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Berlusconi, la Costituzione e il Comma 22 sull’art. 138

settembre 4, 2013 • Articoli, Politica

Di Gianfranco Pagliarulo

Proprio alla luce delle tensioni successive alla condanna di Berlusconi ed alle motivazioni della sentenza, conviene ancora concentrare l’attenzione sulla promessa riforma costituzionale. A prescindere dalle invasioni mediatiche, dalle accuse, dagli insulti, dalle petizioni degli affetti, dagli allarmi per la democrazia, dalle minacce di far cadere il governo, la sostanza del caso Berlusconi è stata felicemente messa a fuoco da Gianluigi Pellegrino, che argomenta sul fatto che la richiesta al Capo dello Stato di “abbuonare la pena a un conclamato evasore fiscale, plurinquisito e pluricondannato in vari gradi di giudizio, e questo perché è un leader politico al quale assicurare agibilità”, renderebbe costituzionale “il principio che fare politica garantirebbe uno statuto legale privilegiato, una minore soggezione alla legge”. “Il punto allora – conclude Pellegrino – non è come finirà una vicenda dall’esito costituzionalmente dovuto; ma quanto sia ancora tollerabile questo dare tutto per plausibile, l’abbandono di ogni fermezza morale, il ritenere tutto negoziabile”1. Difficile non condividere tale opinione, anche alla luce delle motivazioni della sentenza, ove si legge che Silvio Berlusconi fu “ideatore del meccanismo del giro dei diritti che a distanza di anni continuava a produrre effetti (illeciti) di riduzione fiscale per le aziende a lui facenti capo in vario modo”2.
Abbiamo assistito al crescendo di richieste da parte di tutto3 il gruppo dirigente del Pdl affinché Berlusconi non sconti la pena e persino al paradosso della presunzione di incostituzionalità per una legge approvata da chi ora sostiene tale presunzione, per il solo, esplicito e dichiarato motivo che la legge oggi colpisce Silvio Berlusconi. Dunque il problema è certo Berlusconi, ma è poi la natura del partito che ha creato, di tutto il gruppo dirigente che lo governa, che pretende di muoversi oltre i confini della legge e contro l’ordinamento costituzionale. Di conseguenza, il problema è anche quello degli obiettivi politici e istituzionali dell’alleanza Pd-Pdl. Letta, dopo l’accordo sull’Imu, afferma che il suo governo, a questo punto, è “senza scadenza”, dunque pensa alle cosiddette “larghe intese” ben oltre l’emergenza che ha motivato la nascita del suo governo.

Ma ciò che assume uno specifico interesse, alla luce di tutto quello che è avvenuto dopo, è il documento dal titolo “La Road Map delle riforme costituzionali”4, a cura dell’Ufficio documentazione e studi, gruppo Pd Camera dei deputati, pubblicato il 7 agosto di quest’anno (cioè pochi giorni dopo la condanna della Cassazione) e firmato da Massimo Rubechi, Docente di Diritto Costituzionale presso l’Università degli Studi di Urbino, e che lavora – si legge sul suo profilo Linkedin – presso l’Ufficio legale del Gruppo Pd alla Camera dei Deputati.

Nel documento, introducendo la storia delle Bicamerali, si afferma in premessa che “il ricorso alle Commissioni Bicamerali risponde alla logica di un approccio quanto più condiviso fra le forze parlamentari per una riforma della Costituzione”. Difficile tradurre nell’attualità questa apparentemente asettica affermazione di principio, dato che oggi un terzo dei parlamentari, meglio, l’opposizione, cioè il M5S, si è schierato contro il metodo e il merito della riforma proposta da Letta e dai due (più Monti) partiti di governo.

Elencando cronologicamente le varie proposte di riforma, nel documento si legge che nella XIV legislatura il progetto di riforma “non entrò tuttavia in vigore a seguito dell’esito negativo del referendum del 25 e 26 giugno 2006”. Si ricorderà quella grande campagna popolare, in cui si impegnò particolarmente Oscar Luigi Scalfaro, contro la riforma proposta dalla destra. Nel documento Pd l’approccio è esclusivamente notarile, come se il voto del referendum non avesse avuto alcun valore politico. Si accenna poi al ddl approvato in Senato in XVI legislatura (2012), e successivamente arenatosi. Colpisce che l’autore sottolinei che “il testo (…) prevedeva fra l’altro l’elezione diretta del Capo dello Stato”. Finalmente un po’ di chiarezza! E’ come dire: cari parlamentari del Pd, vedete che non si tratta solo di superare il bicameralismo paritario e diminuire il numero di parlamentari. Guardate il passato. C’è ben altro…

Si sostiene poi per due volte che “la riforma della legge elettorale è naturalmente legata alla forma di governo”, il che, tradotto, vuol dire: la riforma della legge elettorale dev’essere contestuale a quella della Costituzione, cosa più volte smentita da questo o quell’esponente del Pd.

Nella parte finale si giunge ad uno dei punti chiave: perché usare una procedura diversa da quella prevista dall’art. 138? “Il motivo principale è stato quello di cercare una modalità di revisione costituzionale che fosse rispettosa del principio di rigidità previsto dalla nostra Costituzione, ma al contempo non sottoponesse il processo di revisione alle storture che il nostro sistema parlamentare da tempo ha messo in evidenza. Il riferimento, in particolare, è alla struttura bicamerale perfettamente paritaria del nostro Parlamento che rischia di sottoporre anche il procedimento di revisione Costituzionale alle patologie del nostro sistema parlamentare5, con il rischio, nel passaggio da uno all’altro ramo del Parlamento, di vedere stravolti i contenuti delle riforme e dunque di vanificare anche questo, ennesimo, tentativo di riforma”.

Il ragionamento dunque è questo: secondo l’Ufficio documentazione e studi, gruppo Pd Camera dei deputati, il nostro sistema istituzionale è troppo lento e farraginoso, anzi, patologico; perciò bisogna cambiare questo sistema e perciò modificare la Costituzione. Ma per operare questo cambiamento non si vuole utilizzare la procedura costituzionale perché è soggetta proprio al sistema che si vuole cambiare. Dunque si cambi (si deroghi) la procedura costituzionale prima d’aver cambiato la Costituzione. Ed ecco che quello che pensa l’Ufficio documentazione e studi, gruppo Pd Camera dei deputati, improvvisamente, diventa un dato oggettivo, inconfutabile, al punto che in base a quel dato si manomette l’art. 138. In modo ancora più brutale ed esagerato: l’art. 138 mi prescrive come cambiare la Costituzione, ma siccome secondo me l’attuale art. 138 mi impedisce di cambiare la Costituzione a modo mio, cambio l’art. 138.

Questo modo di ragionare ricorda il paradosso (tratto da un libro che diventò poi un film) del presunto Comma 22 del regolamento degli aviatori statunitensi durante la seconda guerra: “Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo”6.
Fuori dal paradosso: si cambia (deroga) l’art. 138, al piacere della maggioranza parlamentare (eletta col Porcellum, cioè nominata: nulla su di ciò nel documento del gruppo Pd) sapendo perfettamente che tale deroga, provvisoria, inerisce alla possibilità del cambiamento permanente di gran parte della Costituzione. Ecco il testo della legge già approvato in Senato: “Art. 2 – Competenze e lavori del Comitato; 1. Il Comitato esamina i progetti di legge di revisione costituzionale degli articoli di cui ai titoli I, II, III e V della parte II della Costituzione, nonché, in materia elettorale, esclusivamente i conseguenti progetti di legge ordinaria concernenti i sistemi di elezione delle due Camere. 2. Il Comitato esamina o elabora, in relazione ai progetti di legge costituzionale di cui al comma 1, anche le modificazioni, strettamente connesse, ad altre disposizioni della Costituzione o di legge costituzionale”. Ecco come, attraverso la deroga al 138, si consente la possibilità di modificare la gran parte della Costituzione7.
Ha ragione Salvatore Settis, quando scrive che “in altri termini, per modificare la Costituzione che prevede il bicameralismo, bisogna dare per scontato (prima della modifica) che esso è una stortura, e agire in deroga, come se fosse stato già abolito”8. E, più in generale, ha ragione Maurizio Viroli, quando afferma che “1) non esiste alcuna valida ragione per procedere a una radicale modifica della nostra Carta fondamentale; 2) il rimedio ventilato – presidenzialismo o semipresidenzialismo – è peggiore del male; 3) il metodo adottato è incongruo; 4) non è questo il tempo per riformare la Costituzione”9.

La “Road Map” (ma che anglicismi brutti e pretenziosi!) del Gruppo Pd si conclude così: “Dunque, il progetto di revisione in esame non si configura affatto come l’anticamera di un progetto eversivo, bensì al contrario come uno strumento legale e costituzionalmente legittimo della cui opportunità si potrà certamente discutere, ma della cui legittimità costituzionale è difficile – se non volendo sposare impostazioni estremiste – dubitare”. Eccovi bell’e serviti, cari Rodotà, Zagrebelskj, Settis, Smuraglia, e avanti con un elenco di personalità democratiche di ogni tipo, professione, cultura e orientamento, fino a raggiungere, ad oggi, le 400mila firme, per non parlare dei tanti dello stesso Pd che dubitano, compresi, probabilmente, alcuni parlamentari: dubitate? Siete estremisti. Stupisce tanta supponenza.

Nello specifico del suo carattere di “Bignami” per parlamentari perplessi, la “Road Map” rappresenta efficacemente la deriva costituzionale dell’asse Pd-Pdl. Va da sé che per cambiare orizzonte occorre non solo cambiare tale maggioranza, ma anche cambiare passo: dalla difesa della Costituzione del 1948 alla strategia della Costituzione per cambiare l’Italia; scrive bene Rodotà: “la difesa della Costituzione non può esaurirsi nella sacrosanta denuncia delle manipolazioni delle regole di garanzia relative al suo cambiamento. Vi sono ormai le condizioni perché proprio dai suoi principi parta la ricostruzione di una politica che torni ad essere, come deve, “costituzionale” ”.10

Intanto, mentre continuano ad aumentare i giovani disoccupati in Italia e l’Europa progressista non ha formulato ancora una proposta comune alternativa alla linea di politica economica dominante, mentre si attende da un momento all’altro un attacco militare che incendierà il Medio Oriente e potrebbe incendiare il mondo, Berlusconi, condannato perché reo di una colossale truffa allo Stato, minaccia la crisi se il Pd non gli predispone un salvacondotto, in deroga a tutto.

In tutto ciò c’è qualcosa di malato, forse di terminale.

1 Da La Costituzione dimenticata, Repubblica, 29 agosto 2013

2 http://www.corriere.it/politica/13_agosto_29/motivazioni-berlusconi-processo-mediaset_cd6ef988-1097-11e3-abea-779a600e18b3.shtml Per il testo integrale della sentenza, vedi http://www.ilmessaggero.it/documenti_pdf/sentenza_berlusconi.pdf

3 Tutti i corsivi nel testo sono miei

4 http://www.deputatipd.it/Documents/Documents/14_Road_map_Riforme.pdf

5

6 http://it.wikipedia.org/wiki/Paradosso_del_Comma_22

7 Interessante a questo proposito l’articolo di Alessandro Pace “Dal potere di revisione a quello costituente”, Repubblica, 30 agosto 2013

8 http://salviamolacostituzione.racine.ra.it/wordpress/

9 ibidem

10 http://salviamolacostituzione.racine.ra.it/wordpress/

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