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La barbarie di Stato ispira i suoi nemici

dicembre 11, 2013 • Articoli, Politica, z editoriale

 

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 La mobilitazione dei “Forconi”, è un fenomeno di straordinaria interdipendenza tra le politiche del mondo globalizzato, pur mantenendo la soggettività di ogni paese, dove governanti e governati hanno ovviamente le loro peculiarità, figlie della storia politico-sociale di ogni nazione.

Il comune denominatore in questo caso, è un profondo malessere, un disagio che i popoli vivono da tempo, dovuto ad una crisi internazionale dell’ economia, che non è affatto (come i governi voglio far credere) un qualcosa di cui la classe capitalistica transnazionale e la politica non siano le cause determinanti di questo processo che si basa sul modello dell’equilibrio concorrenziale dei mercati, cuore della teoria economica dominante.

Tali teorie economiche, hanno avuto un ruolo determinante nel produrre questa specifica crisi, si sono ammantate di “scientificità” per giustificare ogni sorta di smantellamento dei diritti sociali, politici e di cittadinanza; e il ruolo, il peso che questa scientificizzazione mal riposta ha esercitato nella conduzione e nello svolgimento e applicazione di tale modello capitalistico.

Madre di tutte le dichiarazioni atte a reiterare il suddetto modello, è l’affermazione che: “il capitalismo concorrenziale”, è l’unico modello economico possibile, e che i sistemi statalisti (alias socialisti) non hanno funzionato. Questa è una litania che si sente piuttosto spesso, in un mantra che ha lo scopo di reiterare la concezione di capitalismo come unico modello possibile, che per quanto crudele, è comunque il migliore.

Premesso che è evidente il fatto che gli stati socialisti abbiano fallito, un fallimento storico sotto gli occhi di tutti; pare altresì bizzarro sostenere che il capitalismo sia un buon modello, perchè si potrebbe dire che anche il suo fallimento, pari a quello socialista, è sotto gli occhi di tutti. Ma ne siamo proprio sicuri?

E se invece questo impoverimento del “99%” della popolazione, fosse esattamente ciò che la classe capitalista transnazionale ha meticolosamente perseguito in tutti i lunghi anni in cui si è dedicata alla costruzione e perfezionamento di tale modello? Si pensi alla famosa “mano invisibile” che dovrebbe regolare il mercato, altra dissonanza cognitiva a cui siamo assoggettati.

In realtà tra i “poteri invisibili”, uno dei più potenti, vi è proprio il “sistema finanziario ombra”. La potente oligarchia economica contemporanea, che costituisce il governo reale del mondo (che stabilisce il prezzo delle derrate alimentari, del grano, per intenderci).

Oligarchia che stabilisce i costi delle cose che realmente contano nella vita delle persone (di quel 99%), i beni e i servizi che vengono prodotti, e in quale modo si realizzano; rappresenta la “testa pensante” dell’economia e del governo del mondo, perchè solo questa ha il potere di decidere della vita di milioni di persone.

Questa oligarchia, è costituita da poco più di 10 milioni di persone nel mondo, la loro ricchezza è stimata intorno a quaranta trilioni di dollari, detengono cioè il i tre quarti del Pil mondiale.

La cultura d’impresa, e i paradigmi che ne gestiscono le modalità, hanno fatto si che questo “sistema unitario” si diffondesse in tutto il mondo (parafrasando Marx, potremmo dire “capitalisti di tutto il mondo unitevi”). Oggi è certamente più unificata che in passato, grazie allo sviluppo delle multinazionali trasnazionali, e alla trasmissione del medesimo linguaggio di gestione, e delle mainstream economics (corrente economica che con le sue teorie e modelli ha dominato negli ultimi decenni ).

Tale mainstream economics, ha pesantemente interferito nelle teorie e modelli economici nelle facoltà di economia, imprese uffici studi di grandi imprese, istituzioni finanziarie, banche centrali, e della Banca Mondiale, nonché della Commissione Europea.

Le oligarchie capitalistiche transnazionali hanno dato vita attraverso il lobbismo palese o occulto che sia, a leggi favorevoli ai loro obiettivi di dominio, in modo che non sia necessario combatterle o retificarle, nascono “già conformate” ai loro specifici interessi, e dispongono a tal scopo, di numerosi di uffici legali che si occupano di disporre i disegni di legge e i comunicati. Ricordiamo che in Rosseau, è proprio la forza dello Stato a contribuire alla libertà di ogni soggetto.

Tale forza però, non deve essere confusa con il potere illimitato accordato al sovrano già da Hobbes, e considerato da Rosseau ciò che divide il genere umano in “orde bestiali, ognuna con il proprio padrone, che le sorveglia con il proposito futuro di divorarle” (Rosseau 1762).

Anche secondo Caligola i re sono dei e i sudditi bestie, infatti Caligola e Hobbes sono tutt’ uno nell’analisi rousseiana, la cui concezione a proposito del “diritto del più forte”, conducono alla distruzione del “contratto sociale”. E un patto del genere, anziché produrre cittadini da una parte, e rappresentanti dall’altra, produce solo padroni e schiavi.

A tal proposito, la violenza politica di cui è impregnato il parlamento e tutta la sfera istituzionale italiana, è esattamente la madre di tutte le violenze e proteste passate, attuali, e, speriamo non si debba rivedere gli scenari terrificanti degli anni settanta, che molti di noi ricordano bene.

Ricordiamo che se in Hobbes i mali causati dall’ autorità sono trascurabili se paragonati a quelli prodotti allo stato di natura (il G8 di Genova insegna che non è proprio così); Rosseau ci insegna invece che le infamie (tali sono gli atti di violenza avvenuti in questi giorni) ascritte a certe azioni umane, potrebbero essere eliminate se vivessimo conformemente allo stato di natura (con questo Hobbes intende il concetto fondamentale di “eguaglianza”, senza il quale la democrazia è un chimera); il vizio non appartiene agli umani, ma agli umani mal governati.

Sempre nel “contratto sociale”, la nozione di governo, va nella direzione più confacente alle democrazie mature, di “istituzioni”; un insieme di agenzie e filosofiche- politiche che le sottendono, capaci di “incattivire gli gli esseri umani.

Quando gli individui rinunciano alla sovranità rinunciano alle loro peculiarità di esseri umani, e se l’autorità politica risiede nel popolo, questa è inalienabile, e non si può cedere simile autorità a chicchessia, che si tratti di un monarca, un oligarca o di un rappresentante giuridicamente designato.

Un popolo è sempre e dovunque, quello che i suoi governanti lo rendono, si avranno allora, in ciascun contesto (ritorniamo alla domanda “perchè solo in Italia”), dei malfattori, dei cittadini, dei combattenti e cosi via; secondo la natura delle istituzioni che detengono il potere politico in quel contesto.

In Italia abbiamo  governi, che disponendo di forza autorizzata, cercano costantemente di sfuggire all’autorità legislativa e sostituire la volontà del popolo con la propria.E’ proprio attraverso questo concetto di “forza” che Cessare Beccaria formula un programma teorico di riduzione della violenza autorizzata, anche se, le sue argomentazioni derivano dal timore proprio nei confronti della possibile ascesa della violenza non autorizzata.

Ma la violenza istituzionale, talvolta viene resa invisibile dalla costante deprivazione di comunicazione politica: il regime disciplinare privo di possibilità comunicative, rende i soggetti collettivi una molteplicità di esseri da numerare e sorvegliare. Paradossalmente il vietare manifestazioni potrebbe avere un esito opposto, esacerbare lo scontro; ponendo in evidenza ancor più la violenza istituzionale colpevole di nascondersi dietro “la solitudine sequestrata e controllata” dei sottoposti a custodia.

Del resto uno Stato capace solo di controllo, di volere controllare ma non essere controllato, è destinato al fallimento.

Ricordiamo a tal proposito la Rivoluzione francese, dove l’incapacità di vedere come il cambiamento sociale porterà in sé i problemi e come la soluzione di tali problemi richieda un assetto istituzionale e un quadro giuridico altrettanto nuovo e dotato di sensibilità nuove, e come la loro soluzione richieda quadri giuridici altrettanto nuovi. Così i governi diventano l’oggetto della loro stessa violenza che rifiutano di temperare. “Non rinuciando allo spettacolo della sofferenza, si troveranno presto ad assistere a simile spettacolo in qualità di vittime (Spiereburg, 1984)”.

 Tornando a Hobbes, in De Cive,egli identifica le cause interne al sistema che conducono alla dissoluzione dell’autorità. Quando i cittadini diventano consapevoli della loro fragilità, si sentono senza prospettive, e allo stesso tempo percepiscono la inettitudine di chi li governa, raggruppano la forza sufficiente ad accelerarne il declino, con la loro azione ne rendono più rapido il crollo.

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Allora l’azione si tramuta in tumulto, soprattutto quando i cittadini sono ispirati da “dottrine e passioni contrarie alla pace”; probabilmente proprio questo dà origine a violenze efferate come quelle che in Italia si sono già verificate nella storia (vedi Piazzale Loreto). Altrettanto probabilmente, i più furiosi e sediziosi saranno proprio coloro che hanno a suo tempo contribuito alla nascita della tirannia dell’uomo forte, perchè sono quelli che si sentono più traditi, anche se il potere non esiterà a dare la colpa ai suoi nemici.

Il bene e il male non sono iscritti nella natura, né nella saggezza collettiva e meno che mai nella giurisprudenza, ma sono il risultato di decisioni prese da un’entità artificiale, lo Stato (Ferrajoli, 1989).

La politica è quella che forgia e alimenta la violenza, a partire da quella del linguaggio politico (e ne conosciamo il repertorio, purtroppo), all’incapacità assoluta di risalire all’origine del male che hanno la velleità di combattere, una stonatura insopportabile quando il parlamento è pieno di inquisiti per corruzione, concorso esterno in associazione mafiosa e privilegi di ogni sorta.

Il rispetto per la legge si diffonde tra il popolo non grazie alla polizia e alle galere, ma grazie all’esempio fornito da “persone di alto status” e dalle autorità stesse, quando queste sono le prime a metter in pratica il rispetto per l’individuo, la legalità e i diritti collettivi, evitando lo scandalo dell’impunità per i “grandi ladri” e l’asprezza più iniqua per i piccoli. Come diceva Beccaria, la barbarie di Stato può provocare risposte popolari di simile natura; la barbarie di Stato ispira i suoi nemici.

Riflettendo sulla classe politica italiana, sull’incapacità di intercettare il malessere sociale, non c’è da sorprendersi difronte alla protesta di questi giorni. Diciamolo chiaro, questa è la protesta delle partite Iva, che si sta diffondendo come un virus. Quello che doveva essere lo sciopero dei camionisti e contadini, sta fagocitando anche altre categorie. E’ assolutamente necessario analizzare attentamente questi episodi, cercandone il significato politico profondo. Ed è da sottolineare che quello che sta avvenendo è paragonabile allo sciopero dei 40.000 quadri Fiat. È un blocco delle città non organizzato dai sindacati confederali, che sfugge alle dinamiche consuete.

Del resto non si può non dire che la maggioranza dei protestanti sono coloro che per vent’anni hanno votato Berlusconi, che lo hanno sostenuto: ambulanti, commercianti e partite iva, che oggi sono colpiti dalla crisi esattmente come i dipendenti. Ma che anche nella protesta continuano a contrapporsi gli uni agli altri, in nome delle vecchie separazioni ideologiche. Il rischio è che si sfoci in una guerriglia interna, di tutti contro tutti.

Un bel tema per Renzi e soci. Chi lo ignora o lo snobba commette un grave errore. Sotto questa cenere cova un fuoco che, se dovesse accendersi favorito dal vento giusto, sarebbe arduo spegnere. È meglio che la politica mediti in fretta

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