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“Reato di tortura” e la cattiva coscienza della politica

luglio 6, 2017 • Agorà, Articoli, z in evidenza

 

di Loredana Biffo –

Sono passati 30 anni dalla convenzione Onu contro la tortura e a 16 dai fatti della scuola Diaz e della caserma di Bolzaneto,  non da meno i casi individuali come quello di Federico Aldrovandi, Ricordiamo i casi di custodia ospedaliera: Stefano Cucchi, Giuseppe Uva, Franco Mastrogiovanni , Stefano Gugliotta e molti altri. L’elenco potrebbe cominciare con il caso di Giuliana Masi uccisa dalle forze di polizia negli anni 70 che sembrano così lontani, ma durante i quali sembrava aprirsi uno spiraglio sulla possibilità di una democratizzazione di forze dell’ordine al servizio del cittadino; con la smilitarizzazione della P.S. pareva che si imboccasse una riforma che per quanto fragile era un idealtipo di società rispettosa dei diritti umani. I fatti sopra citati hanno compromesso qualsiasi possibilità in senso democratico, e per questo  l’Italia ha incassato condanne dalla Corte europea per i diritti dell’uomo, avviando  il paese ad una regressione repentina dello stato di diritto.

È utile ricordare che una delle forme di “habeas corpus”, è proprio l’immunità da torture e da pene corporali. Si badi bene, che non si tratta di un problema puramente di carattere teorico e appartenente alla tradizione classica, settecentesca, del garantismo penale, ma di un problema di grande attualità, drammaticamente attuale, considerato che le sevizie su arrestati e detenuti in un paese di democrazia avanzata come il nostro, sono numerosi. Infatti le torture, come nel caso della Bolzaneto e della Diaz di Genova, nonché casi di individui aggrediti e picchiati anche fino a causarne la morte, sono il frutto di esplicite direttive, rese possibili dal disprezzo assoluto per il diritto e per la la persona, e dalla logica di potere e violenza che in questi anni la politica ha volutamente e colpevolmente riportato in auge, come nelle migliori tradizioni illiberali e dittatoriali, è evidente che siamo in presenza di una velocissima corrosione dei diritti umani.

Ora è arrivato il reato comune di tortura: http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLMESS/1023042/index.html#  che colpisce chi indossa la divisa (pena da 4 a 12 anni) e i semplici cittadini (da 4 a 10 anni). Dopo 769 giorni di attesa, la maggioranza incassa alla Camera con soli 198 voti favorevoli la legge sul nuovo reato di tortura (criticata da sinistra e da destra). A sinistra era stato chiesto un reato specifico per le forze di polizia mentre dai banchi della Lega, e non solo, l’attuale versione è ritenuta un affronto per i tutori dell’ordine. «È uno schiaffo per le forze di polizia», ha detto Gregorio Fontana (FI).

La prima difesa della civiltà della nostra civiltà giuridica, è la riaffermazione che nel senso comune debba essere sempre rinnegata la violazione della persona, questo soprattutto contro i cedimenti demagogici della ragione, perché l’ interazione che sussiste tra diritto e senso comune che può preservarci contro il ripetersi di tali pratiche vergognose, la cui esistenza va ben oltre le aperte denunce, di fatto scoraggiate dal rischio che corrono i denuncianti di essere perseguiti per calunnia.

Ad essere sotto accusa soprattutto alcuni passaggi del primo articolo della nuova legge, passaggi di dubbia interpretazione o che rendono difficile dimostrare il reato.

  • Verificabile trauma psichico“: come si verificherebbe tale trauma?
  • Mediante più condotte“: se il reato è commesso tramite una sola condotta cosa succederebbe?
  • Un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona“: quali sono i parametri per valutarlo?
  • Abuso di poteri” e “violazione dei doveri“: sarà necessario dimostrare anche che ci sono state queste condizioni, nel caso di pubblico ufficiale coinvolto.

Perfino Luigi Manconi,  il promotore della legge si è dissociato da tale testo approvato snaturando l’originale disegno, in quanto ritiene indefinibile la linea sotto la quale i reato non scatta: minacce e violenze, infatti, devono essere «reiterate» e produrre «acute sofferenze e un danno verificabile» . Notevole la posizione del Pd con Anna Finocchiaro che ha dichiarato:  «L’Italia ha finalmente colmato una grave mancanza nel proprio ordinamento… Davanti ad alcune autorevoli critiche, voglio sottolineare la cura e l’impegno con cui il Parlamento ha lavorato raggiungendo un’ampia intesa sul testo migliore possibile».

Domandiamoci che Stato è quello che permette tali violenze abiette, offensive della dignità e dell’incolumità della persona, oltre che delle pubbliche istituzioni, alimentate soprattutto dalla loro impunità, a sua volta conseguente dalla loro più o meno tacita legittimazione politica e culturale. Dopo svariate condanne della Corte Europea, è stata approvata una legge che ha come unico scopo quello di aggirare la questione del reato, e mantenere ancora più saldamente il potere di controllo e della violenza di stato come nei più illiberali ordinamenti, a pensar male si potrebbe sospettare che in virtù di probabili disordini dovuti al malessere sociale lo Stato non abbia altri mezzi che quello di reprimere il dissenso attraverso metodi impositivi e ne stiamo già assaggiando l’antipasto.

È evidente che in Italia viene a mancare questa garanzia del diritto, in quanto si applicano ai casi di vera e propria tortura, figure di reato del tutto sproporzionate alla loro gravità, come il generico “abuso di autorità” previsto dall’art. 608 del codice penale, o le comuni percosse e lesioni personali che sono punibili se lievi, a querela di parte, in contraddizione con l’indisponibilità dei diritti e la natura pubblica degli interessi lesi. Siamo di fronte ad una inaccettabile lacuna, non solo su un piano teorico, quale violazione della garanzia positiva dell’obbligo di punire come delitto la tortura, in Italia, contemplata dall’ art. 13 comma 4 della Costituzione, in base al quale si afferma che “punita ogni violenza fisica e morale sulle persone sottoposte a restrizioni di libertà” .
Da sottolineare che in poche materie come questa è peculiare la stigmatizzazione penale che ha un esplicito valore preformativo del senso comune e della deontologia professionale delle forze di polizia. Ha il valore di rimuovere eventualmente la cattiva coscienza del legislatore, dei giudici, e non meno della pubblica opinione non disposi a riconoscerla, riconoscere l’orrore e sollecitarne il rifiuto come vergogna indegna di uno stato di diritto, di un paese che abbia la pretesa di definirsi civile e democratico che contempli la sacralità e la inviolabilità del corpo e della psiche di una persona privata della libertà personale, alla quale non dovrebbero mai venire a mancare queste garanzie, chiunque l’abbia in custodia.

 

 

 

 

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