“Le auguriamo che l’intervento cui è stata sottoposta (Interruzione Volontaria di Gravidanza ndr) rimanga unico. L’ivg ha delle implicazioni di ordine morale, sociale e psicologico, non è solo una procedura chirurgica o farmacologica ma un rischio per la stabilità emotiva con possibili ripercussioni sul piano relazionale”.
Questo il contenuto della lettera prestampata che la ASL di Bari consegna alle donne dopo l’intervento di interruzione di gravidanza.
Il documento risulta inaccettabile per almeno due motivi. Il primo è che non si riferisce a questioni di salute, non si limita cioè a informare la donna sui possibili rischi relativi a ripetute interruzioni di gravidanza e sulle possibilità contraccettive che potrebbero evitare gravidanze indesiderate.
Fa invece riferimento a nozioni di carattere morale, psicologico e relazionale. Che l’ivg abbia “implicazioni di carattere morale” non è un assunto medico e non dovrebbe essere competenza di un’azienda sanitaria menzionarlo in una lettera di dimissioni. Non solo, checché ne pensino i medici obiettori che nel nostro Paese stanno rendendo – di fatto – inapplicata la legge 194/78, la rilevanza morale dell’aborto è fatto che riguarda chi considera l’aborto una pratica intrinsecamente malvagia, ma non vale per chi ritiene che esso sia semplicemente un problema di salute riproduttiva delle donne.
Il secondo motivo è il riferimento ai rischi riguardanti la stabilità emotiva e le conseguenze relazionali dell’ivg. Anche in questo caso, invece di assumere che l’aborto sia male e in quanto tale provochi sofferenza, converrebbe chiedersi quanto della sofferenza psicologica connessa all’aborto sia indotta dai giudizi di condanna di cui la lettera è un esempio lampante. Se l’interruzione di gravidanza fosse riferita all’esclusivo ambito dei servizi sanitari senza essere accompagnata da condanne moralistiche, forse non sarebbero affatto ‘automatiche’ le (eventuali) conseguenze psicologiche per le donne che peraltro vi ricorrono per innumerevoli, legittimi motivi.
La violenza ideologica di un simile atto mina alla radice il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione in fatto di scelte riproduttive e non risulta in nessun modo accettabile che possa circolare nei reparti sanitari di uno Stato che si presume di diritto.
Auspichiamo una forte presa di posizione da parte del Ministero della Salute e più in generale delle istituzioni preposte a garantire il rispetto di una opportunità giuridicamente garantita, anche se dopo la fallimentare campagna del Fertlity Day – che incitava le donne ad assolvere il loro dovere procreativo – dubitiamo che verranno parole e provvedimenti atti a garantire alle cittadine di questo Paese il pieno esercizio del diritto di scelta sul proprio corpo e sulla propria salute.
Dott.ssa Seila Bernacchi
Consulta di Bioetica Onlus – sez. Pisa
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