Il potere, istruzioni per l’uso
Nella storia è stato ampiamente scritto e dimostrato che i disturbi di tipo paranoide, sono tra quelli che più probabilmente hanno un effetto catastrofico sui processi politici e sociali di una nazione.
L’aspetto più sconcertante, è che perfino in un’epoca di ampia diffusione della democrazia, le sorti di una nazione, dipendano ancora così tanto dalla salute fisica e mentale di un unico individuo.
Anche il fatto che nell’era della videocrazia, tutti gli avvenimenti si svolgano sotto le luci della ribalta, può avere gli effetti disastrosi che ben sappiamo, per esempio è logico aspettarsi un aumento del livello di tensione o perdita di credibilità della vita politica di una nazione, visto che in pochi minuti la minima gaffe di un leader, fa il giro del mondo.
Giustamente ha detto Asor Rosa, che un gruppo affaristico-delinquenziale detiene il potere, e cosa ha significato non affrontare il conflitto di interessi da parte del centrosinistra quando era possibile, (e doveroso, aggiungerei) farlo.
Sicuramente ha ragione Asor Rosa a ritenere che il tarlo della corruzione nel paese, sta all’interno del sistema e non fuori.
La preoccupazione per la grave deriva antidemocratica in cui ci troviamo, è più che legittima, anche se la sua provocazione sull’intervento da parte delle forze dell’ordine è apparso difficilmente attuabile a molti, per ovvi motivi legati al rischio di un autoritarismo militare che ci riporterebbe indietro nella concezione democratica di governo, addirittura all’assolutismo.
Certo è che la situazione è drammaticamente pericolosa, e il pericolo doveva essere
riconosciuto nel 1994, al tempo della comparsa in politica da parte di Berlusconi, quando vi erano già tutti gli elementi, a partire dal conflitto di interessi; quando il passaggio dalla prima alla seconda repubblica, comportò un ricambio della classe politica.
In realtà, sarebbe necessario fare in modo che chi ha responsabilità così importanti su milioni di persone, fosse oggetto di controllo sulla sua salute mentale. Si pensi ai casi storici, al celebre tentativo di Sigmund Freud di “analizzare” il presidente americano Woodrow Wilson (affetto da turbe mentali, almeno nell’ultimo periodo della sua vita).
Il caso celebre di Hitler, di cui si dice che fosse affetto da Parkinson (malattia che talvolta comporta ripercussioni psichiatriche) e sifilide, inoltre veniva curato con grandi quantità di medicinali diversi, compresa l’anfetamina, che è noto, induce a psicosi assolutamente indistinguibili dalla schizofrenia paranoica (Connel 1958), cosa che ha certamente avuto in politica una notevole conseguenza. Egli soffriva di improvvisi e irrazionali scoppi di ira, sospetto crescenti verso tutti, insonnia cronica, attività frenetica, e periodi di disorganizzazione e dissociazione intellettiva.
Già nel 1933, Henry et alia, si sono prodigati nell’analisi della personalità e condizioni mentali di Hitler, con la collaborazione di uno psichiatra e uno storico.
In questo interessante studio, hanno preso in esame l’anno 1937, quando Hitler era quasi giunto all’apice del suo potere politico, e gli attribuirono una personalità antisociale, con caratteristiche abnormi, paranoidi e istrioniche. Gli studiosi si domandarono in quale misura Hitler fosse in grado di controllare quelli che erano i tratti abnormi della sua personalità. Secondo la loro analisi, quelli del Führer erano meccanismi di “adattamento” che utilizzava per conseguire i suoi obiettivi. Erano caratteristiche, come la “drammatizzazione”, la “teatralità” e la capacità di manipolare gli altri. Tutti aspetti che determinarono la sua ascesa insieme al nazionalismo intransigente, il razzismo, la ristrettezza mentale, che sono considerati in senso medico sintomi paranoidi. La caratteristica istrionica e paranoide in un solo individuo, è un fatto piuttosto insolito, e probabilmente ne consegue la capacità di manipolare il prossimo.
Di Mussolini si è detto che probabilmente soffriva di sifilide cerebrale, voce questa che circolava anche tra i gerarchi fascisti alla viglia del crollo del 1943, anche se non risulta confermato dalla successiva autopsia del 1945, e comunque è stato scritto ampiamente sul suo disturbo narcisistico della personalità, con tutte le conseguenze che conosciamo.
Si pensi a Stalin di cui si è studiato l’aspetto psicopatologico e il disturbo narcisistico della personalità; soggetto al quale fu grandiosamente spianata la strada da Lenin, del quale all’epoca (probabilmente sull’influenza delle teorie lombrosiane oggi superate), si segnalavano le dimensioni della testa, molto grande rispetto al corpo, ma soprattutto dell’aspetto precocemente senile (H. Shuckman).
Ebbe il primo colpo apoplettico e la conseguente parziale invalidità e quindi la morte; fattori che influenzarono profondamente lo sviluppo dello stato sovietico, e, come sappiamo, aprendo la strada alla dittatura di Stalin, che da giovane idolatrava Lenin. Alcune rivelazioni successive alla sua morte, sostenevano l’esistenza di una “sclerosi” diffusa, come se una tale fossilizzazione fosse il risultato di un enorme lavorio mentale (Sinjavskjj, 1990). Ma ogni informazione in merito, è stata rigorosamente segreta fino all’apertura degli Archivi centrali del Partito comunista di Mosca nel 1991.
Truker riteneva che Stalin soffrisse di una malattia mentale, trovandosi nel continum di quelle condizioni psichiatriche definite “paranoidi”. Secondo l’autobiografia di Cruscev, queste caratteristiche peggiorarono vistosamente con il passare del tempo, Stalin era sempre stato un tipo sospettoso, e nella sua brutalità, privo di scrupoli, ma la sua ossessione per il “complotto dei medici” nei suoi ultimi mesi di vita, va certamente interpretato come un’ ulteriore manifestazione del suo male che terminò con la morte; secondo i medici, si trattava di un’ arteriosclerosi cerebrale.
John F. Kennedy faceva largo uso di anfetamine, oltre che di steroidi che gli venivano prescritti per curare il morbo di Addison, è probabile che a partire dal 1955, entrambe le sostanze potrebbero aver influito sull’umore e sul comportamento nei momenti critici; per esempio sulla sua frenetica attività sessuale (Reeves 1991) può essere imputata ai farmaci, poiché gli steroidi provocano a fasi alterne depressione ed euforia.
Per stare in tema italiano, è certamente ancora vivo nella nostra memoria, il ricordo del dibattito sviluppatosi intorno alla personalità e allo stato psicologico del presidente Cossiga, che, con quelle sue esternazioni, ha avuto un ruolo di protagonista nel presentare all’ opinione pubblica le difficoltà del sistema politico, i suoi limiti.
Un noto protagonista della nostra crisi politica è certamente l’ ex presidente del consiglio Bettino Craxi, che è stato oggetto di valutazioni rientranti nel tema.
Alcuni osservatori, hanno sostenuto che il declino politico di una personalità dell’ultimo quindicennio della prima repubblica, ha avuto notevoli influenze relativamente al deterioramento del suo stato di salute conseguente ad un malore di cui è rimasto vittima all’inizio del 1990, il “decennio fatale” per il nostro sistema politico.
Le modalità con cui Craxi ha reagito alle inchieste della magistratura milanese, con una superficiale sottovalutazione iniziale, e in seguito con iniziative per le quali è stato paragonato ad un giocatore di poker (H. Feeman) che non si capiva se bluffasse o disponesse di una scala reale. Questi erano segnali di un deterioramento di condizioni psico-fisiche che hanno influito sul suo operare politico.
Come non ricordare che sempre alla fine del 1990, Umberto Bossi è stato colpito da un malore dichiarato conseguente allo stressa da super-attività, e la successiva ischemia cerebrale che lo ha colpito recentemente.
Insomma, il problema della salute mentale di chi detiene il potere, è una questione di natura etica, in base alla quale “bisognerebbe conoscere meglio il funzionamento cerebrale dei leader politici”, una questione per cui la gente dovrebbe avere un legittima attenzione.
Secondo una vasta bibliografia poco conosciuta nel nostro paese, in saggi come quello di J. Marmor che nell’American Journal of Psychiatry del 1969, sosteneva che:
“l’unica preoccupazione sensata che una nazione può adottare contro queste malattie private, è un meccanismo democratico di controllo e di equilibrio che non lasci spazio a un potere privo di regole e arbitrario, chiunque sia a esercitarlo”.
E’ altresì vero che proprio negli Stati Uniti, le cartelle cliniche di candidati politici sono state usate più a fini polemici che per esercitare un vero e proprio controllo democratico; però non si comprende perchè se la società regola restrittivamente l’accesso a quelle posizioni in cui l’occupante potrebbe essere un potenziale pericolo per la società stessa, per gli individui che la compongono (si pensi ai piloti di linea, alle forze dell’ordine ecc), altrettanto non dovrebbe essere applicato ai governanti, dove le competenze e l’equilibrio di chi esercita il potere, prende decisioni ad alto rischio, non debbano essere oggetto di monitoraggio.
Certamente la collaborazione e comunicazione fra politologi e psicologi, non sarebbe affatto una cosa inutile, visto che i fatti ci dimostrano come troppo spesso, anche in passato (i casi sono davvero tanti), i leader le cui capacità fisiche o mentali erano scese ben al di sotto dei livelli di efficienza, si siano abbarbicati al proprio potere per vanità, per paura, e spesso per merito della collusione di loro collaboratori stretti o anche dell’opinione pubblica.
Il caso evidentemente patologico del presidente Berlusconi, rientra pericolosamente in questa categoria, del resto già la moglie Veronica Lario lo aveva definito malato. Ma nessuno si è preoccupato di approfondire la questione; forse perchè, sopratutto da parte dei suoi sostenitori, molto in malafede, è assolutamente necessario tenerlo in sella per non perdere ruoli che altrimenti diverrebbero discutibili e improbabili.
Questo porta però ad una trasformazione della classe politica in negativo, verso una discesa inesorabile nell’idea che tutto sommato un po’ di corruzione è fisiologica, e la candidatura di Laganga a Torino, è peculiare di un sistema politico che non è più in grado di auto selezionarsi, di rinnovarsi, di andare oltre il passato, ma non rimuovendo gli errori compiuti in una sorta di incoscienza collettiva.
E’ un ceto politico inamovibile, dotato della più completa impunità, non solo politica, sul piano della sostituzione, ma persino della violazione delle leggi, come il tentativo di destrutturazione della magistratura sta dimostrando. Non ci sarebbe da stupirsi se fra qualche anno, la figura di Berlusconi fosse rivalutata.
Un paese il nostro, che vive cicli continui di amnistie pseudo-Togliattiane, un paese che come un genitore pigro e poco autorevole, concede molte attenuanti ai propri figli scellerati.
Già nel 1994 si parlava del rischio che una pubblica opinione, pertanto un elettorato, poco e male informati, riducessero la democrazia rappresentativa ad una mera facciata, dietro la quale governi di fatto una “oligarchia incontrollata”: Sartori parlava di una “teledemocrazia” manipolata. Un fatto grave se i protagonisti della politica fossero in preda alle “malattie del potere”, diceva Freedman.
La totale mancanza di interazione fra paradigmi sociali, psicologici e politologici, non consentì di giungere ad un monitoraggio e soluzione di questi problemi che oggi stanno incancrenendo la politica italiana, completamente incapace di interpretare la realtà, e in preda ad un delirio e un’arroganza inarrestabili.
E’ necessario rendersi conto delle ripercussioni profonde che le azioni di una persona che detiene il potere, hanno sul contesto sociale; si pensi alla pericolosità inaudita di quelle manifestazioni scellerate davanti al tribunale di Milano contro i magistrati, mentre questi sono impegnati a giudicare dei mafiosi, o ai manifesti che definiscono i magistrati dei brigatisti.
Questi atti sono “socialmente pericolosi”, e lo è ancor di più chi li fomenta. Del resto Berlusconi ha cominciato a dare dei “matti” ai magistrati già molto tempo fa, arrivando recentemente a dichiarare che se ci fosse stato il processo breve, non vi sarebbe stata mani pulite.
Queste dichiarazioni, creano un clima in cui pare normale si possa mettere in dubbio la legittimità di mani pulite o di inchieste giudiziarie sul leader “voluto dal popolo”, questo è un tipico esempio di quella che in sociologia e in psicologia si definisce “dissonanza cognitiva”, cioè che i soggetti hanno una soglia di resistenza alle informazioni dissonanti, e che tendenzialmente orientano la propria ricerca di informazione in modo così selettivo da confermare per quanto possibile le informazioni già esistenti. Oppure per ridurre la dissonanza, evitano di acquisire informazioni che potrebbero minacciare le convinzioni raggiunte.
Secondo Piaget (1976), gli schemi mentali esistenti rifiutano omeostaticamente nuovi dati contrastanti; in parole povere, la gente evita accuratamente di confrontarsi con ciò che potrebbe screditare le proprie idee, e quando si trova difronte all’evidenza, rifiuta di crederci.
Il comportamento senile e patologico di Berlusconi, ha legittimato altri a comportarsi allo stesso modo, una sentenza in terzo dovrebbe farlo scomparire dalla politica, il “cattivo maestro”, che invece invoca il popolo sovrano che lo ha eletto, come se il popolo contenesse in sè il seme della saggezza.
Non si tratta di essere allarmisti, ma realisti; gli statisti, i politici, come tutti sono fallibili; purtroppo la tendenza tanto della propaganda elettorale quanto dei mass media, è stata per troppo tempo quella di presentarli come dotati di saggezza o capacità straordinarie, approfittando del bisogno di una parte dell’opinione pubblica di crederli tali. Questa è certamente la malattia infantile-senile degli italiani, e il nostro passato fascista (e la sua mancata rielaborazione)la dice lunga in merito.
Mentre nella realtà, già il fatto stesso di avere brama di potere è indice della necessità di qualche compensazione fisica o psicologica. Non illudiamoci insomma, che a governare ci siano dei tranquilli signor Bianchi. vero che i E’ altresì vero che i capi sono solo degli esseri umani, però troppo spesso dispongono di un potere immenso, dotato di modalità che richiamano in modo inquietate l’apprendista stregone.
Vertzberg (1990) fa notare che la società regola restrittivamente l’accesso a quelle posizioni in cui l’occupante potrebbe creare pericoli ad altri, quindi le prove a cui molte professioni hanno deciso di sottoporre la competenza di chi le esercita e deve prendere decisioni importanti per la collettività, dovrebbero essere applicate anche alla politica; se questo fosse avvenuto per lo meno quando Veronica Lario ha dichiarato “malato” l’imperatore, forse si poteva evitare lo scempio di avere un paese ostaggio di un pluripregiudicato.
Ricordiamo che i disturbi di tipo paranoide (e la storia ne è piena), sono tra quelli che più probabilmente hanno un effetto catastrofico sui processi politici.
E’ sconcertante che in un’epoca di ampia diffusione della democrazia, la sorte di una nazione possa dipendere ancora così tanto dalla salute fisica e mentale di un unico individuo.
Si tenga presente che in una repubblica presidenziale (a cui Berlusconi aspira), sistema molto adottato in altri paesi, il ruolo del presidente non differisce molto da quello di un monarca, tranne per il fatto che il mandato ha durata limitata.
Che l’eterna tendenza del potere alla concentrazione e reiterazione di sé medesimo, sia un indice del profondo bisogno psicologico di una “figura genitoriale”, orribilmente “patriarcale”, ampiamente e storicamente presente nella nostra società?