La logica del plebiscito permanente
di Loredana Biffo
Le recenti elezioni, hanno ancor più che in passato, dimostrato con numeri alla mano, che è sempre più diffuso l’astensionismo. Un fenomeno che è sempre stato presente, ma che in questi ultimi anni è diventato tanto importante quanto preoccupante.
Si potrebbe ragionevolmente sostenere che all’astensionismo “fisiologico” del passato, si sia aggiunto in modo consistente l’astensionismo di coloro che non si sentono rappresentati da alcun partito e pertanto non sono disposti a “turarsi il naso” – secondo il vecchio adagio di Montanelli – e di coloro che sono decisamente convinti che sia “tutto inutile” perché la politica è territorio di furbastri che non fanno l’interesse dei cittadini (come se i cittadini fossero immaccolati ed esuli da questa mentalità).
Grossomodo questo è l’imprinting che ha dato la politica contemporanea, in particolare dalla la caduta di Berlusconi in poi. Naturalmente sappiamo che il fenomeno dell’astensionismo esiste in misura consistente anche in America e in Inghilterra, il neo sindaco di Londra è stato eletto con il 50% dei voti degli aventi diritto.
Vediamo ora di cercare di comprendere le ragioni di tale fenomeno, partendo da una considerazione minima: La “cosa pubblica” – repubblicana – che è tipica della modernità, ha come antagonista lo spirito del tempo, ovvero della “disaffezione per la politica” e il “cinico (quanto cieco) qualunquismo”.
Ma cosa intendiamo per qualunquismo? Il termine come sappiamo, è nato grazie a Guglielmo Giannini nel 1944 che fondò un settimanale di grande successo, che si riscontrava nelle tirature: dalle 25.000 del primo numero, si arriverà alle 850.000 del maggio del 1945, la rubrica più seguita era intitolata “Le vespe”, ricca di pettegolezzi sulla vita degli uomini politici e sugli intellettuali.
Il Fronte dell’Uomo Qualunque concepiva uno Stato non di natura politica, ma semplicemente amministrativa, senza alcuna base ideologica. Una sorta di stato tecnico che funga da organizzatore di una “folla” e non di una “nazione”.
La parola “qualunquismo” è diventata nel tempo un termine inflazionato e come tale, ha pertanto subito una connotazione esclusivamente negativa. Qualunquista è diventata una parola usata per offendere l’interlocutore. Descrittiva di atteggiamenti di sfiducia nelle istituzioni democratiche, diffidenza ostile nei confronti del sistema dei partiti ecc.
In realtà nella versione primaria, il qualunquismo era un movimento tutt’altro che disinteressato alla vita dei cittadini e del paese, ma certamente sfiduciato nei confronti di un sistema paritocratico e del poco interesse che la politica dimostrava verso i cittadini elettori, l’uomo qualunque appunto. I francesi avevano un termine analogo: “poujadisme”.
Questi rappresentava la difesa d’una parte dell’elettorato francese stanco dell’instabilità politica e dell’impotenza della Quarta Repubblica.
Era unmovimento pretendeva di scavalcare la divisione tra destra e sinistra riprendendo il tema del Partito popolare francese di Jacques Doriot, un movimento apertamente filo nazista inventore dello slogan “né destra, né sinistra”.
Nello stesso tempo esso si richiamava alla base fondante della “vera” destra francese. Fu così che il poujadismo assunse le caratteristiche di un populismo reazionario.
Il poujadismo può essere considerato un movimento popolare in quanto annoverava tra le sue file macellai, droghieri, fornai, librai. Spesso la violenza caratterizzava le manifestazioni dei poujadisti. Il movimento disponeva d’un servizio d’ordine che non esitava ad usare la forza.
Quello oggi è in realtà entrato in crisi, è il concetto di “rappresentanza”, Il perno e la leva costitutiva dell’unità politica. Questo ha subito una metamorfosi importante attraverso lo stravolgimento del suo significato normativo, dove delle componenti che ne hanno destrutturato i modelli di riferimento.
Si è dunque passati dal liberismo al neoliberismo, dal popolarismo al populismo, dal riformismo al “nuovismo” e al “movimentismo”.
Non dimentichiamo che lo Stato rappresentativo nato dalla rivoluzione francese e fondato sulla teoria della “sovranità nazionale”, ha come aspetto fondamentale il fatto che ha segnato la fine dell’assolutismo, perché rovesciando l’idea di “origine divina del potere” lo fa invece derivare dal basso. Questo però ha anche segnato l’inizio di una concezione autoritaria della rappresentanza, poiché il soggetto rappresentato non è il popolo reale nel suo complesso, con le sue divisioni ideologiche, idealtipiche, politiche, ma è un’astrazione: la nazione.
Questa rappresentazione astratta di popolo politicamente organizzato, ha consentito alla borghesia, che è una classe ristretta, di presentarsi non già come un ceto separato che domina sugli altri ceti, ma come la portatrice (la rappresentante) della volontatà di tutta la nazione. La sua volontà è quella della nazione.
Indubbiamente il catastrofico esito delle elezioni per il Pd, rientra in questa visione, un partito in cui si identifica una media borghesia che vede traballare le vecchie conquiste, in contrapposizione con i ceti che da tempo per via della crisi arrancano e fanno sempre più fatica nel vivere quotidiano, e vedono sempre più distante il modello di vita da ceto medio. In questo è evidente che il movimento 5stelle ha rappresentato e rappresenta questo ambito che include sia destra che sinistra.
Del resto, facendo ancora un ragionamento riferito al modello “rivoluzione francese”, possiamo comprendere come allora non si teorizzasse che la sovranità appartiene al popolo – come sostenevano minoritariamente i giacobini in base all’insegnamento di Rosseau, e come oggi è scritto nell’articolo 1 della Costituzione italiana (che Renzi si appresta a demolire) – ma a quella astrazione (la nazione), e pertanto non esistendo la nazione nella realtà tangibile, coloro che dicevano di rappresentarla, in realtà lo facevano identificandola con se stessi. Si tratta di una subordinazione diretta della società al potere politico, senza più alcuna mediazione dei corpi intermedi, ovvero il sogno di tutto l’assolutismo.
Poichè le vicende politiche spesso si ripropongono storicamente come tragedie figlie di farse, é sempre utile fare dei ragionamenti che si basino sulla considerazione di fatti storici. Così come non si può non considerare che da anni in Italia si vive entro una “logica del plebiscito permanente”; così è stato per Forza Italia, per il Renzismo, e non meno per i 5 stelle che per di più si sono sempre dichiarati “antipartiti” e veri portatori degli interessi del popolo. Ma il limite di tutti è quello che debbono poi esprimere a livello concreto la loro denominazione, e con quel carisma; limite questo di tutti i populismi, si pensi al Peron argentino con i suoi 40 anni di radicamento.
Rispetto al tradizionale modello esplicato nel “partito di massa” (Weber 1922, Duverger 1951) che è stato protagonista in Europa fino al dopoguerra, appare evidente che il punto di partenza di ogni analisi e riflessione in merito, non può non considerare il progressivo ritiro dei partiti dalla società e dal territorio, motivo per cui non hanno più intercettato i bisogni e la quotidianità delle persone.
Questo è un fatto che potremmo definire di senso comune, il distacco fra i partiti e la società appare un processo avviato da tempo e drammaticamente incontrastato, come emerge dalle indagini riguardanti comportamenti e atteggiamenti della società nei confronti della politica. Per poi sfociare drammaticamente nei partiti populisti o di estrema destra che sono presenti in tutta Europa, (a tal proposito ne abbiamo detto con l’articolo del prof.Marco Brunazzi sulla nostra testata:http://caratteriliberi.eu/2016/06/18/in-evidenza/nuovi-nazionalismi-medioevo-prossimo-venturo/
Ora resta da vedere come un partito – perché a questo punto non si può più definire movimento – qual è quello dei 5stelle, saprà far fronte alle contingenze che certo data la gravità della crisi economica, del lavoro, della sanità, della scuola ecc…., non potrà concedersi il lusso di non affrontare i numerosi problemi sul tappeto.
Il numero crescente degli astenuti è tuttavia da interpretare come un segno di delusione e distacco dei cittadini dal rituale fondativo della democrazia rappresentativa – si consideri che molti che non si sentivano rappresentati dal Pd, non hanno votato nemmeno i 5stelle, e altri li hanno votati per contrarietà. Dato questo che deve indurre ad allarmare ulteriormente e considerare l’ossimoro di una democrazia senza elettori, visto che un fenomeno generalizzato in Europa, con proporzioni ampie e soprattutto in crescita negli ultimi anni.