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Il guscio vuoto dell’antipolitica

ottobre 29, 2015 • Articoli, Politica, z in evidenza

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di Loredana Biffo

Alexis DeTocqueville, nella sua definizione della modernità, nel suo studio La Dèmocratie en Amerique, ha indubbiamente percorso molti temi che sono ancora attuali, e certamente il paradigma tra la sua definizione di “grigio uomo comune” e la civiltà di massa con il suo conformismo, capace di imporre i suoi rozzi metodi e i suoi sentimenti edonistici; c’è e una stringente necessità di mettere il focus sul controverso rapporto che l’Italia ha sempre avuto con il fascismo in primis, e le varie forme di populismo, è un’operazione complessa ma necessaria.

La schizofrenica situazione politica italiana, è sotto gli occhi di tutti. Mai fuoriuscita dalla torsione antidemocratica e fortemente populista imposta dal ventennio berlusconiano, accompagnato dal populismo fascistoide e razzista della Lega, ha portato a galla la matrice gretta e falsamente rivoluzionaria della storia degli italiani, le inclinazioni e i sentimenti populisti: “la pancia che gorgheggia”.

Tutto questo è sfociato nell’attuale situazione politica, dove la Lega, reduce dalle sue trasformazioni ed epurazioni di leader ormai intaccati da vicende giudiziarie poco edificanti, è ora saldamente nelle mani di Salvini, nuovo leader che cavalca la sempre “verde voglia” di populismo dei suoi adepti.

Il Partito democratico, una “creatura mai nata”, che è sfociata nella leadership di un “non eletto”, chiaramente portatore di una stantia e nauseabonda cultura legata alla vecchia Democrazia Cristiana, in salsa modernista. Politicamente incapace di dare risposte – che vadano al di là dei proclami iperattivi di un leader che non tollera il confronto al suo interno con quel residuo ormai sfatto di “sinistra”, che altresì non sa dare risposte e trovare soluzioni che non siano propagandistiche ai bisogni urgenti del paese, quali la corruzione – cancro atavico della nostra storia politico sociale – le insopportabili inefficienze e costi della politica, l’economia moribonda, il lavoro che con il job acts, che che se ne dica, ha destabilizzato definitivamente quel poco di stabile che c’era e reso omaggio alle politiche liberiste di un’Europa esclusivamente finanziaria che aveva bisogno di governanti sudditi.

In ultimo, il movimento 5 stelle che non è affatto un movimento, ma una formazione politica vera e propria che siede in parlamento, e si dice portatore degli interessi del popolo, di voler “disinfestare” il paese dai brutti e cattivi che siedono in Parlamento e rivoltare con la loro onestà e irreprensibilità la drammatica e lenta agonia in cui questo paese versa dall’ascesa del fascismo, passando per la seconda guerra mondiale, l’austeritiy degli anni 70, tangentopoli e Berlusconi, fino ai giorni nostri.

Ovviamente loro saranno immuni “all’eterogenesi dei fini”, perché essendo “il popolo”, non potranno sbagliare e saranno portatori di innovazione e benessere. Su come poi anche all’interno di questo “movimento” venga gestita la questione della “democrazia interna ai partiti” – perché di partito si tratta, diciamolo – resta un mistero. Dobbiamo a tal proposito accontentarci di osservare la loro genesi: Grillo ha dato inizio alla sua carriera politica basandosi sull’insulto degli avversari (affiancato dall’eminenza grigia Casaleggio) e chiunque lo contraddica. Stando a quanto si sta verificando, pare che i suoi seguaci non siano da meno. E’ impressionante il conformismo di massa, la ferocia degli attacchi e insulti a chiunque osi contestarli, dai social, alle trasmissioni televisive e via dicendo, un atteggiamento da perfetto squadrismo.

In un contesto di questo tipo, è assolutamente necessario togliere dalla “soffitta polverosa” qualche concetto appartenente alla scienza politica – non a caso in Italia è sempre stata bistrattata – e della sociologia della conoscenza, perché a dispetto di quei detrattori della cultura, è proprio per l’analfabetismo funzionale in cui versa la classe politica (espressione del popolo stesso) che ci troviamo nel guado. Senza riscoprire le categorie quali, formazione della classe dirigente, cultura, alfabetizzazione storica e politica degli elettori, non ci si può illudere di uscirne. La prognosi è grave.

Dietro la parola populismo vengono normalmente edulcorate cose che politicamente sono molto più pericolose di quanto tale espressione non lasci immaginare. Non esiste un populismo, ne esistono tanti, potremmo dire che oggi il populismo è identificato con la cattiva politica.

La parola populismo, ha una genealogia sterminata che non riguarda solo la politica, si tratta infatti di un fenomeno letterario importantissimo, Asor Rosa in “Scrittori e popolo” tacciava la letteratura italiana di una vena populista. E di essere prevalentemente populista, con l’unica eccezione rappresentata da Pier Paolo Pasolini.
Ma atteniamoci al populismo inteso come fatto politico, facendo un percorso il cui inizio risale a questo termine ed entra nell’uso corrente del linguaggio. Esiste inoltre un populismo snobistico, quello usato contro il popolo (che è quello di cui i grillini accusano i seguaci del Pd) e uno usato contro la democrazia, al quale non si dovrebbe concedere questo appellativo, ma andrebbe definito semplicemente come “antipolitica” perché è democraticamente assai rischioso.

In Italia negli ultimi 20 anni, il populismo è divenuto la “patologia della politica rappresentativa”. Il fascismo evocava spesso la sua estrazione popolare, ma in realtà preferiva le classi medie. Ora è certamente più appropriato il termine “antipolitica”, che si contrappone allo strapotere delle oligarchie, che si appella rumorosamente al popolo, e costituisce il vero pericolo per la democrazia. Il rischio, o meglio – il dato di fatto – è che sia sottostimata la problematica compatibilità con la democrazia per l’intolleranza che l’antipolitica dimostra nei confronti di qualsiasi forma di diversità. Il messaggio è: siamo populisti e quindi siamo popolari.

Certo ci si dovrebbe interrogare su quelle forze politiche che un tempo si dichiaravano di sinistra e interpretavano il malessere dei ceti popolari, li rappresentavano, gli fornivano un discorso politico alternativo, oggi invece si collocano dal lato della modernità, preoccupandosi di ossequiare l’alta finanza anziché i ceti in sofferenza a causa della crisi economica che non accenna affatto a migliorare.

Ma lo “stile” dei cosiddetti populisti nasconde di peggio, non è un fatto puramente stilistico, lo stile è l’apparenza.
Il fatto che si gridi, si ringhi e insulti l’avversario politico, contro chi muove critiche, la magistratura, i giornalisti e quant’altro; o che si usino epiteti offensivi verso chi dissente – soprattutto se donne – e verso gli elettori, è sgradevole, ma non è soltanto una questione di cattiva educazione, che pure c’è.

Dietro a questo c’è lo spregio nei confronti della democrazia, costoro apparentemente la rispettano, ma in realtà la snaturano. La trappola è una sorta di fondamentalismo democratico, perchè dicono, noi siamo “il vero partito del popolo, rappresentiamo il popolo”.
C’è antipolitica là dove si dice che la democrazia deve decidere, basta con le mediazioni. C’è antipolitica dovunque si esalti la leadership personale, competenza dei tecnici; ma c’è antipolitica anche dove si dice che chiunque può governare, anche solo con la terza media, che la cultura, la formazione non servono, anzi sono dannose.

A tal proposito è utile ricordare una citazione di George Orwell, il quale disse che “se il fascismo fosse tornato, non avrebbe indossato la camicia nera, ma la giacca di tweed”.

Questi personaggi vanno riconosciuti per quello che sono, non chiamiamoli populisti, assumiamoci le nostre responsabilità, non sottovalutiamo il pericolo, perché abbiamo già contribuito alla nascita di mostri.
Certo è che la più grande responsabilità è delle forze politiche fatiscenti, ma anche dei cittadini che trattano la democrazia come un vecchio orpello. Bisogna riflettere sul significato del linguaggio usato, dietro al quale ci sono cose, fatti, e persone. C’è quindi una radice non solo lessicale e semantica, ma una radice di contenuto su cui è urgente lavorare.

La domanda che ci si dovrebbe porre, è come mai non si ha una percezione negativa di tali fenomeni, questo è dovuto alla loro vicinanza ai principi democratici legati alla rappresentanza.
L’antipolitica, è un guscio vuoto, lo si può riempire di qualsiasi cosa, ma questa ha una natura essenzialmente camaleontica, e questo comporta che assuma sempre le tonalità dell’ambiente nel quale fa la sua comparsa.

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