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La strage del Bataclan e la narcolessia dell’Occidente

novembre 13, 2017 • Agorà, Articoli, z in evidenza

di Loredana Biffo –

Oggi si celebra l’anniversario del  massacro sommario di un centinaio di civili. Era iI 13 novembre del 2015 a Parigi l’Isis ha compiuto una serie di attacchi terroristici. La strage più sanguinosa è avvenuta al teatro Bataclan dove sono state uccise 90 persone durante un concerto rock. Tra gli altri luoghi colpiti: l’ingresso dello Stade de France, i ristoranti Le Carillon , Le Petit Cambodge e la pizzeria Casa Nostra.

A due anni di distanza, tutti questi attentati anzichè scuotere l’Europa, l’hanno narcotizzata.
Si può tagliare con il coltello l’atmosfera di rassegnazione e sottomissione che regna sovrana ovunque, dove tutto diventa storia, quotidianità. Nemmeno le rinnovate minacce a Charlie Hebdo, ai suoi vignettisti scuotono il torpore in cui l’Europa è piombata; minacce partite per la presunta offesa di lesa maestà a Tariq Ramadan, l’insigne intellettuale islamico che è accusato di stupro che tutti si mobilitano a difendere perchè guai a toccare un musulmano, guai a dire che l’Islam è violento e contempla l’inferiorità e l’impurità femminile come un caposaldo religioso e politico.

Ma cosa è successo che ha reso l’orrore quotidiano e le nostre coscienze mute, la fragilità del pensiero indipendente e critico qualcosa di perseguibile da parte della legge, dell’opinione comune; quale cortocircuito culturale è avvenuto nelle nostre società occidentali?

E’ una dissonanza cognitiva che alberga nelle menti delle persone che hanno assimilato l’orrore nella loro coscienza creando un profondo cambiamento di civiltà. Quasi che le vittime del terrorismo fossero deumanizzate, e che questo processo ci induca ad una assuefazione come osservatori passivi del cancro che sta divorando la società occidentale.

Ervin Staub nel 1998 ha confrontato i genocidi degli ebrei e degli armeni, l’autogenocidio cambogiano, le sparizioni di massa perpetrate dal regime argentino alla ricerca delle “condizioni istigatrici” di tali fenomeni e delle caratteristiche culturali delle società che li producono, degli stati evolutivi che li contraddistinguono, ma soprattutto del ruolo giocato dagli osservatori passivi.
A suo parere, nell’evoluzione del ciclo della violenza collettiva, la responsabilità è di chi giustifica o sottace – accettandole – le azioni commesse attraverso il biasimo delle vittime, che perdono la loro connotazione di umanità perdendo anche la collocazione in un ambito morale; questo permette che ne risulti rovesciato il codice morale e l’accettazione di comportamenti che in precedenza sarebbero stati considerati inmpossibili e che diventano “buoni e desiderabili” perchè è venuto meno lo spirito critico.
Questo è quello che sta avvenendo in un’Europa che si sta sempre più sottomettendo al volere della concezione islamica e la corrosione che sta facendo delle nostre democrazie. Coloro che hanno permesso tutto questo, e continuano a permetterlo sono responsabili di queste morti e continueranno ad esserlo malgrado i proclami sempre più ridicoli che stanno perpetuando. Purtroppo ci tocca dire che i morti del Bataclan, di Charlie e di tutti gli altri attentati, non hanno insegnato proprio nulla. La priorità della politica è badare che nessuno possa toccare l’Islam o insinuare che è una religione politica che fa della violenza lo strumento principale di assoggettamento degli individui, tacciando di fascismo chiunque osi dissentire; la nostra è una civiltà che è diventata la peggior nemica di se stessa.
Il punto di partenza imprescindibile per qualsiasi contrasto di un fenomeno indesiderato, è il suo riconoscimento, la promozione della consapevolezza che è in corso un processo di destrutturazione delle sociètà, la negazione è altresì la precondizione dell’ottundimento del pensiero e della possibilità di porre rimedio prima che sia troppo tardi.

 

 

 

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