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I “padri destituenti”

luglio 13, 2016 • Articoli, z editoriale

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di Loredana Biffo –

La storia costituzionale italiana è corredata da vari tentativi di ostruzionismo e caratterizzata da un “lato oscuro”, dove solo in un – tutto sommato breve – periodo la costituzione è stata vista come l’unica salvezza rispetto all’eversione e alla pervasività dei poteri criminali che hanno caratterizzato e continuano a caratterizzare la storia del paese.

Il tentativo in atto oggi è quello di far venir meno quello che si dice il “consenso costituente” su quei principi che sono stati funzionali a scongiurare guerre civili poiché regolatori di una politica che deve essere orientata ad un modello di società il più equilibrato possibile.
Oggi invece la società italiana è attraversata da spaccature profonde, in una logica del “tutti contro tutti”.

La politica è caratterizzata da una violenza verbale significativa nell’ambito della competizione che da vent’anni a questa parte è ormai consuetudine.

Si è passati dalla forma del costituzionalismo pluralistico tipico del secondo dopoguerra ad una “deforma” che imbeccando il presupposto schmittiano della permanente latenza dello stato d’eccezione (opportunamente creato), adducendo ad una inadeguatezza della Costituzione (si veda tutta la questione dello stato di emergenza dichiarato per esempio in Francia in seguito agli attentati terroristici) che è perfettamente funzionale a transitare dall’eccezione alla norma.

In realtà è evidente che ci troviamo difronte ad un potere che non ha più quella connotazione popolar-politica che aveva dato forma alla nostra carta costituzionale – tra le più avanzate al mondo – ma ad un potere oligarchico-economico al quale la politica non pare in grado di resistere e che sta destrutturando l’assetto democratico per piegarlo alle dinamiche finanziarie ed economiche operanti su scala mondiale, e che sovrastando il potere degli stati volgono ad instaurare una post-democrazia.

Questo diventerà la costituzione effettiva che regolerà ogni democrazia, o meglio,le post-democrazie; in una sorta di “democratura”, ovvero il governo di un solo soggetto politico compiacente dei poteri forti e costitutiva delle ferree leggi dell’ipercapitalismo transnazionale che mira a far apparire le costituzioni democratiche come delle menzogne, o peggio, degli orpelli vetusti per giustificarne lo smantellamento.

È bene ricordare che per quel che concerne la definizione di Costituzione in senso “formale” non ci si può esimere dal chiedersi a che cosa servono le costituzioni.
Se per costituzione intendiamo l’insieme delle regole costitutive che determinano la razionalità politica, economica, pluralistica, militare e garantista, dobbiamo altresì considerare l’importanza delle “regole limitative” atte a garantire l’impedimento di un autodistruzione del sistema e i conseguenti danni in ambito sociale, umano e naturale. Il tratto fondamentale della costituzione è per inciso il secondo, ovvero, non preservare il politico inteso come gruppo nel suo tempo attuale e futuro, bensì il sociale. Questa è la funzione peculiare del costituzionalismo moderno, e in questo senso la Costituzione italiana è estremamente avanzata nel garantire il sociale, inteso nella sua connotazione più importante: i “diritti fondamentali”; il lavoro, l’economia, l’uguaglianza ecc. . In primis la limitazione del potere.

La costituzione è dunque l’insieme dei divieti posti nei confronti di sviluppi potenziali dell’ordinamento che possono essere autodistruttivi e di cui la politica sembra non rendersi cono, o peggio, se ne rende conto e li fomenta per i propri fini.
Possiamo ragionevolmente sostenere che la Costituzione contiene tutte le garanzie necessarie (che i padri costituenti avevano opportunamente previsto) proprio grazie al principio di “rigidità” che realizza pienamente il senso “funzionale”.
Vi è una stretta connessione tra la legittimazione (sociologica) della Costituzione, e quella legale-razionale (giuridica) formale; perché è stata concepita in un contesto conflittuale nell’immediato dopoguerra, ha ampiamente previsto la spaccatura e conflittualità della società contemporanea, queste sono linee che ci derivano dal positivismo giuridico che in una visione del mondo in cui non esiste (ed è prferibile che non esista) una visione comune, la tutela deriva proprio dalla Costituzione. E’ pertanto lo Stato che si sottopone alla Costituzione non essendo –  grazie a questa –  monopolista nella produzione del diritto. Tutti i soggetti deputati a produrre le regole che vengono utilizzate nel vivere sociale, sono riconducibili alla costituzione, la quale dà un potere a determinati soggetti, e attribuisce alla legge del Parlamento la possibilità di creare altri soggetti produttori di diritto.

Poichè la combinazione tra il principio democratico e il principio autonomistico, fa si che si mantenga un equilibrio e che le regole prodotte dallo Stato apparato (ente esponenziale di tutto il popolo – in senso positivo e negativo) disciplinano gli interessi “generali”, mentre le regole prodotte dalle organizzazioni disciplinano gli interessi propri delle singole formazioni sociali.

Se e quando, si dovesse intervenire sulla Costituzione,  dovrà, restando in un quadro “democratico”, essere fatto appunto da figure esterne al parlamento, e altamente specializzate in materia costituzionale. Viceversa, sarebbe un’appropriazione indebita di potere e responsabilità da parte della politica, che è ovviamente influenzabile da altri poteri. Ognuno si immagini le conseguenze politiche, giuridiche e sociali di una simile pericolosissima deriva per il nostro paese.

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One Response to I “padri destituenti”

  1. Carmine Gonnella ha detto:

    Le riforme sono incostituzionali perche’ cambiano la forma repubblicana (art. Cost. 139)

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