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“Lo Travail Non Merci”. La contestazione sociale in Francia

giugno 1, 2016 • Articoli, Lavoro, z in evidenza

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di Loredana Biffo

Non accenna a diminuire la contestazione in Francia sulla questione “lo travail et son monde”. Dopo il settore dei carburanti anche quello dei trasporti vede la prospettiva di giorni di fibrillazione riconducibile a rivendicazioni interne di opposizione alla riforma del lavoro che dovrebbe essere discussa il 14 giugno e che fa inasprire il conflitto.

Il governo socialista di Manuel Valls ha imposto la riforma inerente il mercato del lavoro ricorrendo all’articolo 49-3 della Costituzione che permette di scavalcare il Parlamento, una riforma coatta che ha ulteriormente infiammato gli animi di un popolo dei lavoratori, l’ unico in Europa ad aver ben compreso cosa significhi la riforma, che del resto è avvenuta senza grandi reazioni nel nostro paese e in Spagna.
Ma l’atteggiamento duro di Valls in realtà è una difesa su un terreno scivoloso in cui si trova dopo la ritirata in merito alla questione sulla revoca della nazionalità e l’ammorbidimento sulla riforma “El Khomri”, è chiaro che il ritiro della legge sul mercato del lavoro che i manifestanti contestano sarebbe per lui una perdita di credibilità dell’esecutivo che sta dimostrando tutte le sue magagne.

Dal canto suo il ministro dell’istruzione Najat Vallaud-Belkcacem non se la passa meglio con la credibilità, visto che dichiara l’ineluttabile necessità della famigerata riforma e nega la popolarità in discesa di Hollande, scaricando sui sindacati (che fanno il loro mestiere) la responsabilità delle proteste che ovviamente lei delegittima in difesa assoluta di Hollande, sovrapponendo strumentalmente la questione del terrorismo alle responsabilità di chi manifesta per il lavoro; approfittando quindi delle misure repressive messe in atto grazie allo “stato di emergenza” legato alla questione dei recenti attacchi terroristici, e dichiarando che loro cercano solamente di proteggere i cittadini.

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Ma a quanto pare il conflitto è destinato ad inasprirsi viste le posizioni del governo che naturalmente fa un uso massiccio di polizia e relative violenze sui manifestanti.
Giovedi scorso si è avuta l’ottava giornata di mobilitazione nazionale, con manifestazioni che vedevano coinvolte centinaia di migliaia di persone in tutta la Francia, con un aumento di partecipazione notevole nonostante la dura repressione delle forze dell’ordine. Mobilitazione che ha visto il blocco delle raffinerie del paese e i più importanti snodi portuali.
Successivamente il ministro dell’economia e il presidente della repubblica hanno dato versioni contrastanti sulla possibilità di modificare l’articolo 2 della legge, ovvero la parte che permette ai contratti di lavoro a livello aziendale di derogare ai contratti collettivi nazionali, sulla base dell’ideologia della riforma, cioè la “necessità” dell’adeguamento al contesto di competizione infra-UE e globale.

E’ da sottolineare l’evidente difficoltà del governo in un contesto tanto conflittuale, così come la giaculatoria sulla necessità di precarizzare sempre di più per risolvere il problema della disoccupazione (come se questa fosse comandata da un’entità divina anziché dal capitalismo selvaggio) non riescono a cogliere il disagio sociale e ancor meno ottenere un consenso intorno ad una pessima riforma alla quale sono contrari – secondo i sondaggi – almeno il 70% dei francesi, che secondo il governo sarebbero tutti “antidemocratici”.

Purtroppo per loro, il tentativo di delegittimare i manifestanti e creare capri espiatori per indurre a generare riprovazione verso le azioni più efferate non ha funzionato, e la gente continua a manifestare; la maggior parte di loro sono persone che non vengono da militanza politica e agiscono in modo spontaneo nella difesa dei loro diritti che altrove hanno smantellato senza difficoltà e nel silenzio totale, silenzio che equivale ad assenso.
Del resto non può non essere considerato il fatto che i membri dell’esecutivo e del commissario UE francese Moscovici la “loi travail” ha lo scopo di realizzare i “valori” e le direttive dell’Unione Europea in tema di lavoro – così è stato per il gemello job acts in Italia – che sono implicite nelle più aspre logiche di finanziarizzazione della politica e alla mercificazione ortodossa del lavoro.

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Questo è indubbiamente un fatto che fa emergere le contraddizioni di un modello di Europa che fa acqua da tutte le parti, dove lo scontro in atto è presentato dome un combattimento e non come una contrapposizione di due modi opposti di pensare il lavoro. Mai che si parli in ambito europeo della quantità enorme di disoccupazione creata dai processi di digitalizzazione e informatizzazione, dove nessuna progettualità sul lavoro ha considerato minimamente le evoluzioni legate alla globalizzazione informatica, l’automazione e la commutazione; fattori che hanno portato addirittura a nuove forme di “lavoro non salariato”.

Il colossale “cahier de dòleances” che imperversa nelle piazze francesi gremite di manifestanti, è  un irrinunciabile atto di difesa da un capitalismo selvaggio e una politica asservita alle logiche del profitto. E’ esattamente la differenza tra le lobby che difendono gli interessi di categoria e i movimenti sociali che si tenta di reprimere con la violenza di Stato, che riportano alla ribalta gli attori concreti del disagio sociale e le loro vite.

Il movimento sociale degli you tuber sta facendo emergere il malcontento contro la riforma del lavoro; ricordiamo che si tratta di una generazione che vive una condizione per la quale il lavoro viene propinato come un magma in cui nulla è prevedibile e la perdita di un posto di lavoro dovrebbe essere considerata come un’opportunità di crescita. E’ una follia anche solo considerare una cosa del genere, e non si tratta di avere nostalgia per un’epoca fordista, perché questa è una generazione che ha conosciuto solo forme di lavoro a tempo determinato.
Un mondo del lavoro dove quello che regna non è tanto la flessibilità in entrata e in uscita, quanto la rigidità ferrea dell’orario, il controllo assiduo nel tempo, si pensi alle forme di lavoro a chiamata, vaucher, assegnazione di turni di notte, ore straordinarie non retribuite.

Questa contestazione è la narrazione della disperazione di un mondo del lavoro frantumato con una sagacia e una premeditazione politico-finanziaria iniziata più di vent’anni fa, una giungla dove dominano il profitto e la finanza in modo assoluto; dove la vita delle persone è stata infilata in vicoli ciechi della disoccupazione alternata a giornate nei Centri per l’impiego che vanificano ogni speranza di progettualità, tagliano energie, il tunnel senza uscita degli stage, contratti a tempo determinato e lavoro interinale. Queste sono condizioni di sottomissione al precariato , l’unica cosa a “tempo indeterminato” che sono riusciti a creare con le riforme del lavoro in Europa.

Il sociologo Alain Touraine, uno dei massimi esperti di “movimenti”, ha giustamente sottolineato che questa riforma era destinata a seminare malcontento, e che non deve passare; egli vede in questa contestazione la frattura della Francia con la classe politica, in particolare con quella di sinistra che oltre a non dare risposte, pratica politiche che sono di destra e non valutano l’impatto della crisi su un’economia sempre più iindebolita. Egli non crede dall’alto dei suoi 90 anni, che si possa fare a meno di considerare importante per la democrazia quanto sta avvenendo. Ritiene necessario che la classe politica debba essere in grado di dare un modello che sia in prospettiva di lungo termine e pensare ad un nuovo soggetto politico e umano, e che prenda atto di non poter approvare una riforma che non è sopportabile per milioni di persone.

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