Ilva, fiore all’occhiello dell’impresa criminale
In merito alla questione Ilva e il relativo gruppo Riva, Angelo Panebianco, nell’editoriale del Corriere della sera, domenica 15 settembre, sostiene che la chiusura degli stabilimenti Ilva in Lombardia, è dovuta alla decisione draconiana della magistratura, accusata di “andare avanti come un caterpillar” nel procedimento sanzionatorio sui disastri ambientali prodotti da tale azienda.
Sostiene, sempre Panebianco, “che questo è dovuto ad una “esondazione del diritto penale”, che tra tutte le forme di diritto sarebbe la più primitiva e barbarica che andrebbe quindi applicato solo in casi estremi. Altrimenti questo diventa il mezzo dominante di regolazione dei rapporti sociali, che porterebbe nientemeno che all’estinzione dei rapporti sociali. Il tutto corroborato da una visione negativa dell’industrialismo, “travestita da ecologismo”, una specie di mostro che ha partorito la “teoria della decrescita”. E i magistrati sono, complici di tali atteggiamenti finalizzati alla distruzione dell’industrialismo”.
Forse a Panebianco è sfuggito che, anche l’Ilva di Taranto oggi ha impianti sotto sequestro, nonostante ciò continua a produrre. Del resto il procuratore di Franco Sebastio, ha detto chiaramente che il procedimento di sequestro disposto dal gip Patrizia Todisco, non prevede il “divieto di uso” dei beni aziendali. Bensì dei beni sequestrati alla famiglia Riva, 600 milioni di euro (in realtà si parla di 1 miliardo sui conti correnti). E i saldi in attivo di conto corrente riguardanti 49 milioni, saranno affidati all’amministratore giudiziario. Pertanto non è affatto giustificabile secondo le teorie metafisiche di Panebianco, il fatto che l’attività sia stata interrotta.
E’ invece inquietante che si possa scaricare la responsabilità ai magistrati, quando è evidente che la procura non ha mai avuto come obiettivo quello di portare alla chiusura dell’ Ilva, ma ha sottoposto alle medesime procedure, le altre aziende del gruppo Riva, che ammontano a sette nel nord. Tali aziende sono coinvolte indirettamente nell’inchiesta sul “disastro ambientale” di Taranto.
A questo proposito, il gip Todisco, nel maggio scorso ha disposto un maxisequestro preventivo di 8,1 miliardi di euro a carico dei Riva, i responsabili dell’inquinamento ambientale. In risposta a tale provvedimento i Riva hanno bloccato la produzione, e quindi la “messa in libertà” dei lavoratori.
Parafrasando Clausewitz, potremmo dire che “la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”. E certamente la guerra che una certa impresa criminale ha dichiarato al lavoro, ai sindacati e ai “diritti fondamentali”, è una guerra che parte da lontano, studiata nei minimi dettagli. Poichè le dichiarazioni di certi “esperti”, sono dei veri e propri strumenti politici, è doveroso spiegare all’opinione pubblica che certi comportamenti non sono affatto casuali, e soprattutto sono da tempo avvallati da una politica asservita e complice della finanza che governa ormai deliberatamente la vita delle persone. Uno Stato che non è semplicemente assente, è complice.
Tra i “poteri invisibli”, uno dei più potenti, è il “sistema finanziario ombra”. L’oligarchia economica contemporanea, detta dai sociologi: “classe capitalistica transnazionale” (Luciano Gallino, finanzcapitalismo)), è quella che costituisce il governo reale del mondo. Stabilisce cioè i costi delle cose che contano realmente nella vita delle persone, i beni e i servizi che vengono prodotti, e in quale modo si realizzano.
Rappresenta la “testa” del governo dell’economia del mondo, perchè ha il potere di decidere della vita di milioni di persone. Si pensi che si tratta di poco più di 10 milioni di persone nel mondo.
Ma occorre distinguere tra ricchi, o come vengono definiti dal gergo bancario, “individui ad alto valore netto”, e super ricchi, “individui a valore netto super alto”.
In base a questa classifica, si stima che la ricchezza di costoro ammonta a quaranta trilioni di dollari, e il Pil del mondo del 2008, era di 54 trilioni di dollari. Quindi, questi individui detengono i tre quarti del Pil del mondo, quaranta milioni di dollari pro capite. Di cui, 3 milioni in Europa, e 2,8 milioni in Asia sud orientale, poco meno di 2 milioni nei paesi emergenti.
Fanno parte di questa classe, i capitalisti famigliari, e contrariamente a quanto si pensa, il capitalismo famigliare esiste, e gode di ottima salute. E’ formato da un insieme di famiglie sparse per il mondo, che hanno un potere enorme, e controllano enormi capitali. Si pensi ai fratelli Wolton che controllano la più grande catena di supermercati del mondo, Worren Bosset che è il gigante dei grandi servizi finanziari lui solo, in Germania la famiglia Karghen, la Quandor. In Francia la Michelin, Peugeot, Pinot e altre. L’Italia con Agnelli, Riva, Ferrero, Benetton, Caltagirone e Berlusconi.
Queste famiglie (ne ho citate solo alcune), controllano le grandi imprese e ovviamente i top-manager di queste, e sono strettamente intrecciate con le oligarchie politiche dei vari paesi, il primato della commistione tra oligarchie economiche e politiche è dell’America, che ha sempre visto anche i governi democratici, coinvolti con l’oligarchia della classe capitalistica transnazionale, in ogni caso lo stesso avviene in Europa.
Tutto ciò, implica un aspetto fondamentale della teoria politica nel senso più ampio, se si afferma che una classe sociale di 10 milioni di persone, divise in 3-4 sottogruppi governa l’economia del mondo, implica una cosa molto forte: che questa classe è in condizioni di agire come “soggetto unitario”, non è semplicemente una “classe in sè”, ma una “classe per sè” . Oggi più unificata di quanto non avveniva in passato, perchè lo sviluppo delle multinazionali transnazionali, ha fatto si che la cultura dell’impresa, i paradigmi che gestiscono la gestione dell’impresa, i criteri della contabilità (che è un importante fatto sociale ancor prima che economico), abbiano permesso che si diffondesse in tutto il mondo questo sistema, in modo “unitario”.
Ma, ci si potrebbe chiedere, in che modo viene trasmessa questa cultura d’impresa? Attraverso le facoltà di economia, le busines amministration, e i master. Così hanno diffuso nel mondo il medesimo “linguaggio di gestione”, tant’è che un’impresa brasiliana piuttosto che danese, italiana o cinese, è gestita esattamente con gli stessi criteri. I manager quando vanno all’estero, non conoscono la lingua del paese, ma la lingua della “corporation”, che permette loro di operare come a casa.
Tale funzionamento, è assicurato da un numero molto elevato di fondazioni, club, istituti, camere di commercio internazionali, che forniscono alla classe capitalistica transnazionale, un flusso ininterrotto di analisi, incontri in luoghi pubblici e privati.
Luoghi in cui si formano le idee volte all’affermazione degli interessi e della loro rappresentanza, fornendo indicazioni di Policy, politche generali di “Smantellamento dello Stato Sociale”. Cioè come ridurre le pensioni, come si privatizza la scuola, l’acqua, come si imbastiscono le politiche economico-sociali che servono a unificare le ideologie della classe in questione, e coordinare le persone che ne fanno parte, a livello mondiale. Si pensi che la “Camera di commercio internazionale”, fondata a Parigi nel 1919, ha 7000 membri d associazioni industriali di 130 paesi.
Si tratta di un posto unico per la sua capacità di promuovere politiche industriali di unità. Dietro grandi accordi ci sono i suoi “studi”.
Inoltre, ci sono le conferenze di Bildeberg, che è il nome di un hotel in olanda, a Osterbek, che sono nate subito dopo la seconda guerra mondiale, nel 1952, e ogni anno riuniscono 120 manager, politici, intellettuali, militari, universitari. Un ristretto gruppo che promuove le politiche consensuali per l’insieme dell’occidente e i paesi aderenti alla Nato.
Poi abbiamo un terzo gruppo molto influente, che è “La Commissione Trilaterale”, si tratta di una affiliazione delle conferenze Bildeberg, nata nel 1970 per volontà di David Rockfeller, uno dei più potenti esponenti del capitalismo famigliare del ventesimo secolo. Il tutto coronato da un forum, che mette insieme i leader dei maggiori paesi capitalistici, la cosiddetta “Triade”, Europa nord occidentale, Nord America, e Giappone. Questo ente dove si fabbricano le idee del neo liberismo, che sono il collante dell’oligarchia economica mondiale, è “Davos”. Il forum economico mondiale si riunisce lì da quarant’anni, fondato da mille imprese globali di eccezionale rilevanza, il resto, sono invitati: capi di governo, scienziati, esponenti pubblici, editori stampa e Tg, rappresentanti di Ong.
Il problema fondamentale delle oligarchie capitalistiche transnazionali, è come far nascere leggi a loro favorevoli, in modo che non sia necessario combatterle o retificarle, come farle nascere già “conformate” in modo tale da fare i loro specifici interessi. Gli strumenti utilizzati sono molti, dal lobbismo, palese o occulto, a Bruxelles si presume chi i lobbisti che hanno il compito di influenzare le leggi, siano circa 1500 individui a tempo pieno.
Per non parlare degli uffici legali che dispongono i disegni di legge, i comunicati, i contributi finanziari, che sono elementi imprescindibili della politica degli Stati uniti, non esiste nessun parlamentare americano (nemmeno i democratici), che non abbia ricevuto milioni di dollari dalle corporation durante le campagne elettorali. Perfino Obama, si stima che nelle ultime elezioni, il 55% sia andato al candidato repubblicano, e il resto a lui, che poi ovviamente ha le difficoltà che sappiamo a far passare le riforme.
La maggior parte delle azioni che la classe finanziaria trasnazionale compie, sono quasi tutte all’interno di leggi e norme perfettamente legali, e i casi di devianza, tipo Madoff, condannato a 150 anni di carcere, ha operato per più di 10 anni sotto gli occhi di tutti, è chiaro che queste frodi non si potrebbero verificare se non ci fossero leggi accondiscendenti che proteggono la classe capitalista transnazionale. Altro che antindustrialismo, come superficialmente sostiene Panebianco, qui ancora una volta, vediamo un’impresa che naviga nelle putride acque che ha prodotto, e spera nella politica per salvare il proprio capitale.
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