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La soggezione della donna dall’epoca della caccia e il complesso di supremazia maschile

giugno 2, 2014 • Agorà, Articoli, z in evidenza

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L’orrore delle due adolescenti stuprate e impiccate in India, non fa che riportare alla luce un aspetto della cultura maschilista che è ancora lontana dall’essere superata. è utile ripercorrere storicamente la nascita e lo sviluppo di tale cultura fin dalle società arcaiche, e rilevare come siano ancora numerose le analogie con esse.

La posizione della donna nelle società primitive era una posizione di soggezione molto vicina alla schiavitù; la sua invalidità periodica, la scarsa familiarità con le armi, inoltre il fatto che tutte le energie erano assorbite dalla procreazione, l’allattamento e l’allevamento dei figli, determinava uno svantaggio nella lotta tra i sessi e la condannava a una posizione subordinata in tutte le società. Nella società della caccia la donna procreava numerosi figli, li allevava, si occupava della capanna o della casa, di raccogliere cibo nei campi, cucinava, puliva e confezionava abiti e calzature; assolveva quasi tutti i lavori tranne che la cattura della selvaggina, tutto ciò mentre il maschio che aveva cacciato la selvaggina riposava da gran signore per la maggior parte dell’anno.

Le donne boscimane, erano serve e bestie da soma, e quando dimostravano di essere troppo deboli per seguire la marcia, venivano abbandonate. Si pensi che le differenze di forza fisica che hanno caratterizzato in seguito i sessi, erano scarse ai tempi della caccia, e ora sono più ambientali che innate: la donna era quasi uguale all’uomo per statura, resistenza, risorse e coraggio; non era un ornamento, un oggetto di bellezza, o un gingillo sessuale: era un animale robusto e capace di compiere per lunghe ore pesanti lavori e, se necessario, di combattere fino alla morte per i figli e il clan.

Un capo tribù dei Chippewas diceva “le donne sono state create per lavorare, ognuna di esse può portare quanto due uomini. Inoltre, piantano le nostre tende, fanno i nostri abiti, li rammendano e ci tengono caldi la notte, noi non possiamo assolutamente compiere un viaggio senza di loro, esse assolvono ogni lavoro e costano pochissimo, dovendo sempre cucinare, possono soddisfarsi nei tempi di scarsità leccandosi le dita”.

La maggior parte dei progressi economici nella società primitiva, fu dovuta alla donna più che all’uomo, creò, sviluppò l’arte di cucire, tessere, far cesti, l’arte fittile, del legno e della costruzione; e in molti casi fu lei che esercitò il commercio primitivo. Sviluppò la famiglia aggiungendo a poco a poco l’uomo nella lista dei suoi animali domestici, ed educandolo in quelle arti e bei modi sociali che sono il fondamento psicologico e il cemento della civiltà. Ma con l’accrescersi della complessità dell’industria che diventava sempre più redditizia, il cosiddetto “sesso forte” prese il potere sempre più, con lo sviluppodell’allevamento e del bestiame, si ebbero nuove fonti di ricchezza, stabilità e potenza. La supremazia economica data dalla coltivazione, che fino a un certo momento era stata in mano alle donne, venne loro usurpata dagli uomini in virtù del fatto che l’uso della vanga e dell’aratro, richiedeva maggior forza fisica.

La possibilità di trasmissione ereditaria del bestiame, portò alla soggezione sessuale della donna, perchè il maschio richiedeva a lei quella fedeltà che, secondo lui, gli dava la possibilità di lasciare le proprietà ai figli presumibilmente suoi. A questo punto la paternità divenne un fatto riconosciuto, la proprietà da tramandarsi per via maschile il diritto della madre, cede il il posto al diritto del padre, così la famiglia patriarcale divenne l’unità economica, legale, politica e morale della società. Fu questo passaggio dalla famiglia patriarcale – governata dal padre, ad essere fatale alla posizione della donna, questo fece si che i suoi figli divenissero proprietà prima del padre o del fratello più anziano, in seguito del marito. Il matrimonio era un atto di “acquisto” della donna, esattamente come si comprava uno schiavo sul mercato. Veniva inoltre lasciata in eredità come mera proprietà, se il marito moriva, veniva strangolata e sepolta con esso; i padri regalavano, vendevano e prestavano le proprie donne e figlie a loro discrezione, e il maschio aveva il privilegio di estendere oltre la famiglia i suoi favori sessuali, la donna era votata alla completa castità prima del matrimonio e alla totale fedeltà dopo di esso. Così nacquero due misure.

In molte culture i maschi si ritenevano superiori alle donne, considerandole pericolose, inquinanti, deboli e infide; e  quella che era la soggezione generale della donna all’epoca della caccia che in forma più limitata si era mantenuta durante il periodo del diritto della madre, divenne in seguito più accentuata e spietata. Si pensi alle più svariate tradizioni in cui l’assoggettamento della donna passava (e passa tutt’ora) attraverso vessazioni fisiche e morali, come per esempio nell’antica Russia, il giorno del matrimonio della figlia, il padre la colpiva simbolicamente con una frusta, offrendo poi la frusta allo sposo, per dare il messaggio che l’autorità su di essa passava dal padre al coniuge. Oppure in alcune tribù il marito e la moglie non dormivano insieme perchè si riteneva che il respiro della donna indebolisse l’uomo. Nelle isole Figi ai cani era consentito di entrare nei templi, cosa che era vietato alle donne, che erano escluse da tutti i riti religiosi; usanza che persiste ancora oggi nell’Islam.

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Se è vero che non è del tutto possibile che un gruppo ridotto a condizioni di inferiorità accetti totalmente le motivazioni con cui coloro che lo dominano e mantengono in tale stato di soggezione, tuttavia, se gli uomini godono di un maggiore potere rispetto alle donne per quanto riguarda l’accesso alle risorse strategiche, si può affermare che questi stereotipi, condivisi o meno che siano dalle donne stesse, debbano essere associati a stati di deprivazione o di svantaggio. In tutta l’Africa nera le donne erano in una condizione simile a quella degli schiavi, tranne che per il fatto che esse erano deputate sia alla soddisfazione sessuale che a quella economica, avendo inoltre maggiori doveri e responsabilità che le distinguevano decisamente dagli effettivi schiavi. Il matrimonio fu la vera forma di istituzionalizzazione insieme con la legge della proprietà, nel suo aspetto fondamentale di dominio e schiavitù della donna. Sono rarissime le società senza matrimonio, ma ve ne sono a sufficienza per dimostrare un passaggio dalle promiscuità dei mammiferi inferiori al matrimonio degli uomini primitivi; per esempio i Pigmei dell’Africa sono stati descritti come privi di qualsiasi istituzione matrimoniale, seguendo sfrenatamente i loro istinti animali.

Tuttavia molti popoli primitivi consideravano la monogamia un fatto fondamentale per il monopolio di una donna da parte di un solo uomo, in apparente contraddizione con l’usanza di festività orgiastiche (di cui sopravvive una debole traccia nel nostro carnevale), dove i freni sessuali venivano temporaneamente allentati, o nell’usanza di “prestare” la moglie, e nel ius primae noctis, ossia il diritto della prima notte, per il quale, nell’antica Europa feudale, il signore del feudo rappresentante forse degli antichi “diritti delle tribù”, aveva il privilegio di deflorare la sposa prima che allo sposo fosse concesso di consumare il matrimonio.

Furono in realtà motivi economici a favorire l’evoluzione del matrimonio, che erano strettamente connessi all’istituzione della proprietà che era agli albori, e dalla necessità del maschio di usufruire di schiavi poco costosi e di non tramandare la sua proprietà a figli di altri uomini, quindi non tanto la necessità fisiologica, che del resto veniva soddisfatta maggiormente con il comunismo sessuale .

 

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