Terrorismo islamico e responsabilità internazionali
di Loredana Biffo
La sera di venerdi 13 durante il viaggio verso Roma è arrivata la notizia degli attentati di Parigi, proprio mentre si viaggiava per andare a manifestare con gli esuli iraniani contro la visita di Rohuani nella capitale, doveva essere ricevuto, oltre che dal Presidente del Consiglio, anche dal Papa.
La visita è stata annullata in seguito agli attentati parigini, ma la manifestazione prevista si è tenuta lo stesso. A maggior ragione, visti i gravi attentati in corso a Parigi, è importante rimarcare ancora una volta l’importanza di dare voce agli esuli iraniani che da 36 anni, ovvero dall’ascesa di Khomeini, sostengono che gli Ayatollah sono i padrini del terrorismo nel mondo islamico, ma ai quali non è mai stata data voce per ovvi motivi di interessi commerciali con l’Iran da parte dell’occidente.
Oggi i nodi vengono al pettine, non è più possibile nascondere che dall’elezione di Rohuani – fatto passare per moderato al fine di giustificare i rapporti con questo paese – sono drasticamente aumentate le repressioni nei confronti del popolo iraniano. Oltre 2000 persone impiccate in due anni dalla sua elezione, lapidazione per le donne e pena di morte anche per i minorenni.
E’ stato un atto di manifesta incapacità politica non pretendere dalla Repubblica islamica dell’Iran che in cambio dell’accordo sul nucleare non vi fosse una contropartita sulla questione dei diritti umani. Così come è inaccettabile che Rohuani in una intervista della scorsa settimana sul Corriere, abbia risposto alla domanda – mal posta – sui diritti umani, che questo non è affare che debba interessare l’occidente, e che in ogni caso non decide lui ma la magistratura.
Quello che non viene messo in evidenza, è che il principio del “Velayat e-Faghih”, comporta che vi sia la sovranità clericale, quindi il controllo totale da parte del “consiglio dei guardiani” su tutto ciò che riguarda la sfera politica, il legislativo e la magistratura. Quando nel 1979 Khomeini rese legge il concetto di Velayat e-Faghih – detto anche “tutela dei religiosi” – i Mujaheddin rifiutarono con forza questa idea e boicottarono il referendum che mirava ad approvare una costituzione basata sulla supremazia religiosa. E’ quindi pretestuoso e falso quanto dichiarato dal Presidente iraniano, la questione dei diritti umani è pienamente nelle mani del clero, ergo Consiglio dei guardiani.
Si sono levate diverse voci in seguito ai fatti drammatici di Parigi, le quali sostengono la necessità che i musulmani facciano sentire il loro dissenso rispetto alla questione terrorismo. In realtà sarebbe fondamentale prendere atto delle tesi coraniche che sono di intralcio ad un processo di democratizzazione dell’islam, come la questione femminile, e la sura 27 che riguarda la jihàd:
“ La sùra 27 quasi tutta medinese, risalirebbe all’anno e o 2 dell’egira (622o623 dc.) e deve il titolo al v.2. Ha anche un altro nome, “Il combattimento, che spiega a sufficienza a sua affinità con le sùre guerriere come la 8 e la 9.
La sùra è essenzialmente destinata a incoraggiare i credenti nella lotta contro i politeisti e, parallelamente, a rivolgere un monito agli ipocriti e agliapostati per avvertirli: disobbedire a Mohammad significa disobbedire a Dio , e essere nemico del Profeta equivale a dichiarare guerra a Dio.Alcuni versetti mostrano ai convertiti sinceri che i vantaggi spirituali del jihàd sono incommensurabili, pur ricordando l’etica richiesta per quest’ultimo”.
E ancora: v.4 – “ Colpiteli alla nuca: il punto in cui si colpisce l’avversario per ucciderlo. L’ingiunzione divina significa che i fedeli impegnati in unalotta senza pietà contro i nemici devono condurre il combattimento fino in fondo. La stessa ingiunzione fu rivolta agli angeli inviati a Badr per assistere i credenti (cfr.8:12). Muhammad sa, attraverso la rivelazione (cfr.9:13), che i profeti e i credenti susciteranno per sempre l’odio dei politeisti, così come ha predetto Abramo.
La violenza del Profeta è solo una risposta a quella dei suoi nemici, che si scatena per prima (cfr.v.29 e 60:49. Quanto a coloro che sopravviveranno al combattimento “stringete bene i ceppi” . I commentatori sono divisi sul significato; i musulmani vedendo che il combattimento volge verso una sconfitta certa del nemico, possono concludere accordi stabili con lui, oppure hanno il dovere di fare dei prigionieri. Dio vi ha imposto il dovere di combattere, coloro che muoiono per la causa di Dio sono dei martiri e vanno in paradiso(cfr.3:169 e 4:100).
Ricordiamo che la jihàd, nel Corano, è sempre a seguito dell’espressione “sul sentiero di Dio”. I martiri fanno parte della comunità degli eletti, che comprende i profeti, i giusti e i santi. Secondo una tradizione i gradi del paradiso di cui parla il Corano sarebbero quattro: il primo per l’islam, il secondo per l’emigrazione, il terzo per il jihàd sul sentiero di Dio e il quarto per il martirio” .
E’ evidente che i teorici islamisti contrappongono alla democrazia i precetti e gli insegnamenti universali dell’islam che, a loro avviso, contemplano ogni dimensione dell’agire umano. Secondo Per al-Banna, l’islam è insieme fede e culto, religione e Stato, spiritualità e azione, libro e spada.
Ne consegue una forte difficoltà del pensiero islamista neotradizionalista, a definire in modo preciso le forme del potere, questo a causa di come la cultura islamica intende le istituzioni.
Quì sta il punto: è necessaria una netta separazione tra religione e Stato, si pensi che nella visione dei Fratelli Musulmani, le istituzioni hanno come funzione essenziale la riproduzione religiosa della umma.
La Repubblica islamica iraniana si fonda sul principio del velayat-e-faqih, ovvero la perfetta identificazione tra religione e Stato, nonché il rifiuto della sovranità popolare (salvo poi quest’ultima sbandierarla per dire che hanno elezioni democratiche).
E’ proprio attraverso Ruollah Khomeini, che sono state ridisegnate completamente le relazioni tra politica e religione in campo sciita. Il pensiero di Khomeini sul “governo islamico” ha rappresentato una vera e propria rottura con la tradizione religiosa sciita, in quanto poggia sulla ricostruzione di un’autorità politica pienamente legittimata e manipolata dal clero. Spetta al clero che secondo la visione Komeinista conosce la legge e la giustizia, governare con piena autorità, questa fu una novità nell’ambito sciita, cioè avere un leader religioso e politico nello stesso tempo, (vedi anche:http://caratteriliberi.eu/2014/02/02/mondo/liran-e-suoi-35-anni-di-dittatura-clericale-da-khomeini-rouhani/).
Khomeyni ha ricomposto in tal modo il rapporto tra politica e religione, e una volta al potere ha modellato la costituzione iraniana sui principi del governo islamico e, fra lo scandalo degli Ayatollah tradizionalisti si sarebbe fatto chiamare imam, dando vita allo “stato totale” che ancora oggi imperversa in Iran.
Questo ha avuto come conseguenza l’istituzionalizzazione di un sistema consultivo, la shura, che affianca il capo carismatico; sul conferimento del potere a un leader carismatico che assuma la la veste di guida spirituale e politica della comunità; attraverso la limitazione del potere umano mediante un controllo costituito dalla shari’à e dal consenso della umma (la comunità).
L’esperienza della Repubblica iraniana rappresenta un passaggio cruciale nella storia della sfera politica musulmana. La rivoluzione islamica del 1979 ha elevato il “politico” ad un’altezza mai raggiunta nell’islam contemporaneo, si fa esplicito riferimento ai principi dell’islam e che l‘assoluta sovranità appartiene a Dio.
Se è vero che gli islamici devono prendere atto di tutte le problematiche riguardanti l’interpretazione del testo sacro, e le conseguenze nefaste che tutti abbiamo sotto gli occhi, è alquanto paradossale che non sia mai stata ascoltata la voce dei dissidenti iraniani, che hanno costituito un governo legittimo all’estero, in opposizione al potere dello Stato teocratico, e che sono stati i primi a dire di voler il rovesciamento del regime e una repubblica democratica che preveda la totale separazione tra Chiesa e Stato.
La democrazia nel mondo islamico dipende molto dal ruolo dei musulmani liberali, un filone culturale politico e religioso sostenuto da coloro che desiderano l’applicazione del liberalismo all’occidentale, e il ripensamento della tradizione islamica, dove devono emergere elementi confacenti al pluralismo, ai diritti e alla libertà. Tra questi vanno salvaguardati gli intellettuali perseguiti dai regimi e promotori dell’islam radicale, si pensi al blogger e scrittore Raif Badawi che in Arabia Saudita è praticamente condannato a morte attraverso i numerosi cicli di frustate previste, per aver manifestato le sue idee liberali. ( vedi: http://caratteriliberi.eu/2014/11/01/in-evidenza/sfida-scrittore-dal-blogger-carcere-duro/).
Anche se vi sono numerose differenze all’interno delle correnti liberali islamiche, tutti i loro esponenti concordano sulla netta separazione tra religione e politica.
Possiamo tranquillamente sostenere che l’islam liberale si costituisce attorno alla questione ermeneutica prima ancora che politica, dell’ijithad – interpretazione delle norme religiose.
Deve essere privilegiata la ragione a scapito della norma e dell’autorità religiosa, e pervenire ad una interpretazione. Come ritengono molti musulmani liberali il vero problema dell’islam è la sclerotizzazione teologica e giuridica dovuta alla chiusura dell’ideologia guerriera che impedisce all’islam il pieno accesso alla modernità.
E’ assolutamente necessaria una riforma teologica e giuridica, la possibilità della reinterpretazione dei testi, facendo propria, con intenti opposti, la stessa libertà di interpretazione rivendicata ed esercitata dagli stessi movimenti islamisti, che consapevoli di non riuscir a far fronte ai mutamenti sociali con vecchi strumenti dottrinari, hanno dato vita alla reinvenzione della tradizione e alla sacralità delle stesse interpretazioni.
E’ l’unico modo per uscire dalla schizofrenia che induce i musulmani a vivere nel mondo moderno con lo sguardo rivolto al passato, mortificando così chi tra loro vorrebbe vivere l’aspetto religioso separatamente dalla sfera politica e recidere i fili della violenza terroristica.
L’aspetto non meno evidente e preoccupante, è l’assoluta incapacità da parte dell’occidente di segnare un confine oltre il quale chi desidera una vera integrazione non dovrebbe andare, cioè il rispetto delle Costituzioni europee, dei valori laici e magari un’urgente rispolverata dell’illuminismo, che noi dal canto nostro stiamo dimenticando, e questo è un grande atto di stupidità in un momento così cruciale di cambiamento sociale, chiaramente poi le estreme destre cavalcano l’onda populista e razzista perché si confrontano con il “nulla” di quelli che dovrebbero contrastare la politica del pigliatutto.
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