Le ambizioni geo politiche dell’Iran
Redazione
L’intervento degli USA in Iraq nel 2013 costituì per l’Iran un’occasione d’oro per estendere la propria influenza in Iraq, dove lo stato precipitò nel disordine e l’esercito venne smobilitato. Il caos nella Mezzaluna Fertile è la condizione ideale per l’espansione dell’Iran, se l’Iran riesce a superare le limitazioni intrinseche alla sua geografia.
Limitazioni che si sono viste chiaramente durante la guerra tra Iran e Iraq negli anni ’80: nonostante l’Iran fosse allora tre volte più popoloso dell’Iraq (38 milioni contro 13 milioni di abitanti), non riuscì a ottenere altro che il congelamento dello status quo geopolitico. I soldati iraniani si lanciavano spavaldamente nella lotta, ma lo stato non riusciva a organizzare il supporto logistico per coprire e stabilizzare la loro avanzata.
Da allora l’Iran ha messo da parte l’opzione del confronto diretto, preferendo la strategia dell’influenza strisciante, tramite il sostegno dei gruppi sciiti nella regione e delle loro milizie. Furono i Pasdaran (ossia le Guardie della Rivoluzione Islamica) ad addestrare le truppe di terra di Hezbollah, la più nota tra le filiali iraniane del Medio Oriente, che sfidò Israele in un confronto aperto nel 2006, riuscendo non solo a non uscirne sconfitto, ma anche a costruirsi un capitale di credibilità politica. L’Iran ha sempre avuto un alleato nella Siria degli Assad, perciò all’inizio degli anni 2000 l’influenza dell’Iran si estendeva fino al Mediterraneo.
L’insurrezione del 2011 in Siria ha mandato in pezzi la strategia iraniana: nella guerra civile in corso i ribelli sunniti hanno distrutto il potere di Assad. Hezbollah, pur con divergenze interne, ha dovuto spostare l’obiettivo della sua azione da Israele alla Siria per sostenere Assad. Lo stato di totale caos in cui versa la Siria ha costituito un terreno fertile per la nascita e lo sviluppo dello “Stato Islamico”, che controlla gran parte della Siria e dell’Iraq, dando filo da torcere a Teheran, che teme di perdere l’egemonia su governo di Bagdad.
Il fallimento del suo progetto di egemonia regionale è il motivo per cui Teheran ha deciso di negoziare sul programma nucleare con le potenze occidentali, per ottenere l’abolizione delle sanzioni. La crisi siriana, la crisi economica mondiale e la debolezza economica iraniana hanno messo Teheran in posizione di difesa, non più di espansione. La stabilizzazione dell’Iraq e dell’economia iraniana sono ora l’obiettivo primario dell’Iran.
Ora la posizione internazionale di Teheran è già migliorata: i diplomatici europei e asiatici vedono nell’Iran una grande opportunità di investimento, sia politico che economico. Ma le condizioni propizie per estendere l’influenza dell’Iran in tutta la Mesopotamia non sono venute meno: lo stato iracheno è sempre più fragile, i Curdi premono per l’autonomia e per la sovranità sui giacimenti di petrolio nel loro territorio, la provincia di Anbar e le zone occidentali di Bagdad sono teatro di scontri con i ribelli sunniti, la Siria è invischiata nella guerra civile. Il disordine regna sovrano nel cuore del Medio Oriente e l’Iran tenterà nuovamente di approfittarne, almeno finché in Iraq forze ostili a Teheran si contenderanno il potere.
Ciò non toglie che la firma dell’accordo abbia portato a un nuovo assetto geopolitico e diplomatico nella regione. Gli interessi di Iran e Stati Uniti si trovano già a convergere su alcuni dossier – ad esempio quello sullo Stato Islamico − e continueranno presumibilmente a convergere. E l’accordo sul nucleare non ha nulla a che vedere con la sponsorizzazione iraniana delle milizie sciite nella regione, che continua indisturbata.
Tali questioni sono state volutamente lasciate da parte durante i negoziati. L’ambizione dell’Iran è sempre essere la potenza egemone nel Medio Oriente. L’Occidente scommette sul fatto che relazioni distese con l’Iran portino a risultati migliori dell’antagonismo, che dura oramai dal 1979. Ma l’Iran non diventerà alleato dell’Occidente dal giorno alla notte. Continuerà a perseguire i propri interessi anche quando saranno in conflitto con quelli statunitensi o europei.
Nello specifico, continuerà ad appoggiare Assad; continuerà a dar sostegno a Hezbollah, per mantenere la sua influenza in Libano; continuerà a sostenere i ribelli Houthi in Yemen e ad alimentare focolai di protesta nelle monarchie del Golfo.
« Le devastazioni culturali dello Stato islamico Volkswagen, le conseguenze indirette dello scandalo »