Attacco all’Iran e opportunismo degli Ayatollah
Di Loredana Biffo –
L’attacco al Parlamento iraniano e nel mausoleo di Khomeini a Teheran, con un bilancio di 12 morti e decine di feriti, frettolosamente rivendicato dal sedicente Stato Islamico, non deve trarre in inganno circa la sua probabile natura. Occorre tener presente che il regime iraniano, non ha mai pronunciato parole di condanna del terrorismo internazionale, in quanto ne è uno dei principali finanziatori e ideatori, la sua influenza è così ampia e pervasiva da essere stato un ottimo esempio anche per l’area sunnita, che, se pur in guerra con quella sciita, da questa ha traslato la concezione terroristica esportata in tutto il mondo mediorientale.
In realtà l’Isis ha avuto successo in parte dell’Iraq e della Siria proprio perché le milizie sciite, il regime di Assad sostenuto da quello degli ayatollah iraniani e il governo di al-Maliki a Baghdad (voluto, finanziato e diretto dagli ayatollah stessi) gli hanno preparato il terreno esasperando per anni con pesanti discriminazioni e violenze terroristiche le popolazioni sunnite e alcune minoranze dell’area.
Non è affatto improbabile che il regime potrebbe sfruttare l’episodio di questo attentato – sempre che non ne sia addirittura l’artefice – per imporre una stretta ulteriore a quel poco che è rimasto delle libertà individuali e in più questo gli tornerebbe utile in un momento di malcontento della popolazione dopo le elezioni farsa che si sono recentemente svolte; in tal modo passerebbe come “vittima” anziché come il principale ideatore e attore nella dinamica del terrorismo nella regione mediorientale e internazionale.
La cosa che stupisce, che è stucchevole se non addirittura fuorviante, è il fatto che tutti i media daranno molta enfasi a questo attentato sostenendo che sono state colpite le istituzioni e il Parlamento iraniano.
Questo è un travisare totalmente la realtà iraniana, dove non esiste un Parlamento, bensì una “Assemblea Consultiva Islamica”. La cosa fondamentale da tener presente, è che la natura delle elezioni in Iran non ha niente a che vedere con quella che possa considerarsi una qualsivoglia forma di democrazia, pertanto è fuorviante ritenere che sia sufficiente il voto popolare per ritenere di essere all’interno di un quadro democratico, in quanto la costituzione impedisce che vi sia questo criterio.
La legge elettorale si basa sul fatto che i candidati devono essere sottoposti al vaglio del “Consiglio dei guardiani”, che è la massima espressione del clero sciita composto da sei teologi nominati dal leader supremo: questi passano al vaglio i candidati alle elezioni, che devono aderire perfettamente al principio del velayat-e-faqhih, ovvero la perfetta identificazione tra religione e politica, questa procedura vale anche per coloro che vengono collocati nel servizio dell’intelligence e della magistratura.
In base all’articolo 26 della costituzione iraniana i partiti politici non possono violare le leggi islamiche e l’art. 27 consente che le assemblee si possono tenere solo a condizione che non violino le suddette, pertanto vengono sottoposti a stretta sorveglianza e ovviamente non è possibile che nasca alcun gruppo di opposizione. Si tratta quindi di elezioni di candidati nel giro del regime e fedelissimi al sistema.
La metà dei membri del Consiglio dei Guardiani che sono i controllori di tutte le funzioni sottostanti, sono a loro volta scelti direttamente dal leader religioso supremo, pertanto chiunque abbia un minimo disaccordo con le regole da lui emanate, non potrà candidarsi. E’ chiaro che in assenza di un’opposizione, le elezioni vengono svuotate di qualsiasi valenza democratica. Il fatto che nel regime dei mullah vi sia la presenza di due o più fazioni, non significa che siamo in presenza di qualche aspetto democratico di rappresentanza, ma solo che in campo giocano forze che sono, tutte, l’emanazione del regime teocratico, per questo motivo è praticamente impossibile che in Iran possa nascere una democrazia attraverso il sistema attuale, tanto meno si può definire “moderato” un qualsiasi presidente prodotto da questo tipo di elezioni.
Le elezioni del 19 maggio dunque sono state fondamentali solo per capire l’atteggiamento che l’Iran avrà per i prossimi quattro anni nel panorama mediorientale, ma potrebbero anche essere determinanti sulla nuova linea della Guida Suprema, che ha ripercussioni su tutta la mezzaluna sciita, da Teheran fino a Beirut passando per Damasco e Baghdad in una guerra interna tra sciiti e sunniti che è il vero nodo della questione del terrorismo.
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