso a farlo.
Quel che è necessario comprendere è che la violenza maschile è trasversale ai ceti e alle nazionalità; il maschilismo va letto come fenomeno storico che interpreta in modo unidirezionale le differenze biologiche tra uomini e donne. Dobbiamo occuparci della struttura patriarcale che ancora sottende la vita collettiva, fare dei paradigmi con la contaminazione delle culture che non può essere una sommatoria di culture, altrimenti non facciamo che reiterare queste diseguaglianze in modo che poi si rivela drammatico.
Vanno smontati quei processi psicosociali sui quali è basata la costruzione ideologica della superiorità maschile, e va fatto attraverso l’analisi degli stereotipi e dei ruoli di genere. Bisogna ragionare sulla costruzione del maschile, ovvero su quell’immenso lavoro necessario a fare un “vero” uomo e sulla fatica che oggi comporta tale ruolo in confusione sugli aspetti determinanti del rapporto tra i sessi. Non di meno mettere in luce l’aspetto della “collusione femminile” che tanto aiuto fornisce alle più o meno evidenti forme di delegittimazione delle donne, a cominciare dall’educazione dei figli maschi e anche delle femmine.
Inoltre va tenuto presente che gli stereotipi sono determinanti ad assicurare la continuazione delle gerarchie, al mantenimento di una data struttura sociale basata in primis sulla diseguaglianza e sulle asimmetrie di potere, che vengono giustificate come “naturali” (quel modus vivendi del “alle donne può succedere”), desiderabili e moralmente corretti i ruoli maschili e femminili.
Si pensi alla questione del linguaggio usato nella comunicazione e nella pubblicità. Non dimentichiamo che la persistenza degli stereotipi è legata alla presenza di conferme sociali e di pressioni e adeguamenti al conformismo.
Peculiare è a tal proposito il parallelismo apparentemente innocuo tra manifestazioni come miss Italia con il suo corollario di corpi allo sbaraglio e la legittimazione del coprire il corpo delle donne attraverso strumenti di pressione quali sono le religioni che si appropriano in tal caso della sfera sociale, facendo passare un condizionamento culturale come una scelta, allora sfilare ad un concorso di bellezza o coprirsi con un burkini, assume la stessa valenza, ovvero l’adeguamento ad un costrutto sociale in cui la libera scelta non c’entra proprio nulla.
E’ solo cominciando a guardare ai modelli sociali con lenti diverse che potremo combattere le arretratezze vecchie e attuali che si intrecciano, e dare agli assassini il denominatore giusto, non meno la certezza della pena parallelamente al necessario lavoro sul piano culturale.
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