Il volto nuovo e accattivante della “Neodestra europea”
di Loredana Biffo
Il Front National di Marine Le Pen è diventato il primo partito di Francia.
La prima cosa che si evidenzia, che non possiamo più nasconderci nella sua drammaticità, è che siamo difronte ad una crisi della rappresentanza politica, che è così grave da non richiedere nemmeno la necessità di sottolineare le sue conseguenze sulla quantità e qualità della democrazia.
Siamo difronte ad una torsione a destra, che si sta consolidando a livello europeo in modo coatto. La perdita di egemonia della sinistra, è stata così forte in questi anni, da determinarne la sua scomparsa in favore della nuova “Neodestra”, i cui tratti sono fortemente populisti, abbraccia e ingloba la piccola e media borghesia che in questi anni è stata defraudata dalle politiche neo liberiste fortemente razziste e “imprenditrici della paura”.
In un mondo globalizzato, dove lo sfruttamento del lavoro (anche minorile), lo smantellamento dello stato sociale, l’ultracapitalismo finanziario e la cattura di clientele in tutto il territorio, hanno determinato l’ascesa di quelle destre che dopo aver reso possibile tutto questo, ora cavalcano l’onda populistica con un linguaggio che un tempo era peculiare della sinistra. Ecco che Marine Le Pen parla di lavoro e welfare, dopo aver con i suoi pari, contribuito a liberalizzare e privatizzare; cosa che del resto hanno fatto anche le sinistre, offrendo così su un piatto d’oro la vittoria al finanzcapitalismo.
I fattori strutturali e istituzionali che hanno dato corso al processo di “convention ad excludendum” delle sinistre europee, sono la perdita di potere dello Stato nazionale, cioè dell’ambito in cui la democrazia e il welfare avevano avuto la massima espressione; l’espansione di un capitalismo finanziario che per sua natura è incontrollabile anche in termini fiscali.
Lo Stato nazionale è diventato sempre più il capo espiatorio su cui far convergere l’abolizione di lacci e lacciuoli – nella migliore tradizione liberista – attraverso la quasi totale sparizione delle discussioni parlamentari e pubbliche che un tempo erano fondamentali per considerarsi dentro l’ambito democratico.
Altrettanto determinante è stata la frammentazione della classe operaia attraverso tutti i vari processi decostruttori quali il precariato, le varie forme esasperate di flessibilità e di mercificazione del lavoro, la dilagante questione delle “partite Iva forzate”, tutto ciò ha come conseguenza la dissoluzione di ogni forma di identità. La metamorfosi culturale del popolo della sinistra, e la supremazia della cultura globale connessa all’ultracapitalismo di natura essenzialmente dispotica.
Le strategie di delocalizzazione industriale hanno creato masse di lavoratori solo nelle aree in cui la loro aggregazione non potesse dare fastidio e fosse controllabile, per non parlare degli operai che sono sempre più immigrati a bassa “pericolosità sindacale” e con pretese molto ridotte.
In sostanza la sinistra ha abbandonato l’arte di stare dalla parte del popolo, ne ha ignorato le sofferenze, e questa arte è stata prontamente fatta propria dalle destre: Il Front National in Francia, la Lega e il Movimento 5 stelle in Italia (che non a caso ha inglobato parte dell’elettorato di destra e parte di sinistra).
Tutto ciò accade mentre la dissoluzione e trasfigurazione del proletariato è diventata sempre più forte, e comprende soprattutto emarginati e coatti, immigrati ancora trattati non come un ceto ma come un problema – una “grana sociale” – che ha corroborato il successo delle destre intente a rassicurare gli autoctoni dopo i vari episodi di terrorismo e violenza.
E’ l’era del dispotismo culturale voluto dalla classe finanziaria transnazionale, che è imperniato sui consumi e lo smantellamento di ideali quali il sacrificio, e il trasferimento del proprio ad altri.
Alexis de Tocqueville aveva profetizzato il “dispotismo del futuro”: il regime che avrebbe potuto prodursi come “sequela della democrazia”. Al posto di un sovrano che si sarebbe ingerito anche dei minuti aspetti della vita privata dei cittadini a forza di accumulare potere, avremmo un dispotismo più esteso e più mite, che degraderebbe gli uomini senza tormentarli.
La fine della sinistra è stata nella mancata lista delle cose fallite: l’innalzamento del livello medio di istruzione (pena il decadimento nell’attuale populismo), della cultura, sviluppo pieno della scienza, della ricerca, valorizzazione delle energie creative di intellettuali e artisti, diffusione massima di una mentalità razionale e laica, ridistribuzione delle ricchezze e creazione di nuovi modi di produrre.
Ma se la sinistra non è stata capace di “cambiare la forma del mondo”, ne dobbiamo dedurre che il mondo è intrinsecamente di destra? Questi sarebbero i parametri che definiscono una “destra naturalistica”? Questo è un tema classico della teoria politica, quello che la destra si è sempre collocata nella tradizione e nella gerarchia, nel conservatorismo, in questo appoggiata dalle religioni.
E qui casca l’asino, cioè la sinistra che non avendo più argomenti, avendo perso ogni connessione con il popolo, vede con simpatia i “valori” di società imperniate sull’Islam che a loro appare l’unico baluardo rimasto in tema di eguaglianza e lotta al consumismo. Questo sarà l’ultimo tragico abbaglio della sinistra, dopodichè ci sarà il nulla. La Neodestra entrerà nelle pieghe planetarie della moribonda modernità per darle il colpo finale.
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