Finanza islamica e sharia si insediano a Torino
di Loredana Biffo –
Il Turin Islamic Economic Forum si è svolto il 6 e 7 marzo a Torino, per il terzo anno consecutivo.
Iniziato per volere della precedente amministrazione è stato riproposto in perfetta sintonia gattopardiana con quella precedente di Fassino, dalla sindaca Appendino. Si tratta di un evento promotore di un’economia islamica basata sulla Sharia, che si interseca con imprenditori italiani, in particolare del territorio piemontese, aventi volontà e interesse ad esportare prodotti locali nei paesi arabi.
Il forum si è aperto con un discorso istituzionale della sindaca, che ha definito la finanza islamica un’opportunità di business e inclusione sociale dei musulmani residenti.
La sala era gremita di personaggi locali, facenti parte delle istituzioni torinesi, e naturalmente dagli investitori economici provenienti dal mondo islamico ed in particolare Emirati arabi e Dubai.
Le donne – perlopiù giovani – tutte rigorosamente velate, di notevole risalto la figura dello sceicco
Mohamed Turki Presidente e Amministratore delegato della Mohamed Turki Mott MacDonald Engieneering Consultanci (MTMM) che dopo il suo altisonante discorso sulle inefficienze della burocrazia e del sistema di tassazione troppo alto in Italia – che considera tuttavia un’ottimo partner commerciale (con un ‘enfasi notevole nell’elogio del capitalismo al cubo, in perfetta contraddizione rispetto ai valori dichiarati nella sharia) ha avuto una standing ovation da parte del numeroso pubblico arabo in sala. Tutti ostentavano una grande disinvoltura da padroni di casa.
Il clima era piuttosto surreale, si è parlato molto di investimenti da parte dei partner stranieri, sottolineando in modo quasi ossessivo gli aspetti della finanza islamica (che si basa sulla realizzazione concreta di progetti e reinvestimenti nel lavoro, non finalizzati al solo profitto) e la perfetta aderenza alla sharia, parola che è stata usata più volte in riferimento all’etica finanziaria e al cibo che esportiamo nei paesi che si avvalgono di tali precetti religiosi legati tanto alla sharia quanto imprescindibili nelle dinamiche affaristiche.
Nel corso delle due giornate del forum, è stato servito il catering halal con relativa sala per la preghiera.
Saeed Mubarak Kharbash Al Marri – Head of Strategy & Planning at Dubai Islamic – ha dichiarato che Dubai è la città di riferimento e gli emirati arabi ambiscono a diventare un’economia globale in cui includere la moda, il turismo e l’alimentazione halal, con una cultura islamica che si basa sull’applicazione della sharia in tutti i settori di interscambio con i partner commerciali, lo scopo è di promuovere la cultura e l’economia islamica a livello mondiale.
I musulmani presenti in Italia sono almeno 2 milioni, pertanto il mercato alimentare fattura circa 4,9 miliari, in più c’è il settore dell’abbigliamento che esporta in modo importante. Quando è stata posta la domanda su come l’Italia si deve regolare per essere un partner commerciale del mondo musulmano e della finanza islamica, è stato risposto che i cittadini musulmani stanno crescendo di numero nel paese, e Torino è “l’unica città al mondo” che organizza questo evento, tuttavia il paese ha un sistema di tassazione che non invoglia gli investitori stranieri ma che la città è un importante partner per gli scambi; che Dubai è capace di combinare le tradizioni islamiche del quindicesimo e sedicesimo secolo (sic!) con la modernità.
Cosa Al Marri intendesse per modernità non è stato possibile capirlo. Inoltre ha evidenziato che il settore halal deve perfezionarsi nella certificazione, che i prodotti caseari italiani e relative esportazioni riguardano i prodotti finiti e di alta qualità: olio, mozzarelle, carne ecc.; ma a suo dire ci concentriamo troppo sulla qualità trascurando i “volumi”.
Sostanzialmente è stata implicita la critica allo scarso profitto che la qualità produce rispetto alla quantità; ad un certo punto in modo piuttosto farfugliato è stato detto che loro acquistano questi prodotti anche da altri paesi “meno concentrati sulla qualità”, e ha citato (dietro domanda di un giornalista) la questione della “mozzarella blu”, tutti ricorderanno lo scandalo delle mozzarelle blu che imperversavano un paio di anni fa nella vendita in alcuni marchi stranieri. Anche qui, in merito ai diritti umani e questione femminile, c’è stato un sorvolare su questioni di primaria importanza, aggiungendo che tutti i certificatori dei prodotti esportati dovranno essere degli “esperti di sharia”; ha aggiunto che le grandi aziende come Nestlè, Carrerfur e altre, investono già nel sistema halal.
Non poteva mancare l’aspetto della finanza, banche e crediti. E’ stato illustrato il sistema della finanza islamica che segue un’etica ben precisa, un sistema di micro finanza per dare accesso al credito alle piccole medie imprese; è stato altresì evidenziato che il livello di povertà nel mondo arabo è molto alto e che molte persone non sono in grado di possedere un conto corrente.
La cosa piuttosto sconcertante è stata quando si è parlato di tecnologie legate al settore bio-medico, e Alberto Brugnoni, Managing Partner, ASSAIF, ha dichiarato che “le spese per curare le patologie mediche in Italia sono inferiori a quelle dedicate per la lotta al terrorismo”. Naturalmente nessuno in sala ha chiesto quale sia il nesso tra le due cose, o se il terrorismo sia secondo lui una questione marginale.
Del resto alla stampa presente in sala è stato dato poco spazio ed è stato chiesto di fare “solo domande -poche- e astenersi dai commenti”.
Molti sono stati gli interventi di vari imprenditori piemontesi che hanno ampiamente e dettagliatamente illustrato le loro produzioni, nel settore aeronautico capeggiato dall’Alenia, al biomedicale alla questione alimentare, moda, e molto altro. Le esposizioni sono state indubbiamente interessanti e ricche di dati, peccato che in tutta la discussione durata due giorni non sia venuta fuori la questione dei diritti umani, e del fatto che si potrebbe lavorare per un miglioramento in questo senso, nonché porlo come condizione nelle interdipendenze affaristiche, considerate le gravi violazioni che avvengono nei paesi con cui vogliamo fare affari (si pensi all’Iran).
In compenso è stata lampante la dimostrazione della compliance nostrana, durante l’intervento sulla Città della Salute di Torino (Ospedale Molinette) tenuto da Mario Caserta, Coordinatore ufici URP, dal suggestivo titolo “Curare l’anima: assistenza ai pazienti musulmani”.
Chiaramente qui la situazione si complica, perché non si tratta semplicemente di applicazione della sharia nell’ambito alimentare, ma nelle istituzioni e nelle relazioni, tra medici e pazienti, tra pazienti e tra religioni.
Infatti Caserta ha definito questo come una servizio “necessario” per l’inclusione dei musulmani che a Torino sono circa 80 mila. E’ necessaria a suo dire, una contaminazione reciproca per costruire sviluppo e una società più equa. A tal fine alle Molinette è stato creato un servizio di mediazione culturale con la presenza di una figura specifica tutte le mattine.
Inoltre è stato avviato un progetto per la “cura dello spirito” al fine di soddisfare i bisogni di tutte le religioni, non solo quella cattolica.
Ci dovremmo quindi aspettare che l’ospedale diventi la succursale di tutti i culti?
La ratifica di un protocollo d’intesa che riguarda le differenti necessità e orari per il cibo e la preghiera all’interno dell’ospedale. La produzione di farmaci halal. Un manifesto multilingue per far interloquire i parenti con i loro rappresentanti religiosi. A tal proposito Caserta ha dichiarato che il personale dell’azienda sanitaria ha esplicitamente chiesto di essere formato (naturalmente non si è capito chi finanzia tutto ciò) sulla cultura araba per poter interagire al meglio.
E’ stata istituita una “stanza del silenzio” dove tutti possono accedere, “anche gli atei” (di grazia) ed un progetto di assistenza spirituale che deve essere inserito in tutti gli ospedali piemontesi; nonché l’integrazione per i riti mortuari, l’alimentazione per i pazienti musulmani e la questione riguardante i trapianti di organi e i precetti religiosi.
Stupefacente è stato il discorso “sull’evidenza scientifica” che l’assistenza spirituale e la preghiera apportano un enorme beneficio ai pazienti, senza ovviamente presentare alcuna pubblicazione scientifica in merito.
Insomma, è evidente che per avere rapporti d’affari con i paesi musulmani è necessario fare delle concessioni su quella che è la già tanto discutibile “laicità delle istituzioni”, ci troviamo esattamente nella situazione in cui si orientano gli individui per orientare le istituzioni.
E’ stupefacente e allarmante il fatto che la politica non si renda conto della pervasività di una religione che ha un’identificazione totale tra sfera politica e religiosa, che l’applicazione della sharia oggi viene fatta passare come indispensabile nell’ambito alimentare, domani – non dopodomani – lo sarà nell’ambito etico e relazionale, la situazione dell’azienda sanitaria Molinette ne è l’esempio, non a caso si è già prospettato di applicarla a tutti gli ospedali.
Che dire, a quanto pare in nome del mercato (e del bacino di voti che i musulmani rappresentano) tutto è lecito, anche l’islamizzazione delle istituzioni, che porterà inevitabilmente all’islamizzazione della società. Non secondario l’aspetto ideologico noto, che la sinistra è pro-islam perché identifica la concezione del sociale di questa ideologia politico/religiosa affine agli ideali del comunismo, sottovalutando l’abbaglio che da troppo tempo impedisce una seria riflessione sul fatto che i partner finanziari islamici sono ipercapitalisti e che il tasso di povertà assoluta e relativa nei paesi islamici è impressionante; dopodichè nulla in contrario al libero mercato, ma con la giusta consapevolezza e onestà intellettuale.
La domanda è: ma i cittadini italiani, sono disposti ad accettare tutto questo? Proprio in questi giorni la ricorrenza dell’otto marzo ha indotto a proporre uno sciopero generale per sensibilizzare sulla questione femminile; la seconda domanda è: i diritti delle donne, a sinistra sono relativi solo all’occidente, mentre in nome di un non ben precisato concetto di multiculturalismo siamo disposti ad accettare la violenza e la sottomissione femminile in nome di questo? Ai posteri l’ardua sentenza, quando i buoi saranno fuggiti dalle stalle.
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