Mercati neri, stati in rovina e la crescita di imprenditori banditi in armi
È il titolo di una raccolta di saggi di autori vari, pubblicata dalla North Atlantic Books in California, che analizza come ogni nuova legittimità e ogni nuova forma di stato nella storia siano sempre sorti dopo un lungo disfacimento del vecchio ordine in stati collassati, e siano sempre iniziati come accettazione e legittimazione del potere di fazioni armate rapaci e brutali. Sfruttando territori e popolazioni non più protetti da istituzioni troppo deboli e incapaci, queste fazioni acquisiscono un potere economico tanto esteso e complesso e che coinvolgeva così tante persone da richiedere, per essere mantenuto, la costituzione di un nuovo ordine, di nuove istituzioni.
La raccolta si apre con un parallelo fra l’origine del potere degli Hohenzollern nel 1400 − la rapacità crudele e illegale ma economicamente efficace di Federico VI di Norimberga (immagine a lato), che il debolissimo imperatore Sigismondo non poté contenere – e il potere della gang di narcotrafficanti di Sinaloa, in Messico, nato dalla rapacità crudele e dall’abilità imprenditoriale di Joaquin Guzman negli anni ’60.
Gli autori sono convinti che stiamo vivendo il declino del vecchio stato nazionale, le cui istituzioni scricchiolano in tante parti del mondo, vuoi perché si sfasciano dall’interno, vuoi perché vengono insidiate dal potere delle istituzioni sovranazionali e dal globalismo della comunicazione, dei trasporti e del commercio. Quale sarà il modello di stato futuro? Alcuni analisti iniziano a chiamarlo lo stato-mercato, in mancanza di una visione più chiara del percorso che stiamo percorrendo.
In realtà non sappiamo in che direzione stiamo andando; sappiamo però che le istituzioni dello stato nazione sono in disfacimento in tutto il mondo islamico (dove si sono sviluppate in epoca troppo recente per poter essere consolidate, perciò sono state le prime a crollare), in larga parte del Sudamerica e anche in Europa, dove abbiamo creato istituzioni europee che (ancora) non funzionano, ma che hanno contribuito a rendere (già) molto fragili le istituzioni dei vecchi stati.
Gli autori considerano l’attuale sviluppo di milizie armate al servizio della criminalità come conseguenza del logoramento e della inefficienza delle istituzioni di un sistema di stati e di alleanze che è del tutto finito negli anni ’80. L’allargarsi e il rafforzarsi di una rete di narcotrafficanti, trafficanti di schiavi, di clandestini e di armi, di pirati e ribelli viene considerata conseguenza ‘naturale’ dell’inefficienza delle vecchie istituzioni che non sanno garantire sicurezza, sanità, lavoro e istruzione alle popolazioni. ‘Quando il tessuto sociale si strappa, l’imprenditore rapinatore e assassino è il grumo di sangue, la crosta che si forma sulla ferita’. Dietro la grande galassia di multinazionali e di ONG assistenziali e benefiche, dietro la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, i poveri di tutto il mondo fanno mercato: vendono gli organi, vendono le donne, rubano gas e petrolio, saccheggiano l’ambiente, producono droghe e accettano rifiuti tossici − non perché sono malvagi, ma per guadagnarsi da vivere. Così funziona una forma di globalizzazione deviante, che a suo modo produce qualche tipo di sviluppo economico.
L’esempio più lampante di questa realtà viene identificato neiNaxaliti in India (immagine a lato). Shlok Vaidya racconta come i Naxaliti iniziarono la loro rivolta a marzo 1967 come gruppo di Maoisti idealisti, con educazione superiore, provenienti da classi borghesi, che volevano aiutare i poveri a ribellarsi al loro destino. Commettevano assassini e atti di banditismo e di pirateria, come Robin Hood o come le Brigate Rosse, per distribuire le risorse ai poveri. Nell’arco di pochi mesi divennero una gran massa di uomini armati malamente, che però a un certo punto riuscì a controllare una regione molto vasta. Ma lo stato indiano reagì, li sconfisse e ne imprigionò più di 40.000. Il 1972 sembrò la fine completa del movimento di ribellione. Ma dal 2005 i Naxaliti hanno fatto un terrificante rientro sulla scena, concentrandosi non sull’ideologia ma sull’arricchimento. Grazie alla ricchezza si sono armati fino ai denti di armi moderne. Usano tattiche di guerriglia tipiche dei movimenti insurrezionali di popolo per conquistare sempre più fonti di ricchezza e per ricavarne il massimo, e terrorizzano la popolazione per usarla come mano d’opera e come milizia docile e obbediente. Oggi si calcola che in India quasi la metà della ricchezza sia direttamente o indirettamente controllata da gangster, in larga parte Naxaliti o commercialmente legati ai Naxaliti. Costoro usano tecnologia moderna, hanno schiere di dipendenti pagati 60 dollari il mese che percorrono in lungo e in largo il territorio imponendo il pagamento della ‘tassa rivoluzionaria’: da 2 a 100 dollari il mese a testa, a seconda dell’attività svolta e del presunto livello di reddito. Così opera la Mafia, così opera l’ISIS nei territori conquistati. Lo scopo ‘politico’ primario dei Naxaliti oggi è evidentemente impedire che si sviluppi l’economia legale, grazie a investimenti internazionali. I Naxaliti sono però attenti a non soffocare l’economia di cui sono diventati signori e padroni; usano l’intimidazione violenta ma anche accortezza economica. Offrono protezione contro gang rivali e contro polizia ed esercito statali, esigono ‘tasse’ non tanto onerose da uccidere la gallina dalle uova d’oro. Controllano circa 60 000 miniere illegali in tutta l’India, che versano all’organizzazione dal 20 al 30% dei metalli estratti, vengono venduti sul mercato nero e trasformati in investimenti finanziari in India e anche all’estero, tramite banche che operano sotto il controllo dei Naxaliti.
Altrettanto fa l’ISIS, che dove arriva si impadronisce prima di tutto delle banche e dei pozzi di gas e di petrolio, impone un proprio ordine col terrore, ma procura lavoro e casa a chi si sottomette, purché non alzi la testa. Quello che noi percepiamo essenzialmente come un movimento barbaro ma animato da una forte ideologia a sfondo religioso (perché usa magistralmente l’ideologia come giustificazione morale nella sua propaganda) opera però con chiarezza e con determinazione spietata per la conquista di territori molto ricchi e per lo sfruttamento di mano d’opera schiava. Questa è la principale differenza fra ISIS e al-Quaeda, che invece operava in ottica politica, non come organizzazione di sfruttamento del territorio, della popolazione e del mercato globale. Per sconfiggere l’ISIS dovremmo mettere in atto una strategia di isolamento commerciale, finanziario ed economico che gli impedisca fisicamente ogni accesso al mercato esterno. I Paesi islamici confinanti con i territori conquistati dall’ISIS sono la chiave per realizzare una tale strategia, ma soltanto l’Egitto oggi sembra disponibile a farlo. Gli altri Paesi islamici vivono nell’ambiguità, commerciano con l’ISIS sul mercato nero, e agevolano di fatto la sua vittoria perché hanno istituzioni fragili, o perché i governanti non capiscono che prima o poi la vittoria dell’ISIS significherà il soffocamento dell’economia legale anche a casa loro.
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