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Per una politica della responsabilità

dicembre 14, 2014 • Agorà, Articoli, z in evidenza

 

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di Loredana Biffo

La questione della cupola romana, come molti pensano, è l’ennesimo scandalo politico in una nazione che non ha la capacità di reagire. Non stiamo qui a fare l’elenco delle aberrazioni politiche degli ultimi 50 anni, a tal proposito sarebbe utile una rilettura di Pasolini, che con grande sensibilità aveva ampiamente previsto e descritto la marcescenza del tessuto sociale e politico di questo paese.

Noi invece cercheremo di addentrarci in una dimensione concettuale poco esplorata, nel tentativo di costruire un idealtipo di politica, attraverso il paradigma weberiano.
Un punto fondamentale – se si ha la velleità e la voglia di fare un ragionamento minimamente articolato sull’incongruenza delle dichiarazioni della classe politica con la realtà delle cose – è quello di cominciare a ipotizzare di dare definitivamente l’addio ad ogni “illusione popolare” che possa emergere un leader (si sa che gli italiani hanno una macabra propensione all’autoritarismo) che possa far riemergere il paese dalla palude in cui sta inesorabilmente sprofondando.

Senza una prospettiva storica che si sviluppi attraverso una cultura orientata in senso comparativo e critico, non è possibile un’analisi delle caratteristiche specifiche di un contesto sociale e politico nazionale. Considerato lo stato in cui versa la situazione economico-politica, nonché democratica del paese, è ormai evidente che l’aspirazione storica del liberismo autoritario si è collocata ben oltre il perimetro dei partiti di destra, sconfinando ampiamente nel Partito Democratico che non aspira certo a rigettare incongrui collateralismi e ingerenze con la destra.

Detto ciò si può ragionevolmente affermare che la necessità prima, è di darsi una collocazione. L’esigenza è sostanzialmente di metodo. Si deve riaprire quella – logora – cassetta degli strumenti concettuali, ideali, storici che abbiamo a disposizione, verificandone la loro idoneità ad analizzare la realtà sociale e politica. Ed eventualmente prospettare l’acquisizione di nuovi strumenti di sperimentazione, e soprattutto di “modelli interpretativi” adeguati.

Lo sforzo concettuale, è necessariamente quello di riprendere la grande lezione dei classici del “pensiero sociale” , che infine altro non è che quella di dotarsi della capacità di comprendere il corso delle cose e non di galleggiare sulle stesse, di formulare ipotesi sui fenomeni storico-sociali tali da permettere, al pari che nelle scienze della natura, sperimentabili previsioni sul loro divenire. Premessa quest’ultima, ineludibile per chiunque non voglia limitarsi a conoscere il mondo in senso “teorico”, ma addirittura speri di cambiarlo.

Occorre decidere una volta per tutte, se la politica sia ancora quella attività umana che pensa di poter conoscere, prevedere e decidere per mutare gli eventi, o se al contrario debba limitarsi a registrarli in un rassegnato fatalismo che azzera il futuro nella reiterazione del presente e distorce il passato a improbabile caricatura del presente stesso. Cosa che avviene puntualmente in questo contesto in cui è evidente l’enormità egemonica del finanzcapitalismo, della corruzione e delle mafie; come un ineluttabile destino, da subire, o che quantomeno viene considerato come impossibile da combattere a causa della sua pervasività.

La questione quindi è se smettere di patire la petulante e puerile domanda – con risposta già incorporata e sottintesa per ciascuno – di chi è la colpa di tutto questo?
E cominciare invece ad analizzare che cosa è realmente avvenuto e come, che cosa potrebbe invece servire per dar vita ad una forma di politica e di società diverse da quelle attuali.

Tuttavia, se non si vuole restare in una dimensione puramente teorica, se non si vogliono rimandare a tempi indefiniti risposte che hanno un’urgenza evidente, e che prima o poi bisognerà pur dare, è necessario anche uno sforzo di immaginazione operativa. Lo scandalo di una proposta immediatamente spendibile sulla scena politica del presente che si mostra in tutta la sua drammaticità. Si potrebbe obiettare che questo è velleitario, ma in un modo o nell’altro è urgente e indispensabile calare dal mondo delle idee a quello delle cose, o se si preferisce, di cominciare a camminare con le gambe per terra e gli occhi al cielo e non sempre viceversa.
Così da offrire un segno chiaro, una sponda riconoscibile per tutti coloro che sfiduciati, non si sentono più rappresentati dalle oligarchie di una classe politica corrotta, fallimentare ed autoreferenziale.

Si pensi al senso di inutilità che vive chi non ha un lavoro, i lavoratori precari che non avranno la pensione o l’avranno insufficiente. Chi perde il lavoro a 50 anni ma non può andare in pensione, i giovani costretti ad andare all’estero in cerca di un futuro migliore.
Davanti a tutto ciò vien da chiedersi come faceva Virginia Wolf – “Possibile – che la vita sia sempre allarmante, imprevedibile, sconosciuta? Che anche per le persone più mature sia sempre un precipitarsi giù dalla torre?”

Questa è la responsabilità da assumersi dinnanzi alla storia,, e ricordando Weber, questo lo può fare soltanto chi orienta il suo agire in base a valori ultimi. Una pura politica di potenza, è condannata inesorabilmente al fallimento.
Del resto una politica che non si degradi ad una mera politica di potenza, non può venir meno ai valori culturali ed etici; dove il venir meno a un dovere politico dovrebbe provocare sentimenti non tanto di inadeguatezza quanto di colpa e di vergogna.
Non pare di scorgere nell’attuale goffo e autoritario governo qualcosa che somigli anche solo vagamente a tali nobili sentimenti, pare piuttosto in perfetta sintonia con le dinamiche politiche degli ultimi 20 anni.

E’ fondamentale avviare una fase di ristrutturazione della politica, a partire dalla formazione della classe dirigente, perché è pure vero che come sosteneva Weber, i valori politici non hanno carattere universale, ma culturale e non meno particolaristico; che non solo l’economizzazione totale, ma anche una moralizzazione totale distrugge l’autonomia della politica, e le aree più radicali come la Lega e i 5 Stelle ne sono l’esempio.

Rimane tuttavia emblematico il rapporto tra politica ed etica, è indispensabile una “politica della responsabilità” , che non collochi il profitto economico come fine unico, si pensi alle politiche industriali e del lavoro, lo smantellamento dei diritti e la destrutturazione del mercato del lavoro attraverso provvedimenti di matrice autoritaria, padronale, metodi vecchi che servono a riportare indietro la società ammantandosi di riformismo., una parola vuota che serve a nascondere l’inesistenza di idee.

Peculiare della confusione imperante, è l’insofferenza della politica nei confronti del dissenso e del conflitto che essa stessa ha determinato, la sua aspirazione infantile a governare senza confrontarsi con il conflitto, incapace di comprendere che essa stessa genera quel risultato per cui si ha una tragica frammentazione politica e del sociale, e che la delusione dei cittadini conduce o all’adattamento/rassegnazione oppure alla fuga dal mondo reale. Due opzioni non auspicabili, perché collocano il paese su di un piano inclinato che potrebbe essere la causa prima di scenari infausti di decadenza morale e materiale.
In questo panorama poco confortante, resta da comprendere quali siano i soggetti disposti a farsi carico di attuare l’unico cambiamento utile: avviare un processo di “politica della responsabilità”. Non farlo, sarebbe un errore politico che non troppo a lungo termine, darebbe luogo a gravi conseguenze sia in politica estera che in politica interna.

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