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La subordinazione occidentale al velo islamico e non solo

aprile 4, 2016 • Articoli, Cultura e Società, z in evidenza

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di Loredana Biffo

In seguito all’accordo sul nucleare e la messa al bando delle sanzioni contro la Repubblica islamica dell’Iran, il 17 aprile la compagnia aerea francese Air France ripristinerà il collegamento aereo Parigi-Theran che era stato chiuso otto anni fa.
La vicenda non poteva non presentarsi controversa visto che si ha a che fare con la questione del velo che le hostess europee dovrebbero indossare durante lo scalo a Theran e fuori dall’albergo, con un ulteriore abbigliamento composto da un vestito ampio e lungo che “nasconda le forme del corpo femminile”. Non dovranno inoltre fumare in pubblico e avrebbero camere riservate ai non fumatori. Air France sostiene che le regole iraniane sono imposte a tutte le compagnie aeree del mondo, e che «la tolleranza e il rispetto dei costumi dei Paesi che serviamo fanno parte dei valori dell’azienda» – versus i “valori” aziendali vengono prima dei diritti della persona – inoltre, le stesse regole erano in vigore fino a prima dell’interruzione del servizio, otto anni fa. Evidentemente fa parte dei “valori aziendali” anche la produzione da parte di molti marchi stilistici in merito a capi di vestiario islamici fruibili in occidente perfino sulle passerelle.

Ma la problematica tra velo islamico e la separazione tra religione e spazio pubblico, sta irrompendo prepotentemente nelle nostre società europee, e quello della Repubblica islamica  è un atteggiamento del quale non ci dovremmo sorprendere.
Che dire a tal proposito della “cessione di laicità” che sta avvenendo da parte delle istituzioni europee nei confronti della religione islamica, che si teme di “offendere” con la pretesa di veder garantite le conquiste che il periodo dei lumi ha consegnato alla modernità?

Non si tratta di far tornare l’età dei lumi. I lumi, anche se li chiamassimo a gran voce, probabilmente neppure risponderebbero.
Si tratta semplicemente di continuare ad applicare il concetto di laicità che con tanta fatica è stato conquistato. Non dimentichiamoci che abbiamo avuto l’inquisizione, la caccia alle streghe, e che fino a non molto tempo fa nel nostro meridione le donne portavano il foulard e il lutto a vita per la morte di un congiunto, per non parlare del delitto d’onore.

Ricordiamoci che nessuna religione è per sua natura “moderata”, appena una di esse conquista il monopolio della fede, mostra il suo volto dominatore e oppressivo. Anche se oggi si verifica che certe religioni si trovino a dover tollerare di vivere accanto ad un gran numero di non credenti – ed è da ciò che ne nasce la loro pacificazione –  la Chiesa stessa ha lungamente condannato la democrazia e oggi ne riconosce, bene o male, le virtù pacificatrici in tema di convivenza.

E’ altresì preoccupante che la Francia, una nazione che ha affermato una potente tradizione dei lumi e del pensiero razionalista, senza il quale quel compromesso ragionevole e pacificatore che si chiama laicità non esisterebbe, si stia piegando all’islamizzazione progressiva della società, così come giustamente denunciano alcuni intellettuali – pochi a dire il vero –  come Michel Onfray e Houllebecò  che puntualmente vengono stigmatizzati di islamofobia.

Non che a casa nostra tiri un vento migliore, giusto di questi giorni è la proposta in Consiglio regionale piemontese di stanziare fondi per la costruzione di palestre pubbliche per “sole donne”. Inoltre alcuni mesi fa il Sindaco ha offerto una sala di preghiera per i mussulmani che durante il ramadam partecipavano in Comune ad un convegno sull’economia, per consentirgli di appartarsi a pregare, cosa che ovviamente è stata prontamente strumentalizzata dalla lega in Comune che ha fatto un gran baccano. Altresì è successo che sempre il Sindaco di Torino ha fatto allestire all’interno del Campus universitario una sala di preghiera per gli stessi motivi.

Chiaramente tutto questo avviene in nome di una presunta “integrazione”,  chi è contrario passa automaticamente per islamofobo, di conseguenza tutti tacciono, rendendosi così complici di una progressiva islamizzazione delle nostre società.
Sarebbe necessario fare chiarezza sul fatto che l’integrazione non può essere fatta attraverso lo smantellamento dei diritti delle donne, la sinistra dovrebbe decidere se questi valgono solo alla bisogna, o se sono diritti fondamentali conquistati una volta per tutte, e se siamo disposti a cederli in virtù dell’integrazione.

Dopo il ventesimo secolo, il pensiero razionalista dovrebbe essere chiaro a tutti. Quanto ci sarebbe bisogno oggi di un Voltaire. O qualcuno che come lui sapesse ridere dei terribili abbagli dei monoteismi, e nell’attualità di quelli sulla questione islamica.

Eppure la nozione di laicità è questione assai semplice – si basa sulla separazione tra spazio pubblico e privato – in un Paese che si voglia definire democratico, non si può prescindere da tale aspetto. E certo a pensar male viene il dubbio che la sinistra stia derogando il principio democratico ad una visione islamico/comunista che la rende accecata e incapace di discernere, oltre che rendere un pessimo servizio all’emancipazione femminile, che ancora tanta strada ha da percorrere e che invece si contribuisce a far tornare indietro ignorando proprio il principio di separazione tra pubblico e privato in materia religiosa.

Dovrebbe essere del tutto evidente che solo la laicità può proteggere le religioni (anche se queste non riescono a comprenderlo, gli islamici se ne dicono offesi).  Sarà solo il rispetto di uno spazio del tutto neutro di una democrazia laicamente garante che farà nascere qualsivoglia equilibrio in una situazione di grave tensione culturale come quella attuale.

Non dimentichiamo che in tale contesto conflittuale, la questione del velo che si vuol far apparire come marginale o ridotta a semplice “rispetto delle culture altre”, non è affatto quello che era tradizione di molti paesi orientali e africani, che variava a seconda dei luoghi e delle etnie e che non era obbligatorio; inoltre nei paesi musulmani non esisteva affatto.
Il chador, è nato con la rivoluzione (tanto cara alla sinistra europea) degli ayatollah in Iran, si è diffuso al tempo della guerra del Golfo e dopo l’attentato alle torri di New York. Incoraggiato dai propagandisti islamici questo velo serve a sondare fino dove ci si possa spingere in un paese laico. Ed è di fatto una “divisa politico-religiosa” prescritta alle donne come valore dell’ideologia integralista islamica. Perchè il dominio politico passa sempre attraverso il corpo femminile e la sua svalutazione/segregazione.

Come scriveva l’antropologa Camille Lacoste Dujardin in “Liberation” il gennaio 2004:

“Nei paesi europei il velo islamico ha il fine di distinguere le donne che aderiscono ai movimenti comunitari islamisti, operando una frattura tra le donne, creando difficoltà e rimorsi alle giovani musulmane non sottomesse, manifestando un’ubbidienza prioritaria a precetti politico-religiosi che possono andare fino al rifiuto degli obblighi legali. Nella scuola, il velo è il primo passo prima del rifiuto di seguire lezioni di ginnastica, di musica, di anatomia. Negli ospedali, del rifiuto da parte di pazienti musulmane di essere curate da un medico maschio; da parte di infermiere, di curare pazienti maschi ecc”.

Poichè i crimini contro le donne nei paesi islamici sono noti, in particolare in Iran e in Arabia Saudita, la cancellazione fisica avuta sotto i talebani con il burqua, le lapidazioni da parte degli ayatollah, così come in Africa e altrove; aggressioni con l’acido in Bangladesh, Boko Aram che trucida anche le adolescenti, ecc.

E’ necessario chiedersi perché le femministe occidentali, le donne in generale non abbiano un moto rivoluzionario di ribellione nei confronti di questo nuovo potere maschile che riporta velocemente indietro le conquiste degli ultimi anni; non ci si rende conto che il velo è un’immagine violenta e arcaica di subordinazione femminile.

Wassyla Tamzali, avvocatessa di Algeri, ex direttrice del settore Diritto delle donne all’Unesco, ha scritto in Libèration il 14 gennaio 2004:
è giunto il momento di “torcere il collo “al relativismo culturale che fiorisce stranamente fin nei ranghi della sinistra intellettuale.

Si potrebbe aggiungere che il relativismo da preziosa conquista della modernità, si sta traducendo in un opportunistico “compromesso del quieto vivere”, ma questo ricorda certi modi “antropologici” di convivere con la Mafia.
Non dimentichiamo che c’è un limite invalicabile al relativismo, ed è “l’habeas corpus” – il diritto uguale per donne e uomini alla libertà personale nonchè all’inviolabilità del corpo.
Il momento è grave, urge una nuova Dichiarazione dei diritti” dell’uomo – e della donna – per i secoli a venire, che si dica chiaramente che non si può subordinare le donne, hostess, ministre o quant’altro ad abbigliarsi secondo precetti dettati dagli uomini; e che l’integrazione non ha niente a che vedere con tali pratiche inaccettabili.

Forse le donne occidentali, dovrebbero svegliarsi dal preoccupante letargo che le affligge, perché non è detto che i diritti siano stati conquistati per sempre, oltretutto questo sarebbe un messaggio di sostegno alle tante donne musulmane che anelano al cambiamento ma sono sopraffatte da leggi misogine che impediscono loro di autodeterminarsi, e che non ci rifilino  la giaculatoria – i sostenitori appassionati dell’oscurantismo – che quella del velo è una libera scelta delle donne musulmane.
I costrutti sociali non sono una libera scelta, bensì determinismi di chi detiene il potere, atti a far accettare ai sottoposti le proprie visioni della realtà. Realtà che possono essere cambiate solo nella piena libertà di autodeterminazione. Ma forse è proprio quello che le società imperniate di maschilismo e misoginia temono.

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