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Bourdieu e la complementarietà tra sociologia e filosofia

agosto 27, 2014 • Articoli, Cultura e Società, z in evidenza

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di Loredana Biffo

La “sociologia della sociologia”, secondo Bourdieu dovrebbe essere, la condizione prima della sociolologia stessa intesa come ricerca empirica, poichè la ricerca sociale, ha lo scopo di pervenire a spiegazioni attraverso la correlazione tra fattori sociali e comportamenti individuali.

 Pier Bordieu, è il sociologo con formazione filosofica, un convertito alla sociologia in versione antifilosofica, che ha contestato i metodi della skholè filosfica.

E’ Un intellettuale controverso e disertore, che però non ha mai rotto definitivamente con la filosofia, e che meglio di chiunque altro ha saputo creare un’interazione tra filosofia e sociale che informa i concetti utilizzati, le parole più ordinarie del discorso sul mondo sociale.

 La sua visione della filosofia si estrinseca in una sociologia dei rapporti tra la filosofia e le “scienze sociali”. Quel che conta per Bourdieu non è tanto la sua personale posizione nei confronti della filosofia, quanto la posizione oggettiva che la sociologia ha in rapporto con la filosofia, al punto da indurre ad una riflessione proprio sulla necessità per gli scienziati sociali, di avvalersi della riscoperta della filosofia e della sua interdipendenza con la sociologia stessa. Considerato che la filosofia europea non ha smesso, almeno dalla seconda metà del XIX secolo, di definirsi contro le scienze sociali, intese come pensiero direttamente ed esplicitamente interessato alle “realtà volgari del mondo sociale”.

 Questa transizione dalla filosofia alla sociologia, non è stata in realtà una “rottura” con la prima, bensì un’apertura, non già una conversione, come potrebbe sembrare.

Bourdieu è indubbiamente l’intellettuale che più è riuscito a sublimare l’esigenza squisitamente filosofica di avventurarsi negli aspetti del sociale. Senza tuttavia mettere in mezzo la “ragione scolastica”, che è stata uno degli avversari privilegiati di Bourdieu.

 E’ stata, la sua, una transizione rivolta alla ricerca sociale che attraverso la visione del sapere scientifico ha trovato proprio nella filosofia, gli strumenti della critica alla filosofia stessa . Un tema questo, del rapporto di questo grande intellettuale con la filosofia e la sociologia, ben poco analizzato dalla pubblicistica in Italia.

 Le opere filosofiche – contrariamente a quelle sociologiche – non essendo imbarazzate dalle lentezze e pesantezze della ricerca empirica, possiedono un modo di produzione e circolazione infinitamente più rapido, cosa che conferisce loro l’apparenza della priorità; e soprattutto, spontaneamente si accredita loro un prestigio maggiore che che porta a vedervi l’origine dei prestiti teorici – che per tutti questi motivi devono restare taciti.

 Uno dei meriti di Bourdieu, è l’aver dato definizione e rappresentazione di quello che è il “campo” , inteso come spazio di relazioni oggettive, che sono il luogo di una logica e di una necessità specifiche, irriducibili a quelle che reggono altri campi: per esempio il campo artistico o religioso, quello economico ecc. obbediscono a delle logiche ben specifiche: se nel campo artistico la sua forma più avanzata tende a rifiutare la legge del mero interesse, del profitto, il campo economico contrariamente, si è costituito storicamente, insediandosi come un universo in cui, si dice: “gli affari sono affari”. E le relazioni sono incantate dalla philia, di cui parlava Aristotele, e l’amicizia e l’amore sono escluse; “in affari non è contemplato il sentimento”.

 Questi “campi”, in quanto spazi di relazioni, campi di forze e di lotte destinate a conservare o trasformare il rapporto di forze, vanno pensati in termini relazionali e ciò

pone ogni sorta di problemi e di metodo. E questo è indubbiamente un aspetto peculiare della scienza sociale. Ma egli mette perentoriamente in guardia i sociologi, dal pericolo di indugiare in una tentazione inerente al mestiere dello scienziato sociale, la tentazione di assumere un punto di vista assoluto sugli oggetti studiati (qui si può notare un aspetto peculiare della formazione filosofica). E’ evidente che, trattandosi di un oggetto di cui lo studioso fa parte, una simile tentazione è molto forte. Facendo della “sociologia della conoscenza”, ci si istituisce a giudice dei giudici. Bisogna che il sociologo arrivi a oggettivare tale tentazione.

 La grande eredità che Bordieu lascia agli studiosi, è che il “ricercatore sociale”, non può prescindere dalla filosofia, attraverso la quale è necessario passare per fare della critica alla filosofia. Ha quindi ritrovato e integrato la coscienza riflessiva attraverso una critica apparente alla “ragione”, in realtà egli ritrova la “ragione in forma trasformata”.

Ed è proprio attraverso il concetto di “Habitus” e di “Capitale simbolico” , che ritroviamo nell’habitus linguistico, quel sistema di disposizioni che permettono di parlare a proposito.

Poichè quando parliamo, produciamo un prodotto e che verrà sottoposto a giudizio. Si pensi per esempio al rapporto tra comunicazione e potere. 

Bourdieu,è per eccelenza il sociologo/filosofo che come Marx ritiene che la sociologia non si debba limitare a raccontare il mondo così com’è, ma che debba contribuire alla sua trasformazione, che il sociologo debba necessariamente “sporcarsi le mani” con la realtà sociale.

Affidando ad esso il compito di smascherare i dispositivi del dominio, Bourdieu vede nell’ordine sociale una “funzione del potere”, e se in Marx la funzione della filosofia è mediata dalla praxis, in Bourdieu invece è solo la conoscenza sociologica lo strumento unico di sovversione della politica e quindi del dominio.

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