Ulrich Beck, il sociologo filosofo
di Loredana Biffo
Lo scienziato sociale Ulrich Bek è morto il primo giorno di un nuovo anno. E’ stato il teorico della “Società del rischio”Risikogesellschaft – Risk Society), suscitando un ricco dibattito internazionale. Ha elaborato paradigmi come quelli della “modernità riflessiva” , “globalizzazione” e “individualizzazione”, che hanno segnato e modificato il campo sociologico.
Fu studente di filosofia e psicologia, conseguendo il dottorato in filosofia, ma scegliendo successivamente di diventare sociologo. Dal 1992 si trasferì alla Ludwig Maximilian Universität di Monaco, come direttore del dipartimento di sociologia. Membro della Commissione Altiero Spinelli, fu sostenitore dell’Europa Sociale e del reddito di cittadinanza.
La sua fu una vera sfida alla vecchia e dogmatica accademia delle Scienze politiche e sociali su quella che fu forse la sua più grande intuizioe, il “Nazionalismo metodologico” che confutava la semplificazione delle dimensioni dello Stato-nazione la visione etnocentrica dei fenomeni sociali e giuridici all’interno dell’azione civica e politica. Ne conseguiva il netto rifiuto per il nazionalismo paternalista.
Fu proprio questo ad aprire la sua visione alle dinamiche controverse sulla globalizzazione rispetto alla divisione del lavoro. No è azzardato sostenere che la sua fu una profezia sulla frammentazione del lavoro dovuta alla delocalizzazione, con conseguente esito nefasto sui diritti. E contrastò fortemente i movimenti intolleranti, la xenofobia dei partiti autoritari e nazionalisti.
Denunciò nel suo ultimo saggio – “L’Europa tedesca, Laterza, 2013” – che le politiche di austerità volute dalla Bundesbank avrebbero gravemente compromesso il processo di europeizzazione e l’economia degli Stati. Non è mai venuta meno la sua convinzione di un’Europa unita, politica e sociale. Ha quindi aderito al progetto Spinelli Group in seno al Parlamento europeo, nello spirito federalista e antifascista di Spinelli, Colorni e Rossi, fautori del Manifesto di Ventotene.
Si è battuto per i diritti dei lavoratori, e il non assoggettamento dei cittadini ad un Welfare regredito a Workfare e conseguente mancanza di tutele e contrario alla dignità del lavoro e delle persone. Intendeva i diritti sociali come “diritti fondamentali” per la nascita della solidarietà pan-europea non velleitaria, ma fondamentale per l’integrazione politica.
Questo era il concetto di “Nazionalismo metodologico”, la mancanza di un reddito sociale, che tuteli gli individui dalle storture del capitalismo nella “società globale del rischio”.
La tesi dominante nel suo paradigma, è che la modernità come la conosciamo, si trova inaspettatamente al suo contrario – la società feudale – e vede stravolti i vecchi equilibri, favorendone di nuovi, più liberi.
Queste erano secondo Beck le basi di un federalismo radicale che mette in relazione i bisogni delle persone con gli spazi politici nei quali vivono. Riprendere questi insegnamenti alla luce di una visione solidale della società e dell’Europa è doveroso per chi continua a non rassegnarsi all’ordine esistente delle cose. Ma lo è in modo particolare per gli intellettuali che hanno in eredità questi concetti da sviluppare e portare avanti.
« American Sniper, una storia di odio e amore Le stragi di Boko Haram e le sue ambizioni territoriali »