Università, la minstra Giannini prepara lo scalpo
Circa un mese fa la ministra Giannini, fresca di nomina, presentando il rapporto sullo stato dell’università italiana, disse perentoriamente che si sarebbe messa di traverso provocando una crisi di governo se Renzi non avesse trovato i finanziamenti per l’università, già massacrata dalla Gelmini nel 20018 con una finanziaria che apportò tagli per ben 9,5 miliardi di euro, e 8,4 per la scuola.
Passato il momento demagogico – euforico delle nomine, emerge il lato duro di una ministra “montiana” e indubbiamente sostenitrice della spendig review che prevede che i prossimi tagli che andranno a coprire i necessari i quasi 7 miliardi di euro necessari per il “bonus elettorale” di Renzi da destinare ai famosi 80 euro in busta paga dei lavoratori, e che verranno prelevati dal fondo ordinario di finanziamento dei 66 atenei italiani nel periodo che va dal 2014 al 2015.
Tagli che vengono definiti dalla neo ministra “contributi figurativi”, nella migliore tradizione di sofismo linguistico che è funzionale a edulcorare la pillola letale dei nuovi tagli ad un sistema di istruzione pubblica già allo stremo. La cosa più interessante è che questi tagli sono stati definiti un “monumento al progresso”, perchè secondo Alberto Alesina e silvia Ardagna avrebbero come conseguenza un aumento della crescita economica.
Ora, resta da capire secondo quale logica siamo l’unico paese che persegue la crescita economica devastando l’istruzione e la ricerca, producendo una fuga inarrestabile di “cervelli”. Considerato che secondo il Cun sarebbe necessario entro il 2018 assumere 14 mila professori associati, 6 mila ordinari e 9 mila ricercatori a tempo determinato.
E’ chiaro che il nesso tra occupazione e istruzione è fortissimo, che contrariamente alle “leggende” narrate, chi è meno qualificato ha più difficoltà a collocarsi nel mondo del lavoro. Ma un paese che ha ridotto la spesa per l’istruzione a cifre ridicole, non può garantire un futuro alle nuove generazioni, che da tempo si vedono costrette ad emigrare.
Doverosa la riflessione su dati allarmanti: in Italia ci sono 2 milioni di analfabeti totali, 13 milioni di semianalfabeti – che non comprendono ciò che leggono,13 milioni di “analfabeti di ritorno” – che hanno perso l’uso della lettura e della scrittura. Su un totale di 52 milioni di italiani.
In Italia l’incidenza della spesa in istruzione e formazione sul Pil è pari al 4,2 per cento, valore ampiamente inferiore a quello dell’Ue27 (5,3 per cento) (2011). Sono oltre due milioni i cosiddetti “Neet” (Not engaged in Education, Employment or Training), i giovani 15-29enni (il 23,9 per cento del totale) non inseriti in un percorso scolastico e/o formativo e neppure impegnati in un’attività lavorativa.
L’incidenza dei Neet è più elevata fra le ragazze e si amplia inoltre lo svantaggio del Mezzogiorno. Lo dice l’Istat nel rapporto Noi Italia 2014, presentato oggi. Nel 2012, prosegue il dossier, il 43,1 per cento della popolazione tra i 25 e i 64 anni ha conseguito la licenza di scuola media come titolo di studio più elevato; è un valore molto distante dalla media Ue27 (25,8 per cento) e inferiore solo a quelli di Portogallo, Malta e Spagna.
In Italia il 17,6 per cento dei 18-24enni ha abbandonato gli studi prima di conseguire il titolo di scuola media superiore (12,8 per cento in media Ue), quota che sale al 21,1 per cento nel Mezzogiorno. I dati più recenti sul livello delle competenze dei 15enni prossimi alla fine dell’istruzione obbligatoria (indagine Pisa dell’Ocse) evidenziano per i nostri studenti performance inferiori alla media Ocse e a quella dei paesi Ue che partecipano all’indagine, ma confermano i segnali di miglioramento già evidenziati tra il 2006 e il 2009.
La permanenza dei giovani all’interno del sistema di formazione, anche dopo il termine dell’istruzione obbligatoria, è pari all’81,3 per cento tra i 15-19enni e al 21,1 tra i 20-29enni. La media Ue 21 nelle due classi considerate è più alta (rispettivamente 87,7 e 28,4 per cento), ponendo l’Italia agli ultimi posti nella graduatoria dei paesi europei. Il 21,7 per cento dei 30-34enni ha conseguito un titolo di studio universitario (o equivalente).
Nonostante l’incremento che si osserva nel periodo 2004-2012 (+6 punti percentuali), la quota è ancora molto contenuta rispetto all’obiettivo del 40 per cento fissato da Europa 2020. Solo il 6,6 per cento degli adulti è impegnato in attività formative, un valore che evidenzia il ritardo dell’Italia in materia di apprendimento permanente.
Certamente questi dati dovrebbero indurre a riflettere sulle politiche dei tagli che sono state applicate negli ultimi anni al sistema scolastico nel suo complesso. Ultima e non meno inquietante, è la proposta della ex ministra Carozza di ridurre a quattro gli anni di liceo, con la re-introduzione dell’anno integrativo per ottenere l’accesso all’università. Anno integrativo che, date le sempre più scarse risorse della scuola pubblica, quasi certamente verrà dirottato verso le scuole private. Naturalmente i professionali, rimarrebbero fermi a quattro anni, e diventerebbero il bacino d’utenza delle classi inferiori, che non potendosi permettere di sopportare i costi di un anno integrativo, dirotterebbero i figli in scuole professionali sempre meno qualificanti.
La sensazione è che si stia invertendo la rotta, con l’intento di rendere la mobilità sociale verso l’alto sempre più difficile e far rimanere i “poveri” nella condizione svantaggiata, secondo la migliore tradizione conservatrice, che vuole che la povertà sia una “condizione sortita dalla natura”, quando in realtà è il frutto avvelenato di politiche liberiste sempre più aggressive. Impossibile non notare come i governi di destra e di centro sinistra, siano affini e complici in questa destrutturazione della scuola, unico vero mezzo, non solo di mobilità sociale, ma anche di sviluppo di un Paese. E il nostro non brilla certo di luce propria in quanto a livello culturale/sviluppo. Se queste sono le novità del progressismo renziano, si può ragionevolmente affermare che di progressivo in Italia c’è solo la “paralisi”.
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One Response to Università, la minstra Giannini prepara lo scalpo
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COSA VI ASPETTAVATE DA RENZI ?? E’ STATO MESSO APPOSTA LI’ PER OTTENERE PROPRIO QUESTO. SVEGLIA!