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Se anche raccontassimo, non saremmo creduti….

gennaio 27, 2014 • Articoli, Cultura e Società, z in evidenza

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La memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace. E’ questa una verità logora, nota non solo agli psicologi, ma anche a chiunque abbia posto attenzione al comportamento di chi lo circonda, o al suo stesso comportamento.E’ certo che l’esercizio (in questo caso la frequente rievocazione) mantiene il ricordo fresco e vivo, allo stesso modo come si mantiene efficiente un muscolo che viene spesso esercitato; ma è anche vero che un ricordo troppo spesso evocato, ed espresso in forma di racconto, tende a fissarsi in uno stereotipo, in una forma collaudata dall’esperienza, cristallizzata, perfezionata, adorna, che si installa al posto del ricordo greggio e cresce a sue spese.

 Le prime notizie sui campi di concentramento nazisti hanno cominciato a diffondersi nell’anno cruciale 1942.Erano notizie vaghe, tuttavia fra loro concordi: delineavano una strage di proporzioni così vaste, di una crudeltà così spinta, di motivazioni così intricate, che il pubblico tendeva a rifiutarle per la loro stessa enormità. E’ significativo come questo rifiuto fosse stato previsto con molto ampio anticipo dagli stessi colpevoli; molti sopravvissuti ricordano che i militi delle SS si divertivano ad ammonire cinicamente i prigionieri: <<In qualunque modo questa guerra finisca, la guerra contro di voi l’abbiamo vinta noi; nessuno di voi rimarrà per portare testimonianza, ma se anche qualcuno scampasse, il mondo non gli crederà. Forse ci saranno sospetti, discussioni, ricerche di storici, ma non vi saranno certezze, perchè noi distruggeremo le prove insieme con voi. E quando anche qualche prova dovesse rimanere, e qualcuno di voi sopravvivere, la gente dirà che i fatti che voi raccontate sono troppo mostruosi per essere creduti: dirà che sono solo esagerazioni della propaganda alleata, e crederà a noi, che negheremo tutto, e non a voi. La storia dei Lager, saremo noi a dettarla.

Curiosamente, questo stesso pensiero (<<se anche raccontassimo, non saremmo creduti>>) affiorava in forma di sogno notturno dalla disperazione dei prigionieri.Quasi tutti i reduci, a voce o nelle loro memorie scritte ricordano un sogno che ricorreva spesso nelle notti di prigionia, vario nei particolari ma unico nella sostanza: di essere tornati a casa, di raccontare con passione e sollievo le loro sofferenze passate rivolgendosi ad una persona cara, e non essere creduti, anzi, neppure ascoltati. Nella forma più tipica ( e più crudele), l’interlocutore si voltava e se ne andava in silenzio.E’ importante sottolineare come entrambe le parti, le vittime e gli oppressori, avessero viva la consapevolezza dell’enormità, e quindi della non credibilità, di quanto avveniva nei Lager, nei ghetti, nelle retrovie del fronte orientale, nelle stazioni di polizia, negli asili per minorati mentali”. Tratto da “ I sommersi e i salvati” di Primo Levi

 La straordinaria attualità di queste parole, tratte da un libro che si può definire il “testamento spirituale” di Primo Levi, mi riporta al ricordo di quest’uomo minuto che venne nella scuola media che frequentavo, e parlò a noi ragazzi dell’esperienza del Lager.

Percepii subito di essere difronte a qualcosa di indicibile, e pur avendo pochissima conoscenza sull’argomento, attraverso lui che narrava in modo fluido la storia che a noi ragazzi si presentava in tutta la sua tragica dimensione proprio grazie a quel racconto privo di qualsiasi enfasi o retorica, compresi l’importanza di mantenere viva la memoria di quanto era accaduto.

E’ necessario ricordare, perchè le nuove generazioni nulla sapranno se non glielo diciamo, il rischio che il 27 gennaio diventi la Giornata Mondiale dei Revisionisti, è enorme, e i fatti lo dimostrano. Infatti mantenendo il focus esclusivamente sul presente, sulla quotidianità, si tende a trovare giustificazioni a quanto è accaduto. Ricordare non vuol dire altresì giustificare quanto nel presente avviene di sbagliato e tragicamente non affrontato ognuno con le proprie responsabilità. Ed è solo attraverso la cultura e il riconoscimento della sofferenza altrui che si potranno evitare nuove tragedie come quella del nazifascismo.

Il cambiamento che non è ancora avvenuto, è ciò che dovrebbe metterci al sicuro dalla barbarie, che è implicita nella natura stessa dell’essere umano. La barbarie intesa come intolleranza, disprezzo per la vita altrui, razzismo, egoismo, cinismo e sopraffazione. Ogni iniquità che viene compiuta a danno di altri esseri umani, non farà che rinfocolare l’intolleranza e produrre nuovi mostri. Questo dovrebbe essere il monito ad ogni tentativo di revisionismo, che non sarà certo (come qualcuno vuole semplicisticamente credere) arginabile con una legge qualora l’aspetto culturale e sociale e venga meno al suo dovere.

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