Il manicomio chimico
di Loredana Biffo
L’umanità è stata fagocitata dal calderone degli psicofarmaci. E’ un dato inconfutabile che, non solo in epoca kraepeliniana, ma fino agli anni Cinquanta del secolo scorso il disturbo bipolare era un disturbo raro, mentre dall’epoca psicofarmacologica in poi si è trasformato in disturbo di massa. Per quale motivo le sostanze psicoattive legali – antidepressivi negli adulti e gli psicostimolanti nei bambini o adolescenti iperattivi – la fanno da padroni in psichiatria?
Il disturbo bipolare è passato dall’ essere definito di III tipo, dove episodi di mania si alternano a episodi di depressione, agli anni Novanta è diventato disturbo bipolare II, dove la depressione si alterna con un episodio di ipomania, ovvero di eccitamento dell’umore meno grave. Successivamente l’episodio di ipomania bipolare è stato “accorciato” da quattro giorni di umore elevato a due; soli due giorni di umore elevato sono sufficienti per essere etichettati come bipolari, se si è stati almeno una volta depressi.
Gli “accomodamenti burocratici” sono passati inosservati, e soprattutto non sono stati frutto di ricerca sulla malattia mentale e sugli effetti collaterali provocati dai farmaci. Si è deciso, a favore delle lobby farmaceutiche, che l’umanità è un grande busines, pronta per entrare nel calderone della malattia; fino ad arrivare a coniare il termine di “bipolarità intermedia tra la normalità e il disturbo bipolare”.
Il manicomio moderno è la farmacologia, una nuova forma di controllo dei neurotrasmettitori e dei soggetti.
Agli psichiatri e all’industria farmaceutica non bastano più i malati da curare, servono anche i sani. Lutto, tristezza, rabbia, timidezza, disattenzione, non sono stati d’animo fisiologici, ma patologie da curare con il “farmaco adatto”. Farmaci privi di sperimentazione o ricerca, che devastano la vita degli individui, creando nuove patologie con i loro effetti collaterali che verranno curati con altri farmaci. Un girone infernale nella “creazione della malattia” di cui tutti dobbiamo essere consapevoli.
Il Manicomio Chimico è un libro che si legge con interesse e angoscia, inquietante e molto bello nello stile narrativo, nonchè una denuncia sociale lucida e coraggiosa da parte dell’autore. E’ presente anche l’aspetto sconcertante dell’uso della contenzione nei reparti ospedalieri e nelle “cliniche dorate” per i pazienti “benestanti”, una realtà che rappresenta il ritorno al manicomio e all’uso dell’elettrochoc; una realtà che si credeva superata e che invece torna drammaticamente in essere. Un libro da non perdere, come impegno sociale è urgente aprire gli occhi, Piero Cipriano, psichiatra riluttante è un testimonial di questa contemporaneità.