“Con me è violento, ma in fondo è un buon padre”
La sottovalutazione della violenza maschile, la si può interpretare anche attraverso questi dati: il 46% delle donne muore per mano del partner, il 35,6% di loro viene ucciso dall’uomo con cui ha vissuto, il 10,6% dall’uomo che ha lasciato. Sono aumentate le denunce di stupri, +400% dal 1996 al 2012. Ma il dato più significativo è che il 90% delle donne che ha subito una violenza, non l’ha denunciata e non ne ha parlato con qualcuno. Questo indica che la violenza non è raccontata, rimane nascosta perchè non si ha fiducia nelle istituzioni, nella società, in pratica nel sistema che non fa sentire le donne tutelate rispetto alla violenza di alcuni uomini, ancora troppi, che considerano la donna una proprietà.
E’ necessario educare e sensibilizzare anche gli operatori dei media, perchè la comunicazione sia più rispettosa della rappresentazione della figura femminile. E far capire a tutti che il fenomeno è innanzitutto un problema maschile legato ad un retaggio culturale duro a morire, ma che riguarda tutta la società, perchè quasi sempre la violenza avviene in famiglia alla presenza dei figli.
Il fenomeno della violenza maschile, svalutata nella sua gravità per quel che concerne il “soggetto primario” bersaglio di violenza, cioè la donna, è tuttavia da considerarsi “onnicomprendente”, in quanto investe in modo diretto i minori che assistono (o che vivono un “humus” culturale fatto di tensioni) ad episodi di violenza da parte del padre nei confronti della madre. Il danno olistico provocato nella psiche e nella personalità dei bambini, è molto importante e devastante, contrariamente a quanto comunemente si pensi, anche quando questi non sono direttamente oggetto di tale violenza.
In poche parole, la classica frase che spesso le donne vittime di violenza pronunciano: “con me è violento ma in fondo è un buon padre”, è quanto mai rivelatrice di quanto la vittima, cioè la donna che subisce violenze, entri in una zona grigia del vissuto quotidiano, dove non percepisce la gravità, il pericolo, e gli effetti destrutturanti sulla vita sua e dei figli. La patologia, diventa normalità.
Per meglio comprendere cosa si intende per violenza o maltrattamento, è certamente utile fare riferimento alla definizione della Convenzione di Istambul del 11 maggio 2011:
“ I bambini sono vittime della violenza domestica, è da considerarsi maltrattamento, tutto ciò che impedisce il benessere del bambino, abbandono, malnutrizione, negligenza, percosse con mani od oggetti. Altresì la “violenza psicologica” di svalutazione, insulto, isolamento dalle relazioni parentali ed amicali, minacce di botte, di abbandono, di uccisione, violenza sessuale, e “violenza economica” esplicata come sfruttamento economico impedimento alle risorse economiche, far indebitare ecc.”
E’ di tale violenza che il bambino/a fa esperienza diretta o percependone gli effetti, non è solo il fatto di vedere la violenza, sentire i rumori delle percosse, grida, insulti e minacce. Anche il sapere o constatarne gli effetti (per esempio vedendo gli oggetti distrutti), è uno stato d’animo di dolore e di paura, dove si percepisce la disperazione, l’angoscia e lo stato perenne di terrore in cui questi soggetti vivono in famiglie a conflittualità continua.
Secondo i dati Istat del 2006 sono state 690 mila in Italia le donne che hanno subito violenze ripetute da partner e avevano figli al momento della violenza. Il 62,4% ha dichiarato che i figli hanno assistito ad uno o più episodi di violenza. Nel 19,6% dei casi i figli vi hanno assistito raramente, nel 20,2% a volte, nel 22,6% spesso. Le donne
che hanno subito violenza ripetutamente dal partner e avevano figli hanno anche dichiarato che nel 15,7% dei casi i figli hanno subito violenza dal padre: raramente, nel 5,6%, a volte nel 4,9%, spesso nel 5,2%.
Appare piuttosto evidente da tali premesse, che il fenomeno della violenza maschile, oltre a danneggiare la donna psicologicamente o fisicamente, anche fino all’omicidio, come purtroppo le cronache dicono, danneggia i bambini, ma soprattutto crea una spirale di patologia da cui è difficile uscire a livello sociale, perchè i bambini vittime di questo fenomeno, hanno altissime probabilità di diventare adulti problematici.
Nei casi di violenza, alcune sfere dello sviluppo risultano compromesse, sono bambini che provano la “pena di vivere”, spesso non sono riconosciuti nella loro sofferenza, in primis dai genitori, questo spesso accade anche che da adulti si sentano dire “sei esagerato” quando parlano della sofferenza vissuta. Infatti è riscontrato che i genitori maltrattanti neghino il maltrattamento, disconoscendo così la sofferenza dei figli, alimentando in tal modo sintomi di grave frustrazione, rabbia, disistima.
Molte madri picchiate, quando sono interrogate sulla possibile percezione che di tutto questo possono avere i figli, rispondono che i bambini dormono in un’altra stanza o che comunque dormono o non sono presenti o non sentono o non capiscono.
Le conseguenze a lungo termine, cioè sulla formazione dell’individuo che sarà adulto sono: paura, colpa, bassa autostima, depressione, distacco emotivo, disturbi d’ansia, aggressività, passività, somatizzazioni, dipendenza, sintomi dissociativi, abuso di sostanze, difficoltà genitoriali, trascuratezza, violenza fisica, psicologica e sessuale a danno di figli e partner. L’educazione affettiva di questi minori in generale è impregnata di stereotipi di genere, connotati da svalutazione della figura materna e da disprezzo verso le donne, ma i problemi riguardano ambedue i sessi, in eventuali processi di identificazione nel padre o nella madre.
Si rilevano inoltre alcuni casi di Resilienza, cioè di trasformazione (da parte dell’individuo vittima di violenza) e di ricostruzione in base a risorse mentali proprie che vengono messe in atto per uscire dallo stato di sofferenza. E’ evidente che anche l’aspetto giuridico ha molta importanza, in particolare per quel che concerne l’affido condiviso che nei casi di separazione odierni va per la maggiore, ma che in realtà si rivela dannoso, perchè non tutela il minore dal genitore violento.
In ogni caso vi è ancora una sottovalutazione del fenomeno della violenza maschile, percepito ancora a livello sociale come un “non problema”, perchè nell’immaginario collettivo la donna è ancora vista come una “preda”, uno stereotipo sessuale (si veda il fenomeno della pubblicità), un “corpo”. Il cambiamento deve avvenire prima di tutto nell’aspetto culturale, perchè non v’è dubbio che altrimenti il fenomeno si autoalimenterà in una spirale infinita.
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