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Sistema elettorale e riforma costituzionale, l’abbraccio mortale

novembre 7, 2016 • Articoli, z editoriale

 

oligarchia

di Loredana Biffo –

E’ noto che i sistemi elettorali possono esercitare una notevole influenza sul sistema politico-partitico di un qual si voglia ordinamento, di conseguenza anche sul funzionamento effettivo delle regole che disciplinano la sua forma di governo; infatti, essi disciplinano e regolano il procedimento che permette ai partiti politici di entrare negli organi costituzionali dello Stato tramite la competizione elettorale.

Poichè i partiti tendono ad organizzarsi in modo da ricavare il massimo rendimento dalle regole che disciplinano le modalità di elezione degli organi politici, è evidente quanto sia di fondamentale importanza il tipo di legge elettorale adottata.

Si consideri che i principali obiettivi di un sistema elettorale sono: la rappresentatività, e la governabilità. I due sistemi vanno dunque in direzione opposta. Ovviamente i sistemi elettorali che privilegiano l’obiettivo della rappresentatività si basano su formule elettorali proporzionali, mentre quelli che tendono a privilegiare la governabilità si basano su formule elettorali maggioritarie.

In Italia si è avuto un sistema proporzionale fino al 1992, nel 1993 in seguito al referendum abrogativo fu approvata una legge che ha portato ad un sistema elettorale misto con prevalenza maggioritaria. I membri delle due Camere venivano quindi eletti con il metodo maggioritario in misura del 75%  e il restante 25% con metodo proporzionale.

E’ bene sottolineare che questa modifica in senso maggioritario del sistema elettorale, avvenne in concomitanza della vicenda giudiziaria “mani pulite” che travolse tutti i partiti, e fu attribuito strumentalmente il peso e la responsabilità della forma di governo dell’epoca, al sistema proporzionale. Dopo di che nel 2005 vi fu una nuova modifica al sistema elettorale con l’introduzione di un sistema proporzionale corretto da un premio di maggioranza e diverse clausole di sbarramento.

Poichè molto si è discusso in questi ultimi di tempi di oligarchia, o bontà dell’oligarchia http://caratteriliberi.eu/2016/10/24/editoriale/oligarchia-democrazia-nellanno-domini-2016/ , può essere utile ricordare la tesi di Robert Michels in la Sociologia del partito politico, dove si parla della “legge ferrea dell’oligarchia” ovvero: l’organizzazione che è necessaria per ottenere in modo compatto centinaia di migliaia di iscritti sparsi su di un territorio nazionale. Questa conduce al dominio di una oligarchia di capi partito, si tratta di una organizzazione che contiene la causa intrinseca del predominio degli eletti sugli elettori, dei mandatari sui mandanti, dei delegati sui deleganti.

Oligarchia secondo Michels, vuol dire due cose:

1. Governo di pochi

2. Oligarchia chiusa

Chiaramente stando alla prima accezione se diciamo che il partito è dominato da una oligarchia, significa affermare che un gruppo di dirigenti elettivi esercita il potere sugli iscritti che li hanno eletti. Stiamo parlando della democrazia rappresentativa applicata al governo del partito. Nella seconda accezione invece, diciamo che i dirigenti riescono a farsi rinnovare sistematicamente il loro incarico fino a farlo diventare un potere a vita che abusa dei suoi poteri eliminando le contestazioni e cooptando una parte degli oppositori. Sempre in quest’ottica, Michels sostiene che anche la democrazia diretta avrebbe molte difficoltà a liberarsi dei “capi”, e che una grande assemblea è pur sempre esposta al rischio del linguaggio demagogico, i referendum manipolabili dai capi partito per mezzo di una accorta formulazione delle domande, nonchè una interpretazione interessata dei risultati.

E’ altresì ben comprensibile il significato di “oligarchia chiusa”, che indica un gruppo dirigente chiuso che si perpetua al potere con mezzi leciti, ma soprattutto illeciti e che si rinnova solo attraverso la pratica della cooptazione. Appare del tutto evidente in tale aspetto, la degenerazione della democrazia e il suo capovolgimento in una forma di governo autocratica, dove i leaders tenderanno a isolarsi formando gli uni con gli altri “patti difensivi” ed erigendo un muro scalabile soltanto da quelli che saranno a loro graditi. Coloro che giungeranno al vertice del partito, cercheranno di rafforzare e integrare la propria posizione di dominio attraverso nuove difese e sottrazione alla giurisdizione e il controllo della massa degli elettori. Si otterrà in tal modo una leadership inamovibile, con forti tendenze di casta alla cooptazione.

I metodi di conservazione del potere verteranno sulla limitazione della libertà di espressione nel partito; lo screditamento degli oppositori che verranno etichettati come demagoghi, e responsabili di mettere a rischio l’unità del partito. Si manipoleranno le elezioni per il rinnovo interno dei dirigenti escludendo gli sfidanti più pericolosi attraverso la candidatura di soggetti ritenuti fedeli. L’atto finale non sarà una circolazione delle élites , bensì fusione delle élites.

Poichè gli elettori l’unico potere che detengono è di assegnare la vittoria ad una delle minoranze in competizione, è evidente quanto sia significativamente truffaldina la nuova legge elettorale che non difende la democrazia ma all’opposto la stravolge, a partire dalla pretesa di trasformare in maggioranza la minoranza della minoranza. In tal modo un partito potrebbe vincere ballando tra il 40% e il 30%… del 50%. In questo modo chi ha poco più del 15% dei voti, si prenderebbe il 51% dei seggi.

E’ importante ricordare che un partito che possa rientrare in una concezione democratica, deve necessariamente essere un partito all’interno del quale il conflitto e la lotta per le posizioni di potere e le battaglie sui valori e sui programmi, devono potersi svolgere in piena libertà sebbene con regole prestabilite.

Quando si sostiene che un partito è fragile nello scontro con gli altri, vuol dire definire la lotta politica interna un elemento di debolezza anzichè di forza rappresentativa delle differenze. Considerando che tutti i più grandi liberali, a partire da Kant, John Stuart Mill, Luigi Einaudi e molti altri, hanno considerato la lotta in tutte le sue forme una forma di dibattito sulle idee intese come fattore di progresso che va sostenuta e protetta, non possiamo non stimolare una riflessione sulla deriva in auge attraverso una legge elettorale e la volontà di dare il colpo di grazia – attraverso la deforma costituzionale – ai valori della convivenza democratica del nostro Paese.

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