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La memoria tra antisemitismo e negazionismo, uno sguardo alla storia

gennaio 27, 2017 • Articoli, L'eco della memoria, z in evidenza

RABBINO GRANDE

 

 

 

di Loredana Biffo –

L’ostilità nei confronti degli ebrei, è una questione tanto antica quanto attuale, nel ricordare il giorno della memoria un aspetto da non trascurare è il rischio di “routinizzazione della celebrazione” che conduce inevitabilmente ad una visione apatica – se non addirittura retorica, della questione dell’olocausto, che come ben sappiamo, ha coinvolto un numero spaventoso di ebrei, pur essendo vittime delle persecuzioni e sterminio anche altre categorie di genere come disabili, malati psichici, omosessuali e Rom. Quello che è però importante, è non perdere di vista gli aspetti storici e sociali, nonchè politici che nella seconda guerra mondiale hanno determinato le persecuzioni legate all’antisemitismo e conseguente sterminio di milioni di persone in base ad una visione razziale.

Una tradizionale ostilità nei confronti degli ebrei, si è basata storicamente su una visione religiosa. Posizione che perdurò nel periodo della Riforma, per giungere fino all’epoca moderna. La storia ci dice però che vi furono condizioni di cambiamenti sociali, economici e soprattutto politici che si svilupparono e determinarono un vero e proprio odio razziale.  Sin pensi che l’Austria asburgica contemplava un antisemitismo pervasivo durante tutto il XIX secolo, era l’epoca in cui il capitalismo veniva identificato con l’ebreo e l’odio antiebraico, questo ebbe una spinta fortissima in conseguenza ad una visione antimodernista che voleva contrastare il capitalismo. E’ ragionevole a tal proposito sostenere l’esistenza di una correlazione tra la visione delle sinistre e l’avvallo nei confronti della visione islamica rispetto al fenomeno del capitalismo in chiave antimodernista, cosa che fonda le radici proprio in quel contesto storico sociale per arrivare fino alla modernità.

Anche e il partito cristiano-sociale si schierava a sostegno del nazionalismo austriaco sostenendo la bontà del mondo pre-industriale, e della classe contadina che era identificata con il Volk, ovvero il popolo . Lo stile di vita dell’era industriale era invece considerato conseguenza diretta della nociva influenza ebraica. E’ evidente come in tale contesto la modernità del nuovo periodo industriale era vista in netto contrasto con quei valori e modelli di vita rurale.

Fu così che ebbe inizio il manifestarsi di forti sentimenti antisemiti in molti partiti politici: i movimenti pangermanici, i nazionalisti slavi e i cristiani socialisti che avevano nelle loro fila personaggi di spicco come Georg Ritter von Schonerer e Karl Lueger che erano adepti dei valori tradizionali contro i principi liberali di coloro che venivano considerati i distruttori della civiltà europea.

Già nel medioevo gli ebrei erano stati espulsi e i mercanti itineranti erano stati pesantemente limitati nelle attività e nei movimenti a partire dall’inizio del XVIII secolo. Successivamente dopo l’annessione di molti territori polacchi e lituani, circa un milione di ebrei furono assoggettati al governo russo e confinati in un recinto di residenza con conseguente diffamazione da parte della antisemitica Chiesa ortodossa.

Gli anni che seguirono alle rivoluzioni del 1848, i tradizionalisti ritenevano gli ebrei responsabili degli avvenimenti che sconvolsero l’Europa e paventavano il ritorno a vecchi modelli di vita sociale, ritenendo il liberalismo come il solo responsabile del disfacimento sociale e dando loro la responsabilità di queste mutazioni  che secondo questa visione erano la causa prima di mancanza di disciplina e pace.  Poichè gli ebrei pur vivendo in condizioni di prosperità economica erano interdetti tramite barriere di matrice sociale e politica dall’accesso a impieghi nella pubblica amministrazione, nell’insegnamento, nella magistratura e nell’esercito, riuscirono ad avere via d’uscita solo in professioni riguardanti la finanza, l’editoria, la vendita al dettaglio e nel giornalismo.

I cristiani più conservatori, dichiaravano la necessità di un ritorno ai “valori tradizionali” del popolo, posero la questione dell’opposizione agli ebrei come la conditio sine qua non per la ricostruzione del sociale corrotto dal capitalismo. Sempre con quella convinzione endemica che gli ebrei contaminavano tutti gli aspetti del sociale prendendo il sopravvento su questioni della vita economica e culturale tedesca.

Il termine “antisemitismo” nacque dalle tesi di Wilhem Marr fondatore e cristallizzatore di un processo che si fortificò nel tempo; suo il testo Der Sieg del Judentums uber das Germanentum fece incassi strabilianti in Germania e non solo. Uno scritto in cui l’autore sosteneva polemicamente che la vittoria ebraica sulla società europea permeava tutti gli aspetti della contemporaneità, e che i tedeschi sarebbero stati giudaizzati non tramite l’esercito ma attraverso il ferreo spirito ebraico che contaminava ogni aspetto della vita della comunità tedesca.  Egli sosteneva inoltre che le sue non erano accuse impregnate di “medioevalità” – come alcuni sostenevano – bensì che la determinante dell’ebraicità era dovuta alle “origini razziali”, andando quindi ben oltre la sfera religiosa, si apriva la strada al ben più nefasto concetto di “inferiorità razziale” che condusse alle discriminazioni dalla vita sociale e lavori quali l’insegnamento, gli ambiti giudiziari e altre cariche civili.

Su queste basi, molti politici come per esempio il Cancelliere imperiale della Corona Otto von Bismark approfittarono dell’afflato antisemita per i propri scopi politici. Adolf Stoecker che era un cappellano di corte dell’imperatore tedesco aderì anche lui al movimento per scopi politici e fondò nel 1878 il partito cristiano-sociale che vide molti consensi tra i ceti medi e medio-bassi, perchè faceva leva sulla problematica del disagio economico. Il liet movit era che gli ebrei erano capitalisti ergo materialisti e nemici dello Stato, e che pur dichiarandosi non antisemita, giustificava come meritate le persecuzioni e il disprezzo nei loro confronti.

Eugen Duhring, filosofo ed economista, scrisse il libro: “La questione ebraica come questione razziale e il suo carattere nocivo per l’esistenza dei popoli, la morale e la civiltà“, in cui sosteneva che “gli ebrei non avevano diritto ad esistere”.

Heinrich Treitschke invece li considerava causa primaria di ogni sventura e diceva che i figli dei loro figli avrebbero nel tempo governato le Borse e diretto le testate giornalistiche tedesche.  Fu in questo clima che si costruì il terreno fertile dell’antisemitismo e la decisione di risolvere il problema attraverso una “soluzione definitiva” alla questione ebraica divenne imperativa. Sappiamo tutti in cosa sia sfociata la soluzione definitiva durante la seconda guerra mondiale, e come ancora oggi serpeggi uno strisciante avvallamento dell’idea di una questione ebraica con relative tesi che ne sostengono l’auspicio alla distruzione di Israele.

Nel 1893 i partiti antisemiti si aggiudicarono 16 dei 400 seggi disponibili nel Reichstag e divennero portavoce dell’antiebraismo emergente. Richiamarono un numero impressionante di seguaci in particolare nelle zone rurali e città minori, nacquero così alcuni gruppi di pressione extra-parlamentare come la Lega Agraria basata sulla rappresentanza della nobiltà decaduta, che aspirava alla salvaguardia della purezza storica della razza tedesca, e che diede seguito al concetto di razza ariana contraria  alla contaminazione dell’ebreo.

 

 

 

 

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